domenica 11 luglio 2010

Come stella di David

«L'attualità politica culturale della nostra società non propone, di norma, il raggiungimento di mete ideali: oggi esistono sistemi sofisticati che appaiono e scompaiono, che parlano il linguaggio della democrazia paludata, utilizzando la ricattabilità di taluni uomini politici per infiltrarsi nelle istituzioni, per sedurre gli intellettuali più fragili. Il nostro è un paese che fa scintillare le opere d'arte, le bellezze antiche, i musei, fa brillare generosi talenti e ingegni mirabili, ma poi in realtà, dalle radici alla sommità, nel campo politico e civile, è ricoperto di immondizia morale, fetida e maleodorante, che ha pochi eguali al mondo. Il nostro è un paese dove persino la nostra bandiera nazionale sembra, in qualche caso, recare la scritta: perdonate l'imbroglio, ma ho famiglia, bandiera simbolo di libertà, in un tempo nel quale non manca la libertà, ma a volte gli uomini liberi». Questo è l'incipit di un intervento di Giovanni Greco dell'Università di Bologna, alla Conferenza nazionale «Massoneria e il Tricolore italiano: da Luigi Zamboni a Goffredo Mameli», il 24 ottobre 2009 all'Università di Bologna. Un seminario pubblico organizzato dalle Logge del Grande Oriente d'Italia che operano nel distretto dell'Emilia Romagna, uno dei molti eventi dedicati al 150° anniversario dell'unità d'Italia.
Il titolo dell'intervento «I colori massonici del tricolore», pubblicato sul numero 1/2010 della rivista del Grande Oriente d'Italia Hiram, è esplicativo della dissertazione. Qualche parola più in là il relatore scrive: «In realtà il tricolore è il nostro granaio, il nostro salvadanaio dello spirito, è come il compasso che fora la carta nel punto dove gira, mentre la seconda gamba descrive un cerchio lontano: come tutti i grandi percorsi anche questo è un percorso circolare». Una metafora molto interessante ed efficace, non c'è dubbio. E lo scopo stesso del convegno è «di ribadire lo spessore storico del tricolore, che è quello di rappresentare la costruzione della modernità fondata sui rapporti fra individuo e società, fra storia e progresso, attraverso la continuità dello sviluppo sociale e civile del paese mediante il dispiegarsi della nostra bandiera». Un percorso di trasformazione verso un orizzonte di luce, non quella solita trincea dove si difende una cultura oscurantista. E dice Greco, tra i "martiri del tricolore", «tantissimi fra questi sono appartenuti alla massoneria o al suo milieu».
Ricordando le vicende di Bologna di fine Settecento, città dove si «avvertiva fortemente il cambiamento di clima politico dell'Europa, sull'onda della rivoluzione francese», Greco afferma che è «a quelle vicende che si deve la scelta del tricolore come segno e simbolo di riconoscimento, oltre all'introduzione della nozione di sfera pubblica, fino ad allora estranea alla politica, passando le aspirazioni unitarie italiane dal piano letterario a quello della politica concretamente operante». E più in là, dice: «Non casualmente le bandiere donate da Napoleone ai volontari lombardi avevano sull'asta il livello massonico, perché il tricolore era la bandiera delle vendite carbonare, della Giovine Italia e da sempre delle officine massoniche, col verde colore iniziatico del latomismo». Il testo insomma è tutto un fiorire di nomi di massoni e di riferimenti a logge massoniche di quel tempo di fine Settecento.
Certo, «fu Giuseppe Mazzini che assunse il tricolore con la parola "libertà-uguaglianza" da un lato, e "unità-indipendenza" dall'altro, compiendo il santo di qualità dal recupero acritico della policromia repubblicana alla fondazione di un'imagerie indiscutibilmente italiana». Mazzini non fu massone, nel senso che non fu mai iniziato alla Libera Muratoria né in Italia né all'estero, perché come scriveva in una lettera a Federigo Campanella, massone, del 12.6.1867 «...La Massoneria accettando da anni e anni ogni uomo, senza dichiarazioni d'opinioni politiche, s'è fatta assolutamente inutile a ogni scopo nazionale». E solo dopo la sua morte vi fu una sorta di «appropriazione indebita» da parte della Massoneria ottocentesca. Furono i massoni liguri ad ordinare all'architetto Gaetano Vittorio Grasso una tomba nel cimitero monumentale di Staglieno che doveva riprodurre in piccolo il Tempio di Re Salomone.
L'articolo ricorda anche tra i religiosi che parteciparono alle guerre d'indipendenza il caso del barnabita e massone Ugo Bassi di Cento, alla fine catturato dagli austriaci e fucilato a Bologna nel 1849, e «la notevole ammirazione e la riconoscenza sinanco di Carducci verso Bassi, tant'è che per lui invoca: "Ma lascia tu nel gran concilio sgombra, Roma, una sedia". E ancora: «Non pochi i massoni fra i componenti dei cosiddetti "corpi franchi" organizzati dal generale Durando, che andarono a costituire una linea di difesa sul Po (...) sino ai "Cacciatori a cavallo" garibaldini, quasi tutti conglobati nella massoneria, sotto l'egida di Bixio e Garibaldi, poi Gran Maestro del Goi».
Insomma, «il tricolore divenne così la bandiera nazionale nella quale si riconoscevano coloro che erano accorsi a combattere per la libertà». E non manca la citazione di Goffredo Mameli: «In questo quadro emerge la figura di Goffredo Mameli, precocissimo poeta e patriota, che dimostra ancora una volta che il massone o è un testimone o è un ingombro e che scrisse il Canto degli italiani, che diventerà poi l'inno nazionale associato alla bandiera tricolore». Già, perché «Mameli aderì giovanissimo al mazzinianesimo e alla massoneria».
La conclusione: «Da ciò che è emerso, e soprattutto dal cantiere degli studi si può sostenere che il tricolore italiano nasce nel milieu latomistico, è profondamente massonico, è figlio di martiri fratelli massoni ed è sorto anche nella fertile e generosa terra di Bologna». E quindi il messaggio: «Un paese come il nostro, disordinato, burocratico, dotato di uno scarso orgoglio nazionale, che non coltiva grandi ideali, se perde la sua tradizione, se perde la sua memoria, perde la sua identità, perde la sua moralità ed è ormai un paese da riedificare. (...) Quel che va fatto va fatto ora, perché vi è in gioco un accumulo di esperienze, di capacità, di memoria che non possono andare perdute per cui oggi dobbiamo riappropriarci del nostro paese e del nostro stato». Ma il tricolore? «Il tricolore, restituito al suo significato più alto, è un simbolo di pacificazione e di unità, capace di coagulare intenti nuovi e antichi eroismi». Anzi la coccarda tricolore «deve essere un punto di riferimento assoluto e la dobbiamo portare con onore sul petto». Di più: «Anzi, come la stella di David per gli ebrei, sarebbe meglio portarne due: una per obbligo e una per orgoglio». Insomma «avere la fierezza di essere quello che siamo, mettendo in campo la sfida della modernità, a cui non si può non rispondere, perché ne va del nostro futuro».

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