lunedì 19 luglio 2010

Il triangolo

Agricoltori e ambiente, sembrerebbe un connubio ideale. Gli agricoltori dovrebbero essere i più solerti difensori dell'ambiente, perché l'ambiente è la risorsa e l'«utensile» della loro attività. Eppure ormai da tempo è verificato che spesso, molto spesso gli agricoltori sono un coniuge particolarmente infedele se stravedono per l'amante, il profitto. Ne sono esempi la fregola per gli ogm, anche se sanno benissimo che sono una trappola dell'industria sanguisuga, del resto ben sperimentata nel caso analogo degli insetticidi; la smania di speculare sui terreni agricoli sbavando perché siano trasformati in aree edificabili. Oppure il taglio indiscriminato di alberi, solo perché fanno ombra ai margini di campi a monocoltura intensiva, o, ultima moda, a possibili futuri impianti fotovoltaici, che, con l'agricoltura in crisi, dovrebbero rendere di più di un seminativo, dicono industriali privi di scrupoli. Perché business is business. E i nostri lo sanno bene, lo confessano addirittura in articoli o lettere su quotidiani locali.
La questione è che noi siamo tuttora molto romantici ed inguaribili sognatori. Abbiamo davanti ai nostri occhi la visione idilliaca della civiltà contadina. Dovremo noi per primi, insomma, smettere di considerare gli agricoltori come dei benefattori dell'umanità - naturalmente senza fare di ogni erba un fascio - e vederli per quello che sono: imprenditori come i tanti imprenditori industriali che per il dio profitto sono disponibili a sacrificare a cuor leggero l'ambiente ed il benessere e la salute di intere comunità. Perché la salvaguardia del paesaggio non è solo una questione estetica ma di sostanza; la salvaguardia dell'ambiente riducendo il più possibile o azzerando gli inquinanti non è solo etica imprenditoriale ma sopravvivenza.
L'8 luglio scorso, il quotidiano di Lodi Il Cittadino pubblicava un articolo di Carlo Catena che cominciava così: «Cosa c'è di meglio di una notte d'estate per aprire i rubinetti delle vasche dei liquami di vacche e suini?». Già, e Catena aggiungeva: è proprio quello, ritengono gli investigatori, che «potrebbero aver pensato due imprenditori agricoli di Tavazzano e di Mulazzano che potrebbero venir denunciati per "avvelenamento delle acque" e perseguiti per omessa denuncia di scarichi». Inquinanti immessi nel Sillaro e da qui nel Lambro.
L'allarme era stato dato da un pescatore che vedeva «cadaveri d'argento» scendere il Sillaro. Il cronista parla di un primo bilancio di una ventina di chili di pesci morti recuperati fino ad allora. I primi ad intervenire sono state le guardie volontarie della provincia di Lodi a Salerano, che notavano «una schiuma alta un metro e mezzo alla confluenza dei due corsi d'acqua e l'acqua del Sillaro di color marrone. Quindi la polizia provinciale, i vigili del fuoco e l'Arpa. Una prima immediata indagine risalendo il Sillaro portava ad un cascinale di Tavazzano, allevamento di suini, dove veniva «scoperto un tubo di scarico che finiva in un fossato che a sua volta, attraverso una roggia, faceva defluire gli escrementi dei suini nel Sillaro». Ulteriori accertamenti portavano il giorno dopo alla scoperta «che il Sillaro arrivava inquinato anche a Tavazzano» e quindi l'indagine proseguiva fino a Mulazzano, dove, «non lontano dal confine tra i due comuni, è stato trovato un secondo scarico "clandestino" di reflui zootecnici, questa volta proveniente da un allevamento di bovini».
Naturalmente secondo quanto scrive Catena, ovvia la trasmissione della pratica alla procura della Repubblica, ma anche «la provincia di Lodi proseguirà le verifiche sull'effettiva omessa denuncia degli scarichi, che è un illecito amministrativo, e sui divieti di utilizzo dei liquami per la fertilizzazione, in questo periodo dell'anno». Già, perché, per dirla con le parole del cronista del Cittadino, «il sospetto, infatti, è che lo scopo dell'apertura notturna dei rubinetti di scarico delle vasche in cui vanno stoccati i liquami non fosse destinato a disperderli nelle rogge, quanto piuttosto a miscelarli all'acqua utilizzata per irrigare i campi, per ottenere una concimazione aggiuntiva, al di fuori delle modalità e dai tempi che sono previsti dalla legge».
La questione si pone con tutta evidenza: poco interessano i motivi per cui leggi e divieti sono imposti, quando ciò che conta è un maggior margine, magari molto spesso illusorio, di guadagno immediato. Divieti, che come Carlo Catena ricorda, «hanno proprio lo scopo di proteggere le acque superficiali e sotterranee da batteri e nitrati. I reflui zootecnici, immessi in fiumi e rogge, fanno strage di pesci e altre forme di vita, alterando anche il contenuto di ossigeno dell'acqua». Una semplice verità, come altre, che gli agricoltori dovrebbero conoscere, che tutti gli agricoltori ben conoscono sicuramente. E, dunque, se agiscono diversamente non è per ignoranza.

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