Se Berlusconi «darà retta ancora alle colombe, comincerà presto il tiro al piccione». A dirlo, oggi, è Vittorio Feltri su Il Giornale, annunciando che «il presidente della Camera [è] pronto alla grande ammucchiata con Di Pietro e Bersani pur di mandare a casa il premier». Parole nette: «Il Cavallo di Troia è Fini». Stavolta, dice ricordando come «in passato il giochino ha funzionato a meraviglia: Bossi si trasferì dal Polo al centrosinistra, e Dini governò fino alle elezioni del 1996; poi Mastella rilevò Bertinotti che aveva abbandonato Prodi, e D'Alema salì al "trono"».
Feltri ama il ruolo di Cassandra della Troia berlusconiana: «È dallo scorso settembre che andiamo ripetendo le stesse cose su Gianfranco Fini. Inutilmente. Il Pdl ha sempre cercato di farci passare per matti dicendo che col presidente della Camera si poteva e si doveva stringere un accordo». Ma, al di là di questa sorta di mitomania («Puntare alla pacificazione è stata una perdita di tempo. La lite si è inasprita, la coalizione si è sfilacciata, il governo ha faticato ad approvare qualsiasi provvedimento. Ed ora il rischio di una rottura traumatica è sotto gli occhi di chiunque li tenga aperti»), nel suo editoriale il direttore de Il Giornale ci spiega il disegno di Fini: «far fuori il premier e distruggere la maggioranza».
Dice Feltri: «Da oltre un anno egli [Fini] persegue il suo scopo con tenancia, e nell'opera di demolizione si è avvalso della collaborazione di Di Pietro, del Pd, talvolta di Casini e perfino di Napolitano, con il quale ha intessuto rapporti eccellenti pensando che un giorno - quello del giudizio - il Colle sarebbe venuto buono per evitare elezioni anticipate». Già, perché in questo sta la sottigliezza della «vendetta» di Fini, che cova «da quando si è accorto di aver perso il controllo dei suoi uomini, confluiti nel Popolo della libertà». Uno choc per lui, «trovarsi all'improvviso senza An, di cui era il dominus, confinato a Montecitorio in un ruolo di prestigio ma privo di potere politico». Al punto da reagire «organizzando l'eliminazione di Berlusconi».
Sottigliezza? Sì, «infatti, se cadesse l'esecutivo, la decisione sul da farsi toccherebbe al presidente della Repubblica: se questi, anziché sciogliere correttamente le Camere, incaricasse una qualunque personalità di formare un nuovo governo sostenuto dalle "larghe intese", cioè da una grande ammucchiata, ecco che Fini canterebbe vittoria». Già, «perché avrebbe realizzato il suo sogno. Che non è sostituire il Cavaliere a Palazzo Chigi, né soffiargli il posto al vertice del Pdl, ma spedirlo in pensione». Un odio personale da soddisfare, insomma. Ma poi? «Poi succeda quel che succeda. L'importante è che crepi Sansone con tutti i filistei».
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