giovedì 15 luglio 2010

Schizzi di fango

Invece d'una raccolta di francobolli o di figurine, ho deciso di collezionare gli articoli di giornale che riguardano l'onorevole Italo Bocchino, divenuto in questi giorni uno degli obiettivi della campagna di stampa mirante a screditare il presidente della Camera Gianfranco Fini e i parlamentari, pur sempre del Pdl, a lui vicini. Già, Bocchino il vietcong. Da quanto è dato di sapere i topi d'archivio stanno lavorando indefessamente per trovare scoop che lo riguardano. Personaggio scomodo perché dice cose di buon senso.
Un primo esempio, siamo al tempo del «Ghe pensi mi» di Berlusconi, una vita, ovvero dieci giorni fa. Il Mattino quel lunedì 5 luglio titolava: «Ghe pensi mi? Faccia, ma senza di noi il Pdl è fallito». C'era qualcuno allora che diceva che Berlusconi voleva rompere con Fini per poi ottenere una crisi di governo. E Bocchino che fa? Candidamente dice: «Non ne capirei l'utilità». Beh, prospetta il giornalista, farebbe fuori in un colpo solo co-fondatore e alleato scomodissimo. Due piccioni con una fava. «Che fa? Nel pieno di una crisi economica sale al Colle e si dimette? E che dice? Quello lì mi è antipatico? No, non ci sono le condizioni per la crisi».
Nell'intervista citata, raccolta da Corrado Castiglione, Bocchino espone una evidente verità alquanto scomoda: «In questi anni il bipartitismo non ha attecchito: il Pdl nacque con altre premesse. Si auspicava la semplificazione del quadro politico. Poi le cose sono cambiate. Sull'altro fronte è uscito di scena Veltroni, come Rutelli, e lo stesso Pd a vocazione maggioritaria è andato a farsi friggere con l'alleanza di Di Pietro, autentica sanguisuga dei democratici». E, dunque: «Dico che capirei se Berlusconi ci dicesse che, siccome il quadro è cambiato, il Pdl diventa un'altra cosa, magari solo un cartello elettorale». Insomma un asserto del tipo «il Pdl è solo di alcuni e gli altri devono andare via» non esiste proprio. E ancora, altra affermazione da far schiumare di rabbia: «Noi siamo per il Pdl della legalità». E aggiunge più avanti «legalità che non vuol dire giustizialismo». E, dunque, ancora ieri, intervistato da La Stampa, coerentemente dice riguardo a Cosentino: «Ci spieghino perché dobbiamo difendere uno che quando il partito sceglie di candidare Caldoro, quello inventa un falso dossier». E anche: «Se Berlusconi si assume la responsabilità di dire che Cosentino va difeso, vediamo se ci riesce a convincere».
Bocchino non è uno che le manda a dire. Al giornalista che gli fa notare che Bondi ha definito nefasto il suo ruolo nel dibattito interno al Pdl, dice: «Mah... Bondi è un'anima candida, non conosce il dissenso quindi non lo comprende. La cultura politica da cui viene lui non lo ammette». E su Lupi: «Io sono un agnello: i lupi di solito attaccano...». Così Belpietro nei suoi «incensamenti» non lo trascura, lui uno che «macina rancore per essere stato messo all'angolo e dunque non lesina piccole punture di spillo anche agli amici». E gli indirizza ieri su Libero questo buffetto: «Tu caro Italo non sei stato espulso dal vertice del tuo partito, semplicemente hai condotto una battaglia e hai perso, perché invece di un'armata pronta a combattere Berlusconi ti sei ritrovato al seguito solo una piccola truppa, alla quale, per giunta tu sei inviso e non ti riconosce come capo. Non è per lesa maestà che sei caduto, ma per una resa dei conti, i quali erano contro di te. So che dopo avere assaporato il potere, anche se quello piccolo di vicecapogruppo, è dura perderlo, ma questa è la democrazia, bellezza». E più sotto, parlando di Verdini: «Il reato di cattive compagnie non è ancora previsto dal codice penale. Non escludo che di questo passo si finirà per istituirlo, soprattutto se ci sarà chi come te interpreta le accuse come sentenze di condanna». E giusto per dire che Bocchino non è molto diverso da Verdini Belpietro tira fuori una vecchia storia.
L'intento è quello di dire, a difesa di Verdini, che «chiunque può essere impiccato a una parola pronunciata al telefono». Scrive il direttore di Libero: «A te è capitato. Ribadisco: se la corte costituzionale non avesse reso inutilizzabili le intercettazioni che ti riguardavano, forse oggi non saresti così determinato nell'attaccare un tuo avversario di partito. Eppure anche tu dovresti ricordare gli schizzi di fango che si sollevano quando si vuole colpire qualcuno». Già, appunto; e niente di più facile perché ne sta ricevendo proprio ora. Ma veniamo alla storia. «Anni fa, quand'eri commissario dell'indagine su Telekom Serbia provarono a coinvolgerti per un finanziamento da 2,4 miliardi di lire a una società vicina. Per attaccarti misero di mezzo San Marino e anche il conte Vitali, l'uomo della super mediazione con Milosevic. Alla fine si scoprì che si trattava di pattume».
E tutto questo a che serve? Da una parte, diciamo, a dare quantomeno dell'irresponsabile a un Bocchino rovinato dalla politica, come evidenzia il titolo; dall'altra esprimere un atto di fede e di schieramento, nonché, come si capirà più avanti, premessa per un sms neppure tanto criptato: «Tu sei certo che tutto quel che stanno tirando fuori contro Verdini non sia immondizia? Io no. A differenza tua non ho sulla scrivania l'ordinanza del Gip e non so nulla delle duemila pagine di informativa né dei quasi quattromila allegati». È la traduzione della frase «Sarà quello che verrà fuori che porterà Verdini a dimettersi», detta da Bocchino. Ma a disturbare il sonno è il sospetto, come si osservava sul Corriere «che il fuoco amico dei finiani sugli uomini più vicini a Berlusconi miri a indebolire il presidente del Consiglio».
Belpietro deve chiudere in bellezza, si fa per dire, il suo pezzo. Non trova di meglio d'uno squallido paragone: «So solo una cosa, che Pinuccio Tatarella, di cui tu giustamente ti fai vanto di essere stato il pupillo, pur avendo spesso le cravatte macchiate di sugo, non rovistava mai nella spazzatura». Ma l'sms? Arriva mascherato da PS: «Tu mi ricordi ancora il tuo maestro a proposito di somme, divisioni ed esclusioni. Io mi permetto di ricordarti che Pinuccio fu colui che contribuì a far uscire il Msi dall'isolamento in cui era confinato da cinquant'anni. Prima di tutti, credo anche di te, aveva capito che per non essere esclusi bisogna evitare di autoescludersi. Auguri». Va detto che Bocchino ha spiegato le sue parole dicendo che si riferiva «all'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Carboni e soci, documento in possesso di tutte le redazioni dei giornali». Ma non convince.
Come non convince l'assicurazione «Non c'è alcun complotto in giro, né misteri», e così Lupi: «I processi preventivi e un certo giustizialismo dipietrista non hanno mai fatto parte della cultura del Pdl». E già, il Pdl ha una storia millenaria! E Straquadanio lo addita come terrorista giudiziario. Ma Il Giornale, come al solito, aveva preceduto tutti con un articolo di Giancarlo Perna dal titolo eloquente circa le intenzioni: «Bocchino, l'anima nera di Fini che si autoassolve dai peccati». Pubblicato venerdì scorso.

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