Il Giornale di Vittorio Feltri ha pubblicato ieri un'intervista a Roberto Castelli, viceministro ai Trasporti, leghista doc, per molti versi interessante e ricca di informazioni. Comincio dalla fine, alla domanda del giornalista Paolo Bracalini sull'idea di una sostituzione dei finiani con l'Udc. «Cadremmo dalla padella alla brace. Io sono contrario, li ho visti all'opera». Esperienza acquisita sul campo incontestabile. E poi, già rispondendo in precedenza: «L'Udc ci paralizzò ai tempi, loro [i finiani] sono di meno quindi hanno meno potere di interdizione». Discorso chiuso, dunque questo, vediamo l'apertura, come in prima pagina il quotidiano di Feltri presenta la raccolta di esternazioni rinviata in sesta: «Roberto Castelli viceministro e colonnello leghista ("Forse adesso sono diventato un maggiore...") non ha dubbi: "Generali e colonnelli della Lega si riuniscono, poi però ognuno fa per sé. Manca la collegialità e gli effetti spesso si vedono». Perbacco, e dire che Castelli sottolinea come sia d'accordo con Maroni «che il nostro è un partito leninista dal punto di vista organizzativo». Una convinzione un po' vacillante se alla domanda di possibili correnti all'interno della Lega dice «Io spero proprio di no...» e il richiamo al citato ipse dixit maroniano, che segue a puntello, proprio come puntello scricchiola, tant'è che aggiunge: «Però parlo a titolo personale, non conosco bene le dinamiche interne ai supervertici...». Addirittura. Caspita che organizzazione piramidale. Ma c'è da chiedersi quanta efficacia abbia se Castelli afferma, riguardo all'esistenza di un coordinamento generale nel partito: «Sì c'è. So che fanno delle riunioni Bossi, i ministri. Però poi tutti, dai ministri ai viceministri come me, ai consiglieri regionali, sono troppo impegnati nelle loro cose. Non c'è un momento di sintesi e di collegialità, se non azioni sporadiche basate sulla buona volontà dei singoli. Non basta». Ohi, ohi, la politica della Lega ridotta a «colpi di testa» di singoli? Non è cosa da poco perché lo stesso Castelli spiega più in là «che senza coordinarsi certe volte non si raggiungono i risultati che si vorrebbero raggiungere». Per questo, secessione, devolution, federalismo, come in una sorta di gioco dell'oca si è sempre tornati al via?
Salto le domande sul fallimento personale a Lecco nella corsa a sindaco, causa, dice, una corrente avversa interna al Pdl. «Comunione e liberazione?», «Questo lo dice lei...». E vengo alla questione della manovra economica, o meglio ai tagli. Dice Castelli: «Bisogna capire che questa manovra, in un sistema centralista come il nostro, non poteva che essere fatta così. La Lega può accettarla considerando che è una manovra di transizione verso il federalismo fiscale. Se invece fosse fatta in uno Stato che non si sta trasformando, allora non andrebbe bene. Ma è una amara medicina che noi prendiamo come viatico verso la guarigione». Miracoloso specifico: «Ei move i paralitici, spedisce gli apopletici, gli asmatici, gli asfitici, gl'isterici, i diabetici, guarisce timpanitidi, e scrofole e rachitidi, e fino il mal di fegato, che in moda diventò», come canta quel gran medico, dottore enciclopedico chiamato Dulcamara, la cui virtù preclara e i portenti infiniti son noti in tutto il mondo... e in altri siti. Dulcamara? Pardon, Tremonti. E, dunque, i governatori? «Io li capisco, magari si poteva intervenire diversamente all'interno dei saldi. Per esempio una cosa che non ho capito è che hanno tagliato in modo micidiale il trasporto pubblico locale. Lascino fare ai governatori. Fatto salvo il saldo, decidano i governatori dove tagliare».
E qui viene il bello, perché Castelli va oltre e si racconta: «Sui sacrifici ai ministeri poi ci sarebbe da dire delle cose...». E giustamente Bracalini «Diaciamole». Tutto da leggere quanto segue. Dice Castelli: «Le faccio una domanda: quando viene qualcuno a trovarla al Giornale e lei le offre il caffè, chi lo paga?». «Di solito io», risponde il giornalista. Ed ecco ciò che nessuno avrebbe mai detto fosse così: «Ecco, anch'io. Qui al ministero paghiamo sempre noi, da quando sono qui non ho offerto un caffè o un'acqua che fosse pagata dal ministero, perché così è stato deciso all'inizio con una circolare». Beh, pretendere il rimborso d'un caffè o d'un bicchier d'acqua sembrerebbe proprio da pezzenti, ma c'è altro: «Io invidio gli assessori regionali che hanno uno staff, mentre io ho potuto nominare solo una persona. Poi non le dico quando andiamo all'estero in missione». E l'incredulo Bracalini: «Ve le pagate da soli?». Suvvia, non esageriamo: «Dobbiamo anticipare le spese di tasca nostra e poi ci verranno rimborsate. E si tratta a volte di migliaia di euro. Una delle ultime missioni che ho fatto in Venezuela, è costata tra voli e hotel 5 mila euro». Perbacco! E l'«ingenuo» giormalista, già pronto al plauso: «Le ha messe lei?». «Il mio caposegreteria, gente che guadagna 2 mila euro al mese». Mamma mia! c'è gente che si toglie il pane di bocca, a sé e alla famiglia, per mandare in missione ministri e viceministri. Siamo ridotti proprio male in questo paese. O no?
Ma tutta questa aneddotica? Solo per dire che i sacrifici «non è che i ministri non li facciano. Allora, facciamoli tutti assieme». Già, tutti assieme.
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