Ieri il quotidiano Libero pubblicava una nota di Silvio Berlusconi. Nell'incipit il premier evidenziava una verità inconfutabile: «Il Paese, in questa fase di uscita dalla crisi economica globale, ha bisogno di scelte precise e di responsabilità e quindi di una piena governabilità». Lapalissiano. E continuava: «Anzitutto, il Governo ha a cuore l'interesse dei cittadini e perciò intende portare a rapida approvazione la manovra che stabilizzerà il bilancio pubblico come ha chiesto l'Europa, pure in presenza di una situazione migliore dei nostri conti rispetto agli altri partner europei». Certamente, non solo auspicabile ma necessario imperativo categorico è per un governo avere a cuore l'interesse dei cittadini. Così come la stabilizzazione richiesta dall'Europa. Ovvietà che servono a dare forza alla briciola autocelebrativa della serie «la facciamo anche se in fin dei conti non serviva, tanto siamo bravi».
Poi butta lì un «Personalmente, intendo restare fuori dalle artificiose burrasche scatenate dalla vecchia politica politicante e da quanti, in maniera irresponsabile, giocano una partita personale a svantaggio dell'interesse di tutti». A questa sola frase andrebbe dedicato un singolo post, ma mi limito a prendere atto della volontà del premier di starne «personalmente» fuori. Anche perché la frase successiva è forse ancor più interessante, e non a caso fornisce il titolo alla nota: «Il clima giacobino e giustizialista nel quale alcuni stanno cercando di far piombare il nostro Paese non è certo d'aiuto». Perfetto. Immagino che sia già pronta la lista di questi alcuni. Già, già, ma si potrebbero aggiungerne altri, no? È un clima trasversale, o sbaglio? Mi spiego con un esempio, un articolo a caso de Il Giornale, quello sempre di ieri di Gian Maria De Francesco: «Quote latte e Rai. Gianfranco piccona la Lega per demolire l'alleanza col Pdl».
Apre così: «Come uno squalo che percependo l'odore del sangue si prepara ad azzannare la preda». Mamma mia! Siamo all'horror. Lo squalo sarebbe «la pattuglia finiana». Pattuglia, tutto l'articolo usa un linguaggio guerresco. E Berlusconi è l'obiettivo di cui si punta ad accelerare «la demolizione», manco fosse una casa palestinese. E così Fini poco sotto dà il la «al suo drappello» attaccando sulle quote latte. Che mai avrà detto Fini di tanto tremendo? Ha detto: «È l'esempio di un malcostume e di una cattiva politica che contrasta con i valori civili dell'Italia europea». Nulla di più di una corretta e giusta osservazione su di una vicenda di lobbismo che sotto molti aspetti ha del paradossale. Ed ha aggiunto che «cultura del mercato unico vuol dire anche rispetto rigoroso delle regole» perché «non c'è libertà senza legalità». Puro buon senso e senso coerente dello Stato.
Dov'è il problema, dunque? Il problema sta nel fatto che, sottolinea l'articolista, «Fini non ha esitato ad attaccare la Lega che sostiene la causa degli allevatori inadempienti». Perché Fini ha detto: «Chi nutre nostalgie protezioniste ha in definitiva paura più che del mercato, dello stesso valore della libertà e può alimentare correnti demagogiche ed euroscettiche». E questo basta ad evocarlo come il capobranco degli squali. Affermazioni che sono etichettate come «provocazioni e guerriglia», espedienti «per aumentare la destabilizzazione».
E dopo Fini, Italo Bocchino, «il vietcong numero uno». Ahi noi! Solo perché «ha continuato a questionare su Cosentino, indagato nell'inchiesta sull'eolico». Bocchino che ha osato dichiarare: «C'è un problema di opportunità sulla presenza di Cosentino al governo e alla guida del partito in Campania. Se ci sarà una mozione delle opposizioni che inviterà il governo a ritirare le deleghe, questo dovrà essere valutato». E tanto per sminuire il grande aizzatore, Fini, precarizzandolo, lo si ricorda come l'inquilino numero uno di Montecitorio. Già come se Berlusconi non fosse l'attuale «inquilino» di Palazzo Chigi. Vabbè.
E da quando Fabio Granata si è detto pronto a votare con le opposizioni, «insolentendo il partito: "Espelleteci tutti per antimafia e legalità"», è divenuto lui pure un target per Il Giornale. Quel «gianfranchista» di Granata che ha osato la connivenza con il nemico. Scrive De Francesco: «La ciliegina sulla torta l'ha collocata l'ottimo Granata trasformandosi in difensore di una delle roccheforti antiberlusconiane in tv: "Rinunciare a Corradino Mineo nella conduzione di Rai News sarebbe un errore gravissimo", ha detto». Concludendo con «A quando il prossimo attacco?», dei vietcong ovviamente. Uno che va matto per Apocalypse Now, il nostro giornalista.
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