sabato 31 luglio 2010

Senza speranza

Nella presentazione al numero 68 della rivista Comunismo, il Partito Comunista Internazionale scrive: «Tra le tante laide menzogne che il regime del Capitale diffonde senza sosta per dimostrare che, alla fine, l'umanità vive in quello che è, o potrebbe essere con un po' di buona volontà, il migliore dei mondi possibili, c'è sicuramente quella dell'economia "verde", e dello sviluppo "sostenibile" che con questa fa coppia obbligata». Caspiterina, per buttare lì un inciso localistico lodigiano, green economy, sostenibilità, proprio le parole simbolo con cui si riempiono la bocca gli amministratori democrat da queste parti. Megafoni e tromboni del Capitale. Chi lo avrebbe mai detto!
«L'ideologia del processo capitalistico "buono", quello che non distrugge l'ambiente ma giova al benessere dell'umanità, ha un modo caratteristico e costante di presentarsi nella sua pratica realizzazione. Individuato il terreno favorevole all'affare, un certo settore della produzione investe nel comparto che promette margini "interessanti" - non certo per il bene dei popoli, ma per una questione di profitto, profitto nobilitato dall'etichetta "in favore dell'ambiente"». Perbacco. E allora lotta di classe, l'inquinamento è contro il profitto, viva l'inquinamento, più ce n'è meglio è, tanto peggio tanto meglio. Siamo impazziti? Ma non basta: «Per dimostrare la ragionevolezza, la convenienza economica e il futuro sereno e sicuro che deriverebbero da queste ricette se praticate con scrupolo e costanza, schiere entusiaste di giovani anime candide sono finanziate e messe al lavoro dalle grandi imprese distruggi-ambiente per produrre studi, elaborare strategie, propugnare le loro utopistiche visioni di un capitalismo dal "volto umano". Ciechi come talpe si illudono di tappare col dito la voragine di rovine e lutti che un modo di produzione senza freni né coscienza di umano benessere semina per il mondo intero». Una consolazione per i mancati fondi per la ricerca: tanti piccoli idioti che tentano di svuotare il mare con un secchiello. Già, perché dice la rivista: «Alla fine il risultato è che i disatri si sommano ai disastri. Dove non arrivano le guerre locali a seminare lutti e distruzioni (faranno la "guerra verde", a "bassa emissione di CO2"?), ci pensa la assoluta paranoica esigenza di profitto ad oltrepassare ogni limite di equilibrio naturale. Al capitalismo giovano le catastrofi, ne ha bisogno e ci si ingrassa». Un mondo senza redenzione, ragazzi? Come mai non vi siete ancora suicidati?
E se credete che tutto questo sia più che sufficiente, vi sbagliate: «Salvo poi a "chiedere i danni". A chi? al Capitale? Giammai! La "giustizia" cerca il "responsabile". Come se questo borghese individuo, ammesso che sia condannato (il che succede quasi mai) abbia scontato la pena (idem) e pagato il civile "risarcimento" (idem, vedi Bophal), potesse eliminare ed annullare come mai accaduti i colpi devastanti inflitti al mondo in cui viviamo e nel quale vivranno le generazioni future. Potenza del denaro nell'economia mercantile: tutto ha un "prezzo", anche la vita, e finanche i più terribili disastri». E naturalmente non manca: «Il tutto è, ovviamente, accompagnato dal controcanto dell'economia sostenibile e del profitto a favore dell'ambiente!». Sconcertante il mix di parole in libertà che viene offerto come analisi e tesi politica. La presentazione prosegue con la metafora della BP nel Golfo del Messico, di cui vi faccio grazia. e veniamo alla conclusione.
«Questo modo di produzione diffuso ormai alla scala mondiale ha nella forma finanziaria senza più limiti il suo vero motore, e non è da essa separabile con una operazione ideologica, o peggio etica. Più la crisi del mondo capitalistico si approfondisce ed estende, mentre questo mostro tenta di sopravvivere con la truffa e l'estorsione per arginarla, moltiplicando in un gioco di specchi senza fine segni di valore, più la finanza distrugge la stessa economia di produzione di beni, più prendono fiato e spazio le imbelli ideologie di un capitalismo depurato dalla tara della finanza "cattiva", che farebbe aggio sulla produzione "buona". Sarebbe tutto così semplice: eliminata o riformata quella, l'altra avrebbe modo di dispiegarsi in tutta la sua salvifica potenza a vantaggio dell'umanità intera. Un capitale finanziario "buono", che sappia accontentarsi di una rendita "equa", un capitale industriale che si dedichi a produzioni "sostenibili" e "sicure" ricavandone un equo profitto è il sogno delle schiere di "riformatori", preti ed opportunisti che rifuggono inorriditi dal marxismo e dal comunismo». Già, perché «perso il lume razionale della scientifica teoria rivoluzionaria, è comodo e facile rifugiarsi nei sogni di un possibile mondo migliore conquistato con buona volontà, buone leggi e banale raziocinio».
Siamo proprio alla conclusione: «Ma tutto questo si scontra con la realtà di un capitalismo che, nonostante sia evidente lo stato comatoso del suo impero globale e proprio per questo, è insofferente ad ogni freno, tanto nel campo della produzione quanto della finanza; un capitalismo che investe energie immense nella produzione di armi mentre costringe miliardi di esseri umani ad un'esistenza di stenti, di fame e malattie; usa le tecniche più avanzate per depredare il pianeta di ogni risorsa senza alcun progetto per il domani dell'umanità. Solo si appresta a distruggere, con una nuova guerra imperialista a scala mondiale, gli immani quantitativi di merci che intasano i mercati globali, compresa la merce forza-lavoro, per tentare di insufflare nuova vita nel suo decrepito organismo». E attenzione, siamo alla frase storica: «Questo lo chiamano progresso». Talvolta sarebbe opportuno salvare qualche albero.

Convulsioni

Mi è capitato tra le mani un comunicato del Partito Comunista dei Lavoratori di ieri, titolo: «Per una risposta di classe alla crisi del berlusconismo». Non mi sarei soffermato a rifletterci sopra più di tanto se quel titolo non m'avesse richiamato alla mente un'agenzia del giorno prima, che riportava le parole del segretario del Pd Pierluigi Bersani a commento dello stato dell'arte, in quel momento, dello scontro Berlusconi-Fini, ampiamente superato poche ore dopo. Diceva Bersani: «Siamo oltre le colonne d'Ercole del berlusconismo, in acque sconosciute». Già la citazione classica era segno di un non sapere che pesci pigliare di fronte ad una realtà politica incompresa e forse incomprensibile per il segretario democrat. Tant'è che aggiunge subito: «A questo punto o fanno un ragionamento su una nuova fase di transizione o scelgono di galleggiare o strappano e non si sa dove si va. Mi auguro riflettano». E intanto? Nel mentre riflettono? Diceva l'agenzia: «Il Pd è pronto ad "ogni evenienza", ma spetta alla maggioranza prendere atto che si è giunti ad una svolta e che è necessario un atto di 2responsabilità. Bersani ribadisce la disponibilità dei democratici a sostenere un eventuale governo di transizione che "ristabilisca la democrazia parlamentare che è stata stravolta" e affronti alcuni "temi fondanti"». Insomma pronti alla supplenza. Altro che il tormentone rivolto a D'Alema, l'invito a fare qualcosa di sinistra. Qui siamo alla frutta. E ancora Bersani ribadiva a chi li chiedeva della possibilità delle elezioni anticipate: «Non sono nella nostra disponibilità, nelle nostre intenzioni. La maggioranza è di fronte ad un bivio: o accetta il fatto che c'è un pensiero nuovo o va a un galleggiamento precario, o ad uno strappo. Ma la palla sta a loro, al loro senso di responsabilità». Mamma mia. Questo è il partito, parola di Rosy Bindi, che potrebbe vincere con tranquillità le elezioni anticipate? Scherziamo?
Ma torniamo al comunicato. Questo è l'incipit: «La crisi verticale del berlusconismo è insieme una crisi di blocco sociale, di equilibri politici, di relazioni istituzionali. E apre una fase di convulsioni politiche profonde». Perbacco, una catastrofe globale sembrerebbe di capire. Un abisso pronto ad inghiottire la borghesia italiana e la casta politica, ma veltronianamente anche la restante parte della società. Il rimedio, la panacea però c'è, continua il comunicato: «Ma solo il rilancio di una grande mobilitazione sociale del mondo del lavoro, attorno alle proprie rivendicazioni indipendenti, può portare sino in fondo la crisi in atto e darle uno sbocco positivo per le classi subalterne». Il potere ai lavoratori. Ma esiste ancora la «classe operaia», quella che andava in paradiso? Per il Pcl se non si rilancia il rischio del viceversa è tremendo: «Viceversa, si rischia o la sopravvivenza del governo e magari con essa un nuovo affondo plebiscitario del Cavaliere; oppure una soluzione trasformista di ricambio istituzionale, benedetta da Bankitalia e Marchionne. In entrambi i casi la continuità delle politiche dominanti contro i lavoratori». Insomma non siamo molto lontani da Bersani, il livello verbale è più «marxista», ma la sostanza la stessa: fuffa. Già, perché chi dovrebbe mettere in piedi la mobilitazione medicinale? Ma è ovvio: dice il comunicato che «è ora che tutte le sinistre politiche e sociali uniscano le proprie forze in un'azione di classe indipendente, in piena autonomia da centrosinistra e centrodestra, puntando apertamente ad una soluzione di classe della crisi berlusconiana nella prospettiva di un governo dei lavoratori», che è «l'unico governo che possa liberare l'Italia dalla dittatura della Fiat, dei banchieri, delle mille cricche del malaffare». Insomma è sempre più chiaro perché la Lega rafforzi il suo elettorato proprio con quei lavoratori che secondo il Pcl dovrebbero, in prospettiva naturalmente, governare l'Italia.

venerdì 30 luglio 2010

In azione

L'allarme OGM in Friuli lanciato nei giorni scorsi da Greenpeace, che denunciava il rischio di una contaminazione da OGM in Italia, a causa di una presunta semina di mais transgenico in due campi, ha indotto l'associazione all'azione. Dopo aver ottenuto le prove che quei campi sono transgenici, come confermano le analisi effettuate da un laboratorio certificato sui campioni prelevati, Greenpeace ha deciso di fare quello che le autorità stanno rimandando da settimane.
Un comunicato di Federica Ferrario, responsabile Campagna OGM di Greenpeace Italia, informa: «Questa mattina all’alba i nostri attivisti sono entrati in uno dei campi - a Vivaro in provincia di Pordenone - e hanno isolato, tagliato e messo in sicurezza le parti superiori delle piante di mais transgenico che producono il polline, responsabile della contaminazione». In quei campi il mais è fiorito e stava già disseminando il proprio polline sulle coltivazioni circostanti.
Greenpeace ribadisce l'appello: «La Procura di Pordenone deve porre fine a questa contaminazione illegale e incriminare i responsabili e tutti i suoi possibili complici. Il rischio di una contaminazione di tutto il mais del Friuli deve essere scongiurato».

Time-sharing

Riprendo dal Corriere della Sera di un paio di giorni fa la lettera di Milena Gabanelli sul Veronesi nucleare.
«Caro direttore, premetto che non ho interesse per le preferenze politiche del Prof. Veronesi; è un oncologo di fama e mi aspetto che faccia tutto quello che può per curare il cancro. Da un paio d'anni è anche senatore, carica che ha accettato a patto che non gli porti via tempo per i suoi pazienti. Intento nobile verso i pazienti, meno verso i cittadini che, pagando un lauto stipendio ai senatori, si aspettano che dedichino le loro energie alla gestione politica del Paese. Ora è stato proposto il suo nome come Presidente dell'Agenzia per la Sicurezza del Nucleare, nomina che accetterebbe volentieri, di nuovo a condizione che non sottragga tempo ai suoi pazienti. Ovvero, bisognerebbe adattare le necessità di un'agenzia così delicata e fondamentale agli impegni del candidato presidente. Intanto venerdì scorso in Senato è stato approvato un decreto che gli consentirebbe, se volesse, di andare in deroga alla legge che vieta a chi ha incarichi politici di presiedere un'authority». Già l'incipit elenca una serie di aspetti negativi che una simile candidatura «part-time» non mancherebbe di evidenziare. Soprattutto il fatto che il «fiore all'occhiello» sarà ripagante per chi lo propone, non certo in genere per chi lo subisce. E poi con paletti vincolanti, qualora ci tenesse così tanto perché non un incarico onorario, una medaglietta ricordo, un attestato da appendere alle pareti dello studio per dire «sono stato anche questo». Sulla falsariga d'un altro aspetto evidenziato nella lettera, che però sconcerta se relazionato al contesto. Evidenzia la Gabanelli: «Riguardo invece alla sua competenza in materia, scrive: "Sono un appassionato di fisica, non a caso ho ricevuto la laurea honoris causa"».
La lettera non manca di evidenziare che «nuclearista convinto, cita la Francia come modello di qualità di vita per noi italiani. Partendo dal presupposto che l'agenzia non sia un bluff ma qualcosa di straordinariamente serio, non è affatto rassicurante l'idea che venga diretta (nei ritagli di tempo) per 7 anni, da un uomo che oggi ne ha 85, anche se è il più bravo oncologo del pianeta. Presiedere l'agenzia per il nucleare vuol dire affrontare problemi di carattere tecnico, elaborare i regolamenti insieme ai commissari, dare il parere sui progetti, verificare il rispetto delle regole e prescrizioni a cui sono sottomesse le installazioni. Un lavoro certamente a tempo pieno, meglio se subordinato a una competenza specifica, più che a una passione». Appunto. E la Gabanelli non manca di fare il confronto: «Siccome il Prof. Veronesi cita il modello francese, saprà che la loro agenzia (ASN) è diretta da Jean Christophe Niel, 49 anni (laureato in fisica teorica che ha ricoperto incarichi di vertice nel controllo sul ciclo del combustibile e dei rifiuti, ed è stato per anni capo del dipartimento per la sicurezza dei materiali radioattivi). Il presidente è Andrè-Claude Lacoste, 69 anni, ingegnere, da 17 anni con incarichi direttivi nel settore sicurezza nucleare». Sarebbe come affidare il lavoro di oncologo ad un semplice appassionato di medicina. L'esempio calza, e come calza, sempre che l'Agenzia non sia un «bluff» come altri messi in piedi dal governo Berlusconi.
C'è poi un problema, che un oncologo non dovrebbe trascurare: «Il Prof. Veronesi ha poi espresso un'opinione sul fattore rischio («oggi calcolato quasi vicino allo zero»), che sembra non tener conto dei cosiddetti piccoli incidenti quotidiani, riportati da tutte le Agenzie, che si verificano proprio in Francia; per non parlare delle basse emissioni permanenti degli impianti, come dimostra lo studio del Prof. Hoffman ordinato dalla Cancelliera Merkel». Ma la Gabanelli va oltre: «Parlare invece di nucleare come "l'alternativa più valida al petrolio" è solo suggestivo, poiché il petrolio serve soprattutto a far muovere le macchine e solo in minima parte ad alimentare le centrali elettriche. Infatti in Francia, Paese più nuclearizzato d'Europa, il consumo procapite di petrolio è più alto rispetto a quello italiano. Succede di essere approssimativi quando ci si occupa di troppe cose». Già, già, come si dice il troppo stroppia.

I 33 della Camera

Il presidente di turno Maurizio Lupi ha letto oggi nell'Aula di Montecitorio i nomi dei 33 finiani che hanno aderito al neonato gruppo di «Futuro e libertà per l'Italia»: Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Enzo Raisi, Luca Barbareschi, Francesco Proietti Cosimi, Francesco Divella, Antonio Buonfiglio, Claudio Barbaro, Maria Grazia Siliquini, Flavia Perina, Angela Napoli, Luca Bellotti, Aldo Di Biagio, Antonino Lo Presti, Giuseppe Scalia, Giorgio Conte, Benedetto Della Vedova, Adolfo Urso, Mirko Tremaglia, Alessandro Ruben, Andrea Ronchi, Donato Lamorte, Giulia Bongiorno, Catia Polidori, Carmine Santo Patarino, Giulia Cosenza, Silvano Moffa, Roberto Menia, Gianfranco Paglia, Giuseppe Angeli, Giuseppe Consolo, Souad Sbai.
Mi sorprende un po' piacevolmente che tra di essi vi sia anche il triestino Roberto Menia, così come davo per scontata la presenza di Benedetto Della Vedova che ho conosciuto personalmente ai tempi della sua militanza radicale. Una buona pattuglia che, credo, sia destinata, anche in tempi brevi, ad aumentare.

giovedì 29 luglio 2010

I 37 killer

I 37 componenti dell'ufficio di presidenza del Pdl che hanno deciso oggi la morte del progetto originale del Pdl sono, oltre al leader Berlusconi, i tre coordinatori, i ministri, i governatori del Pdl, i capigruppo e altri esponenti del partito. I nomi: Silvio Berlusconi, Sandro Bondi (coordinatore), Ignazio La Russa (coordinatore), Denis Verdini (coordinatore), Gianni Alemanno (sindaco di Roma), Angelino Alfano (ministro della Giustizia), Italo Bocchino (vicecapogruppo Camera, finiano), Michela Vittoria Brambilla (sottosegretario al Turismo), Renato Brunetta (ministro della Pubblica Amministrazione), Ugo Cappellacci (governatore della Sardegna), Mara Carfagna (ministro delle Pari Opportunità), Gianni Chiodi (governatore dell'Abruzzo), Fabrizio Cicchitto (capogruppo Camera), Raffaele Fitto (ministro degli Affari Regionali), Roberto Formigoni (governatore della Lombardia), Franco Frattini (ministro degli Esteri), Giancarlo Galan (ministro dell'Agricoltura), Maurizio Gasparri (capogruppo Senato), Mariastella Gelmini (ministro dell'Istruzione), Carlo Giovanardi (sottosegretario alla presidenza), Michele Iorio (governatore del Molise), Alfredo Mantovano (sottosegretario all'Interno), Marco Martinelli (vice responsabile organizzativo), Altero Matteoli (ministro delle Infrastrutture), Giorgia Meloni (ministro della Gioventù), Stefania Prestigiacomo (ministro dell'Ambiente), Gaetano Quagliariello (vice capogruppo Senato), Andrea Ronchi (ministro degli Affari Comunitari, finiano), Gianfranco Rotondi (ministro per il Programma), Maurizio Sacconi (ministro del Lavoro), Claudio Scajola (ex ministro dello Sviluppo Economico), Antonio Tajani (vice presidente commissione europea), Renzo Tondo (governatore Friuli-Venezia Giulia), Giulio Tremonti (ministro dell'Economia), Adolfo Urso (viceministro dello Sviluppo Economico, finiano), Pasquale Viespoli (senatore finiano), Elio Vito (ministro per i rapporti con il Parlamento).

La targa del Frejus

Ignazio La Russa, almeno non è un ipocrita. Pur non usando mai la parola guerra, descrive uno scenario di guerra nel suo intervento al Senato. L'Italia è in guerra. Lo sottolineo per chi non lo avesse compreso ancora. Non si conoscono bene i motivi veri, gli interessi veri dell'Italia nella guerra, interessi trasversali rispetto ai due schieramenti che costituiscono l'attuale arco parlamentare. Ci si appella alla responsabilità internazionale dell'Italia, ad un intervento necessario per tenere lontano il terrorismo dal «sacro» suolo della «patria», o per dirla con le parole del ministro: «l'azione dei nostri militari [è] votata a contrastare il terrorismo ed a tenere lontani dalle nostre città i pericoli e le conseguenze di un'azione terroristica che potrebbe essere assai più grave di quella che in questi ultimi anni abbiamo dovuto registrare». Insomma l'uso orwelliano del babau dell'Undici Settembre. Ah, naturalmente, non dimentichiamolo, c'è il leit-motiv non ancora dismesso del peace-keeping, tuttavia oggi inteso in modo più sfumato come un fine da raggiungere della guerra guerreggiata: «Il nostro è un impegno teso a raggiungere un obiettivo importante che ci siamo prefissati sin dall'inizio, quello di contrastare il terrorismo e ridare pace e democrazia all'Afghanistan. Ma l'obiettivo immediato, concreto, definitivo e conclusivo è di riuscire, entro la fine del 2013, ad affidare, al termine di questa fase di transizione, al legittimo governo afgano, alle forze armate afgane, alla polizia afgana il controllo del territorio, la governance, il controllo dell'azione militare. In sostanza, di lasciare agli afgani il compito di continuare, con un'efficacia che prima non potevano avere, il contrasto al terrorismo affinché non ne consegua un danno per la loro libertà, ma anche per la sicurezza della nostra Nazione, delle nostre città, della nostra Patria». Siamo italiani, dobbiamo autoconvincerci che l'azione dei nostri militari ha un fine nobile, che l'italiano è il «bono taliano» di sempre.
Ma - ed è ciò che preme affermare - poiché «dal punto di vista operativo tale attentato è diretto a nostro avviso essenzialmente a interferire sulle motivazioni dell'opinione pubblica internazionale, in questo caso italiana in particolare, di sostegno all'azione dei nostri militari», allora «non cambia quindi, neanche a seguito di questo doloroso e luttuoso evento, la natura della nostra missione che rimane coerente con quanto sino ad ora abbiamo fatto per l'Afghanistan, per la stabilità internazionale e per la sicurezza dell'Italia». Lascio la rimanente retorica del ministro. Giusto oggi il Washington Post pubblicava il «total number of U.S. military deaths since 2001 and names of the U.S. troops killed recently in the Afghanistan war, as announced by the Pentagon», cioè il numero totale dei militari americani morti in Afghanistan dal 2001 ad oggi e i nomi di quelli caduti di recente: 1196 in tutto i morti americani di questa guerra che sempre più appare senza senso. Un numero che, se la guerra continua così, rischia di avvicinarsi a quello delle vittime delle Twin Towers.
Anche se nell'arco parlamentare non c'è più la sinistra, da sempre contro l'intervento italiano (nonostante la risposta data a suo tempo in Parlamento con la pistola del ricatto di Prodi e dei Ds puntata alla tempia), c'è comunque chi comincia a sottolineare dubbi, come Caforio (Idv): «Signor Ministro, signor Presidente, da sempre abbiamo sostenuto che questa guerra è iniziata male e prosegue nell'indeterminatezza e insicurezza non solo per i militari inviati nel territorio, ma anche per gli obiettivi preposti. (...) Si diceva che sarebbe stata una missione di pace, adesso siamo - è inutile nasconderlo - nel bel mezzo di una guerra, in balia di attentati e agguati da parte talebana e, direi, anche di altre forze, spinte da indicibili interessi che le potenze alleate non riescono a contrastare. Continuiamo ad osservare minuti di silenzio senza sapere quanti altri, purtroppo, ne saremo chiamati a rispettare. Questa guerra va avanti senza aver più obiettivi, né regole». E ancora più avanti: «È ora che si passi dalle parole alle azioni e che quindi il Governo proceda al ritiro delle nostre truppe dall'Afghanistan. Il gesto di più alta responsabilità che la maggioranza potrebbe compiere oggi, alla luce dell'ennesimo contributo di sangue versato dal nostro Paese, sarebbe quello di ordinare a tutti i contingenti coinvolti nella missione di tornare a casa. Non vogliamo più accogliere nemmeno un singolo corpo in una cassa di zinco».
Perché altro il quadro della situazione enfaticamente ottimista del ministro: «I 92.000 rapporti redatti dal Pentagono tra il 2004 e il 2009 raccontano di un Paese molto lontano dalla pacificazione e dalla democratizzazione. L'Afghanistan è in balia dei trafficanti di droga e dei talebani sempre più organizzati e tecnologicamente evoluti. Gli studenti coranici, sempre secondo fonti statunitensi, sarebbero persino più forti oggi che nel 2001. Il Governo Karzai, sostenuto dalle forze occidentali, delude ogni giorno di più: non solo fa poco per opporsi ai signori della guerra e dell'oppio, ma risulta alle volte persino connivente con essi e privo di quella legittimazione democratica che dovrebbe spettare ad un Governo regolarmente eletto». Insomma, che ci stiamo a fare lì? Retorica governativa? A che prezzo?
Alla Poli Bortone (Udc) piacciono invece le favole: «Siamo tutti consapevoli della crescente pericolosità della situazione nell'area dell'Afghanistan e del vicino Pakistan, ma la nostra presenza, che non è mai stata quella di controllare il Paese o di dettarne il futuro bensì di combattere un nemico comune, Al Qaeda e i suoi alleati, resta ancora purtroppo necessaria». Così scopriamo che stiamo combattendo la guerra che si è inventato Bush. Con Obama a caccia di Osama perché «raggiunto questo obiettivo ci auguriamo che quelle popolazioni possano finalmente vivere libere». E veniamo alla Lega, discorso di cieca collateralità al partito del premier. Per il resto una sola frase da annotare. Torri: «Soprattutto non mi sembra corretto pensare, come è apparso su alcune agenzie, anche se a nome di qualcuno che fortunatamente non fa più parte dell'arco costituzionale, che l'Afghanistan diventi un Vietnam per l'Italia». Già, non siamo l'America. Ah, la fortuna di essere marginali.
Per il Pd è intervenuto Marcenaro che ha tentato un discorso in stile «sovietico», della serie, ovviamente traslando, «gli eroi del socialismo»: «Quelle di questi due militari non sono vite sprecate. E non sono vite sprecate in primo luogo se la politica è in grado di fare il proprio dovere, di assumersi le proprie responsabilità, perché l'uso della forza, anche in una situazione difficile come quella dell'Afghanistan, è per rendere possibile alla politica di svolgere il proprio ruolo, per rendere possibile il negoziato e la costruzione di un futuro diverso, per dare alla pace una possibilità. Se qualcuno di voi attraversasse il traforo del Frejus, troverebbe scolpita davanti all'entrata della galleria una lapide con i nomi degli operai e dei tecnici che sono morti nella costruzione di questa galleria. Se domani noi riuscissimo nella difficile e complessa operazione di costruire un nuovo edificio della comunità internazionale, penso che su quell'edificio saranno scolpiti, insieme a quelli di tutte le altre vittime e di tutti gli altri caduti, anche i nomi di questi due sminatori che sono morti nei giorni scorsi a Herat». Ma venendo al nocciolo della questione: «Noi, signor Ministro, come lei sa, lunedì prossimo discuteremo e approveremo, io spero con un voto unanime, il rinnovo delle nostre missioni internazionali». E dopo qualche altra frase chiude così: «Io concludo, signor Ministro, chiedendo al Governo di essere presente lunedì e di essere rappresentato a questa discussione in modo adeguato, attraverso la partecipazione dei Ministri della difesa e degli esteri, per contribuire, in quella sede, che è la sede giusta, alla discussione politica che su questi problemi è necessaria. Io penso che questo sia il modo in cui noi possiamo rafforzare l'impegno comune, che su questi temi e su questi problemi ha, fortunatamente, a differenza di altri campi, unito il Parlamento italiano». E giù tutti ad applaudire, centrosinistra, centro , centrodestra.
Il dibattito è stato chiuso per il Pdl da Cantoni che ha svolto un pacato intervento esplicitando le motivazioni di politica internazionale che portano la maggioranza di centrodestra a sostenere l'intervento armato in Afghanistan del governo Berlusconi.
Io credo che se i nostri politici in Parlamento, dopo la rituale informativa del governo su fatti di sangue come questo, evitassero di cercare dei distinguo inesistenti sul problema (oltretutto ormai è difficile essere non ripetitivi, originali), ma osservassero un minuto di silenzio, forse rispetterebbero in maniera più consona il sacrificio della vita di quanti hanno mandato a morire in Afghanistan.

Allarme OGM

Greenpeace ha lanciato oggi l'allarme OGM in Friuli. Campioni prelevati nei giorni scorsi in un campo di mais nel comune di Fanna, in provincia di Pordenone, analizzati da un laboratorio certificato hanno confermato che si tratta di mais transgenico, precisamente di un mais transgenico brevettato dalla statunitense Monsanto, il MON810. Dice Greenpeace: «Abbiamo scoperto in pochi giorni quello che le autorità avrebbero dovuto dire da tempo, rivelando la fonte della contaminazione transgenica. Siamo di fronte ad un atto irresponsabile oltre che illegale. Il mais è già completamente fiorito e da giorni sta disseminando il proprio polline sui campi adiacenti e su una vasta area, trasportato dal vento e dagli insetti». Insomma il Friuli rischia una pesante contaminazione.
Un comunicato stampa di Greenpeace evidenza come «il campo OGM in Friuli viola il Decreto Legislativo 24 aprile 2001, n. 212, che prevede il rilascio di una specifica autorizzazione per la loro semina, in assenza della quale è prevista la pena dell'arresto da sei mesi a tre anni o dell'ammenda fino a euro 51.700». Inoltre ricorda che il Decreto firmato lo scorso aprile dai ministri dell'Agricoltura, della Salute e dell'Ambiente vieta espressamente di coltivare mais OGM MON810 in Friuli. Le disposizioni, ricorda Greenpeace, mirano a garantire i prodotti tradizionali e biologici dalla contaminazione con quelli transgenici e a evitare un danno all'ambiente.
Greenpeace sollecita la Procura di Pordenone ad intervenire senza perdere altro tempo per mettere fine alla vicenda: i responsabili della violazione devono essere incriminati e «bisogna iniziare la conta dei danni legati a questo atto scellerato, che non devono certo ricadere sugli agricoltori onesti o sugli Enti pubblici. L'associazione ambientalista si aspetta inoltre «un intervento immediato del ministro dell'Agricoltura, Giancarlo Galan, a difesa degli agricoltori friulani, e del ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, autorità competente per il rilascio di Ogm in ambiente, a difesa della biodiversità del nostro Paese».
Un altro caso di malagricoltura scoperto e denunciato ormai senza ombra di dubbio, dunque. Se ne ricava un monito a non abbassare la guardia e a vigilare sulle coltivazioni di quanti si sono dichiarati e si dichiarano apertamente favorevoli all'introduzione di coltivazioni transgeniche.

mercoledì 28 luglio 2010

Nervosismo

Il fatto. Lunedì mattina in prefettura a Lodi, la firma alla presenza del ministro Maroni del Patto per la sicurezza rafforzato da un milione di euro di risorse fornite dai comuni di Casale, Codogno, Sant’Angelo e Lodi Vecchio per interventi su ordine pubblico e opere per riqualificare il territorio. Il Patto in particolare prevede che i comuni di Lodi, Casale, Codogno, Lodi Vecchio e Sant’Angelo dovranno impegnarsi per collaborare con le realtà vicine per gestire il servizio di polizia locale; la Provincia dovrà rafforzare la tutela ambientale ed ecologica, la sicurezza stradale e la protezione civile, ma dovrà anche creare un posto di polizia nella Bassa. Insomma attorno al tavolo col ministro dell'Interno, prefetto e altre autorità, il vicegovernatore regionale gibelli, il presidente della provincia Foroni e i sindaci lodigiani che «contano».
Le polemiche. A margine dell'incontro a smuovere le acque il vicegovernatore che, dopo aver affermato che «Regione lombardia può concretamente contribuire a rendere efficaci i patti territoriali della sicurezza» mettendo a disposizione alcuni strumenti e sfruttando competenze nel governo del territorio, puntualizza con un piccolo spot: «La condivisione del patto per la sicurezza con la Provincia è possibile perché al governo c'è un ministro del centrodestra». E butta lì una frecciatona: «Ho visto il sindaco di Lodi un po' nervoso. Dico che Guerini non avrebbe avuto l'opportunità di sedersi a un tavolo per questo piano se ci fosse stato un governo diverso da quello che c'è, ovvero con un ministro della Lega. Quindi, viste anche le risorse messe in campo dalla Provincia che sono ingenti, mi aspettavo un atteggiamento po' più istituzionale». Insomma, un patto della sicurezza possibile solo con un governo dove c'è la Lega, impossibile ad esempio con un governo di centrosinistra.
La risposta non si è fatta attendere. Oggi su quotidiano Il Cittadino, Guerini sbotta: «La presenza del sindaco alla cerimonia di lunedì è stata circostanza ovvia, trattandosi della firma di un documento elaborato per iniziativa congiunta del comune capoluogo e della Prefettura, in seguito opportunamente estesa al coinvolgimento della provincia e di altri centri del territorio. Ricordo, inoltre, che per rappresentare la città in qualità di sindaco è necessario vincere le elezioni, evento che per quanto mi riguarda si è verificato l'ultima volta lo scorso 28 e 29 marzo ma di cui l'onorevole Gibelli non sembra aver avuto ancora notizia. Inoltre se c'è un criterio a cui ho cercato di improntare tutta la mia esperienza politica e amministrativa è proprio quello del rispetto delle istituzioni e della ricerca del dialogo, senza alcuna preclusione né pregiudizio partitico, come dimostrano i riconoscimenti che ho formulato nei confronti del ministro Maroni». Toh, un altro che non coglie le «sfumature» politiche e la butta sul personale. Un invito a nozze per Gibelli: «È evidente che quella che sembrava una semplice impressione, si è trasformata in triste realtà vista la reazione del sindaco di Lodi alle mie considerazioni e visto il nervosismo persistente, e poi considerato che guerini tiene così tanto a ribadire di aver vinto le elezioni [una moda tra i sindaci piddini, chioso io], vorrei rassicurare il primo cittadino che lavorerò affinché si possa estendere a livello nazionale, ma solo per lui, la possibilità di fare un terzo mandato come sindaco. così manterrà la poltrona anche dopo marzo 2015. Se malauguratamente vorrà invece candidarsi alle politiche, come i maligni vociferano in città, potrà essere l'occasione per cambiare aria e rilassarsi un po'». Grande.
Ma veniamo al fatto vero per cui scrivo l'articolo.
Sopra l'articolo che compare nell'edizione a stampa. La foto di Guerini a sinistra, quella di Gibelli a destra. Ma se si va a vedere l'edizione web dello stesso articolo, ecco materializzarsi una «presenza». L'amico Giuseppe De Carli morto da poco, presente nella foto sotto da cui è stata tratta quella di Guerini. Al di là della curiosità in sé, la sorpresa di un caro ricordo che difficilmente sbiadirà nel ricordo di quanti lo hanno conosciuto o hanno lavorato con lui.

Quote latte

Il Consiglio regionale della Lombardia ha votato con 39 voti a favore e 25 voti contrari un ordine del giorno che chiede al presidente della Regione roberto Formigoni di farsi parte attiva per cancellare dal maxiemendamento del governo la proroga per il pagamento delle multe per le quote latte. Il documento, prima cosa importante, evidenzia come la dilazione sulle sanzioni relative alle quote latte riguardi solo 109 produttori su oltre 40mila in regola con la normativa comunitaria, come ha sottolineato il consigliere regionale lodigiano del Pd Fabrizio Santantonio in alcune dichiarazioni riportate oggi dal quotidiano Il Cittadino di Lodi. È una presa di posizione, anche se sicuramente tardiva, che rappresenta un disagio presente in quanti credono nella legalità e che denuncia «l'insostenibilità della posizione volta a preservare un piccolo gruppo di allevatori a lavorare al di fuori delle regole».
Seconda cosa importante è la sconfessione a livello lombardo della Lega in quanto il documento approvato denuncia il fatto che «la decisione presa dall'esecutivo di Roma contrasta con l'azione intrapresa da Regione Lombardia che, nel rispetto delle regole comunitarie e nazionali relativamente al pagamento delle quote latte, e nel trasferimento dell'ultima tranche di contributi Pac di oltre 12 milioni di euro, ha trattenuto gli importi a compensazione del debito contratto dai produttori». Insomma la Lega è fuori, con il suo atteggiamento protezionistico nei riguardi di una sparuta lobby difende interessi che non sono gli interessi della comunità lombarda. Oggi in Parlamento si vota la fiducia sulla manovra, che comprende anche la proroga al 31 dicembre del pagamento delle multe sullo sforamento delle quote latte, e il documento inviato al governo sul piano operativo rispetto al risultato concreto ha il valore di un sasso in uno stagno. Tuttavia il messaggio è forte, soprattutto se a livello lombardo lo si farà pesare: «la Regione Lombardia dice al governo nazionale di applicare le regole».
Facendo una parentesi locale, Brembio, salta all'occhio l'occasione persa dall'amministrazione guidata dal Pd nostrano di farsi protagonista, stante le eccellenze zootecniche tante volte reclamizzate con significative foto e dichiarazioni sulla stampa lodigiana, e l'istituzione addirittura di un assessorato alle politiche agricole, di avere parte attiva nella questione, allineandosi col Pd lodigiano e lombardo nel contrastare i furbetti della stalla.

Vip e coca

Ambrogio Crespi su Clandestinoweb ha pubblicato oggi un articolo sulla movida milanese, che sottolinea in modo pungente alcuni aspetti della vicenda. Come si sa, nei giorni scorsi due locali simbolo della movida, l'Hollywood e il The Club, hanno chiuso. Commenta Crespi: «Così abbiamo scoperto che a Milano nei locali notturni circolano droghe. In tutto questo c'è una grande ipocrisia». Perché «a Milano vengono vendute secondo le statistiche 15mila dosi al giorno di cocaina e questo non riguarda solo le discoteche, perché è sufficiente, per chi come me ha abitato a Milano, fare una passeggiata serale in Corso Como per sentirsi come in una qualsiasi piazza di Amsterdam con decine di pusher che ti offrono a cielo aperto e sotto gli occhi di tutti una gamma variegata di sostanze stupefacenti».
Cioè della cosa se ne occupano media e opinione pubblica solo quando vengono coinvolti in fatti droga Vip e Starlette. Quando invece ci si dovrebbe seriamente preoccupare d'un fenomeno che colpisce largamente i giovani.
Crespi aggiunge: «La cosa che mi dà fastidio di tutta questa vicenda è che ancora una volta, il signor Fabrizio Corona strumentalizza questa vicenda per farsi pubblicità, vive solo di visibilità a qualsiasi prezzo. Mentre la collaboratrice di giustizia Belen Rodriguez, rischia di non andare a Sanremo». Ipocrisia e controsensi, insomma. E chiude chiedendosi: «Scoppia un secondo caso Morgan?», e aggiunge come in risposta un amaro «Se l'utilizzo di cocaina, è una discriminante per partecipare al festival di Sanremo, di questo passo troveremo sul palco Bonolis e Laurenti da soli». Già, il tragico che sta sotto la maschera. Quel mondo è l'esempio venduto ai giovani d'oggi: tette e culi, facili guadagni e coca. E non dite che questo è vetero moralismo.

L'antenna

Le pagine di Lettere & Opinioni del quotidiano lodigiano Il Cittadino, oltre ad essere una intelligente iniziativa editoriale, sono uno specchio utile per mettere a nudo il lato B delle saccenti amministrazioni che governano i 61 comuni della galassia provinciale lodigiana e i comuni del sud-Milano. Così chi mi segue mi perdonerà se rilancio attraverso il blog piccoli e grandi «gridi» di dolore come la lettera che segue del 27 luglio.
«Egregio Direttore, nelle immediate vicinanze di Via della Codignola a Lodi, è sorta l’ennesima antenna per la telefonia. La nostra è una zona popolata da numerose famiglie ; nei pomeriggi da settembre in poi (ora tanti sono in ferie) tantissimi bambini e ragazzi giocano nei giardini e negli spiazzi verdi; nella mia via abita una famiglia che ha appena avuto una bellissima bimba. Tutto ciò mi sembra incompatibile con un ulteriore inquinamento ambientale; mi sembra solo questione di buon senso. Sicuramente si può trovare un’allocazione per l’antenna (se è proprio necessaria) che sia rispettosa anche della salute delle persone; come in tutte le cose è solo questione di buona volontà. Spero che le Istituzioni dimostrino di avere a cuore i nostri bambini. Distinti saluti.»
A scrivere è la lodigiana Graziella Lanzi, che evidenzia l'«incuria» degli amministratori verso i propri amministrati. Si dà il permesso sic et simpliciter senza informare (almeno), perché discutere con loro l'opportunità o meno di una istallazione del genere è un lusso, evidentemente, che i cittadini non meritano. E questa è una giunta di centrosinistra a guida Pd. Un'area politica che «dovrebbe» essere sensibile, se non altro, al dialogo con la gente. Ma se i cittadini non sono che voti e basta nelle urne elettorali per garantirsi la propria rielezione alla faccia poi del bene collettivo, che speranza hanno gli alberi di non venir abbattuti, i beni culturali di essere salvaguardati, le diverse forme di vita di essere garantite proprio per la ricchezza costituita dalla loro biodiversità? Loro neppure votano!

martedì 27 luglio 2010

Paladini quanto?

Green economy, economia verde, è la nuova parola d'ordine di moda della politica italiana. Particolarmente in certi ambiti dove il fascino di Barak Obama fa ancora tendenza veltroniana nonostante l'acqua passata sotto i ponti. Scriveva sul suo blog nel luglio dello scorso anno Massimo Preziuso, un militante, dopo aver partecipato al Convegno di presentazione della candidatura di Pierluigi Bersani alla segreteria del Pd - roba vecchia ma significativa: «Non ho sentito la definizione di un tema trainante che possa portare il Pd ed il Paese fuori da questa lunga fase di stallo. Mi sarei infatti aspettato da Bersani un forte accento sulla necessità di impostare una "Rivoluzione Economica e Sociale" in Italia, coinvolgendo le nuove generazioni nella definizione dei nuovi contenuti programmatici del Partito Democratico, e avrei sognato che Bersani ponesse al centro di questa rivoluzione il tema della "Green Economy and Society", tema su cui ci battiamo da qualche anno, ma che ancora non riesce a prendere piede nel panorama politico italiano». Non sostanza, dunque, ma fuffa, propaganda per dimostrare il proprio stare al passo con i tempi. E se questo è il livello nazionale più si scende di livello più la «cosa» mostra la propria cifra di slogan. Anche se spesso la buona volontà c'è, ad esempio, enfatizzando il green procurement, cioè l'acquisto e l'uso di risorse eco-compatibili da parte delle pubbliche amministrazioni come «la» green economy.
Questo anche aiutati dal fatto che non esiste una definizione soddisfacente di green economy, di «economia verde». In realtà, il termine comprende settori come l'efficenza energetica, la produzione e distribuzione di energia rinnovabile, il trasporto sostenibile, la fornitura di acqua, la depurazione, la gestione dei rifiuti e l'agricoltura sostenibile, oltre ovviamente alle industrie che usano risorse in modo efficiente, tecnologie intelligenti. Insomma, parlare di green economy non significa parlare solo di energia e fonti rinnovabili, ma anche di salvaguardia dei beni ambientali, culturali, artistici ed architettonici. La necessità di rendere l'economia più armonica con l'ecosistema significa poi anche altro. Richiede l'allargamento della partecipazione di tutti gli individui. In particolare i lavoratori non possono continuare ad essere ingranaggi del meccanismo di accumulazione (capitalista o socialista che sia). La green economy richiede anche un progresso culturale e l'estensione della democrazia, perché le trasformazioni sociali ed economiche sono fenomeni strettamente correlati.
In ambito locale non ci si può dire paladini della green economy solo installando, cosa buona naturalmente, del fotovoltaico e tralasciando interventi che riguardano tutti quanti gli altri aspetti, dalla distruzione del verde, alla cementificazione, al degrado dei beni architettonici, alla partecipazione democratica della popolazione nelle decisioni che incidono sullo sviluppo armonico di una comunità.

lunedì 26 luglio 2010

Scempi

Una lettera con osservazioni piene di buon senso è quella di Andrea Scapin pubblicata dal quotidiano lodigiano Il Cittadino il 21 luglio scorso, che riporto integralmente. Scrive Scapin:
«Tra Mulazzano e Dresano entro pochi anni sorgerà una tangenziale a otto corsie, la est-est. La superstrada che dovrebbe diminuire il traffico sulla via Emilia a Melegnano è a mio parere uno scempio per l’ambiente. L’impatto ambientale che causa è rilevante, chilometri quadrati di asfalto sostituiranno i chilometri quadrati di terreni che oggi producono beni alimentari, molti animali saranno costretti ad allontanarsi e molte aziende agricole saranno svalutate dal punto di vista ambientale. Il problema non è solo per un discorso di tipo paesaggistico ma anche per un discorso di salute; il lodigiano ha già un alto tasso di tumori e l’aria non è delle migliori, con questa tangenziale peggiorerà ancora e sarà causa di inquinamento atmosferico e acustico. A mio parere più si costruiscono strade e più le persone sono invogliate ad utilizzare l’auto, anche per andare a prendere il pane. Bisogna pensare di potenziare i mezzi pubblici e le strade ferrate che sono sicuramente più ecologiche e più rispettose verso l’ambiente che stiamo invece distruggendo.»
Purtroppo l'idiozia tra gli amministratori lombardi e lodigiani in particolare è trasversale. Tutto colpa della legge Basaglia, si sarebbe detto qualche anno fa. Sarà antipolitica, ma è evidente che con una miriade di motivazioni, dal far cassa per buttare poi i soldi in circenses, all'assecondare i desiderata dei lobbisti di turno che promettono voti, stanno distruggendo da queste parti, piano piano, un patrimonio ambientale costruito nei secoli dalla civiltà agricola che ha fatto conoscere con le sue eccellenze queste terre nel mondo. Ma la colpa è anche nostra, di noi elettori che ci fermiamo alla superficie e non andiamo a fondo. Per dirla con un proverbio delle mie parti dobbiamo renderci conto che il più delle volte ciò che ci viene mostrato è de sora lisso, lisso, de soto merda e pisso; che è sempre più necessario, cioè, per noi cominciare a prestare molta attenzione a chi diamo il nostro voto, che è bene prezioso. Anche se tendono, i politici, a svilirlo come gli industriali il prezzo del latte.

domenica 25 luglio 2010

Bavaglino democratico

Ho ritagliato dalla pagina delle lettere del quotidiano Il Cittadino di venerdì scorso una lettera del segretario di Rifondazione di Paullo e capogruppo in comune della Lista civica «A Sinistra per Cambiare». Denuncia un fatto, diciamo, «curioso» in una attualità nazionale di opposizione al bavaglio sull'informazione. In questo caso non si tratta di informazione giornalistica, ma di informazione politica. Scrive Giancarlo Broglia - così si chiama il segretario del Prc di Paullo: «Il Sindaco e la maggioranza di governo locale (lista per la città di Paullo, sostenuta da Pd, Idv, Sel) il 5 luglio hanno proposto ed approvato, con voto contrario di Sinistra Per Cambiare - Prc e di altri gruppi, in Consiglio comunale una norma che da ora in poi vieta di organizzare banchetti politici presso i principali luoghi d'aggregazione del paese, tra cui lo storico Mercato del sabato pomeriggio al Parco S. Tarcisio ed alcune importanti piazze». Incredibile.
Scrive ancora il segretario di Rifondazione: «A Paullo, fare politica è diventato quindi più difficile che nel resto d'Italia. Dopo non essere stato in grado di circostanziare, in Consiglio comunale, le motivazioni della scelta restrittiva il Sindaco è arrivato a balbettare ai microfoni di una nota emittente radiofonica lombarda "che i banchetti politici disturbavano cresime e matrimoni"».
E Broglia nel giudizio politico va giù pesante: le «panzane» insomma hanno un solo scopo, «servono solo a nascondere la pesantezza del gesto antidemocratico commesso dal Sindaco e dai suoi colleghi di maggioranza ed il loro obiettivo fondamentale: non permettere che altri facciano politica, loro vogliono scientificamente eliminare la partecipazione alla vita democratica di attivisti e dei cittadini, vogliono meno militanza, meno libertà, meno confronto, meno informazione. Costoro, pensateci bene, stanno dando un pericoloso senso concreto al qualunquismo strisciante e all'antipolitica di cui tanti parassiti del bel paese amano nutrirsi in questi anni bui per continuare a farsi gli affari loro». E ancora: «Questa deriva autoritaria è decisamente preoccupante, soprattutto perché parte da una maggioranza che si spaccia di centrosinistra, e ci auguriamo che tali atteggiamenti alberghino solo negli animi dei "piccoli esponenti locali di partito animati da piccole manie di protagonismo"». Il segretario di Rifondazione quindi rivolge un appello agli esponenti provinciali e nazionali dei tre partiti citati perché provino a far ragionare i loro rappresentanti locali.
E si rivolge ai militanti, agli elettori di tutti i partiti: «Parlatene nei circoli, chiedete ai vostri Assessori di riflettere, ditegli se sono per davvero convinti che sia democratico ed utile, in questi tempi brutti, mettere il "bavaglino" all'informazione locale, vietare ai partiti politici di stare in piazza a discutere con lavoratori e cittadini di licenziamenti, di crisi economica, di speculazione edilizia, della tanta mafia che avanza, di acqua pubblica, della metropolitana che non arriva e della sciagurata nuova Autostrada Tem, dei problemi quotidiani delle classi popolari».
Senza dubbio un provvedimento assurdo ed un pericoloso precedente. Tant'è che Broglia annuncia: «Lotteremo per farlo cancellare, perché non diventi un pessimo esempio da imitare da qualche altro sindaco magari più abituato a vietare veli, kebab e gelati per la strada».
Che un sindaco democrat arrivi a tanto non desta più di tanto meraviglia. Meraviglia molto di più che partiti come quello di Di Pietro o quello di Vendola, si prestino a tener bordone.

Kaiserin Elisabeth

Ho ricevuto da Sandi Stark per il gruppo su Facebook «Trieste Asburgica» il messaggio che trascrivo:
Carissimi, su http://www.iluoghidelcuore.it/ i fà una petiziòn per i luoghi/monumenti da dedicarghe all'Unità d'Italia.
Iniziativa del FAI: «Promuovere in concreto una cultura di rispetto della natura, dell'arte, della storia e delle tradizioni d’Italia e tutelare un patrimonio che è parte fondamentale delle nostre radici e della nostra identità». Col patrocinio de Intesa San Paolo, che spartissi i volantini in tutte le banche de Italia.
Xe anche Garibaldi, col motto: «Lui l'ha fatta, aiutaci a salvarla». Po' xe scritto: «Mille uomini hanno fatto l'Unità d'Italia, per votarla e salvarla basti tu».
Visto che Trieste farìa parte del Italia, se pòl votàr qualsiasi logo e monumento. Mi ghe go segnalà el monumento alla nostra Kaiserin Elisabeth; se gavè voia, andè sul Sito e podè votarlo. Sul Gruppo xe spiegàdo tutto.
A Trieste xe 24 voti, circa 7 per la Staziòn Meridionale. Ma mi voio propio vedèr cossa che i fa, se el monumento de Sissi risultassi el più votado de Trieste. I lo scancelerà? Saria de rider... I lo tièn? Saria ancora più de rider...
Servus muloni, viva l'A.!
In effetti, centocinquant'anni fa, quando fu fatta la cosiddetta «Unità d'Italia», Trieste era da secoli una felice città dell'Austria ed il suo porto commerciale. L'idea di sventolare in occasione del centocinquantenario in Piazza Grande la bandiera asburgica, buttata lì dal leghista Edouard Ballaman, non è poi così peregrina.

sabato 24 luglio 2010

I numeri di Crespi

Crespi Ricerche ha pubblicato un nuovo sondaggio politico che presenta alcune novità interessanti. Innanzitutto sul bisticcio Berlusconi-Fini. Scrive Luigi Crespi che nel caso che Fini uscisse dal Pdl, la sua nuova formazione oscillerebbe tra il 10,0% e il 12,0%, un aumento di consenso rispetto il precedente sondaggio che la dava tra l’8,0% e il 10,0%. Fini per il 53,9% è considerato più onesto di Berlusconi, il quale, invece, lo è soltanto per il 34,7%. Per il 43,2% Berlusconi è più simpatico di Fini, al 34,5%. Come politico innovativo Berlusconi stravince: 58,4% rispetto al 28,2% di Fini. Quanto a credibilità vince Fini 52,1 a 41,7%. In concretezza Berlusconi appare insuperabile: 56,8% mentre Fini al 28,3%.
Quanto alle forze politiche, il Pdl è sceso al 33,5% (-1%), la Lega stabile al 13%, il Pd attestato al 26%. Di Pietro con l'Idv sale al 6,5% (+0,5%), mentre l'Udc scende dal 7,2 al 6,5%. Interessante la progressione in aumento di Sinistra Ecologia e Libertà di Nichi Vendola, ora al 5% dall'1,1% di gennaio 2010. Rifondazione 1,8% (-0,4%).
Berlusconi in continua discesa da maggio 2010 è ora al 48,2%, con una perdita nell'ultima settimana del 2,4%. Bersani ritorna a scendere, ora al 23,5% (26% il 6 luglio, 25% il 5 luglio).
L'articolo originale con le tabelle lo trovate qui.

Bavaglio per ferie

In questi giorni si parla tanto di bavaglio alla stampa. Grande show di politici pro o contro o contro a parole e conniventi con i primi. Larga scelta. Per tutti i gusti. Bavaglio, bavaglino, scotch. E poi si legge una lettera come quella pubblicata ieri dal quotidiano di Lodi Il Cittadino, inviata da tal Emanuele Marchesi. Scrive il lettore: «Egregio Drettore, nel complimentarmi con il Vs. giornale per la capillare distribuzione anche in lontane località di villeggiatura durante il periodo estivo, La invito ad occuparsi anche di chi in vacanza non ci può andare (e magari non ha i mezzi per spostarsi): con dispiacere, infatti, Le comunico che in tutto il territorio del comune di Massalengo, 7 km da Lodi, «il Cittadino» in questi giorni non può essere acquistato, poiché la rivendita abituale è chiusa per ferie e nessuno vende i quotidiani! Robb de matt! Cordialità».
Comprensibile rimbrotto del lettore che si sente trascurato dalla sua fonte d'informazione preferita. Ma se non c'è quel quotidiano non c'è pure nessun altro. Altro che legge: un bavaglio bello e buono, per ferie.

La corale

Tarcisio Papetti, personaggio noto nel Lodigiano, è intervenuto ieri sulle pagine di Lettere & Opinioni de Il Cittadino con una breve lettera suggerita dal buonsenso, che fa un preciso quadretto dell'Italietta in cui viviamo. Scrive Papetti: «C’è un detto: “Dagun a chi se vanta toghen a chi se lamenta”. Industriali, commercianti, agricoltori, si lamentano tutti, forse coloro che hanno la giusta ragione di lamentarsi non si lamentano. C’era una richiesta di automezzi, anziché produrne mille al giorno si passa a duemila senza prevedere che il mercato si satura. Questo vale anche per l’edilizia, quanti appartamenti sono vuoti? Il commercio è in stallo, la causa è l’incontrollata importazione. Agricoltori sempre più vacche, prima stalle da cento, poi centocinquanta, duecento, trecento, cinquecento, in Italia ci sono due milioni di vacche. Assisteremo a una parabola decrescente, aumenterà l’importazione del latte. Serve maggiore stabilità non rincorrere i guadagni che appena vengono a mancare ci si lamenta. Non ho mai sentito dire: è un periodo che si guadagna, i guadagni vengono accantonati, si pretende che le perdite vengano suddivise a tutti. Saluti!».
Insomma, a furia di pianto greco, rischiamo la fine della Grecia.

Il leader c'è, ma...

È indubbio che Nichi Vendola appaia e sia l'unico possibile leader offerto oggi dal panorama politico della sinistra. L'unico in grado di rifocalizzare l'attenzione del popolo della sinistra in un progetto di governo del paese del dopo-Berlusconi. L'unico ad offrire una via per una rinascita possibile di un'idea di progresso fondato sulla solidarietà verso il più debole e sul suo antisfruttamento. «Bisogna prenderla di petto e costruire comunità di solidarietà contro quelle di rancore. Il centrosinistra deve smettere di avere paura di confrontarsi con la destra sul terreno culturale e politico. Deve vincere per l’anziano e per l’operaio di Pomigliano, perchè se vincere significa che mi tolgo io dal potere e ti metti tu è una vittoria che non affascina», ha detto Vendola ai giornalisti a Piacenza.
E ha aggiunto: «Se la leadership contiene un racconto di trasformazione e capovolge l’egemonia culturale della destra, allora si può battere Berlusconi. La sinistra ha paura delle proprie ragioni. Siamo apparsi una coalizione di piccole conservazioni. Noi dobbiamo essere quelli che interpretano il coraggio dei tempi nuovi». Parole che non si sentono spesso di questi tempi. Ed il perché lo spiega lo stesso Vendola: «Io non sono impegnato nella costruzione di correnti e di trame all’interno dei palazzi del centrosinistra. Io voglio uscire dai quei palazzi». Il problema è qua. Il problema è il Pd che calamita acriticamente un voto maggioritario nella sinistra che gli permette di continuare giochi e giochini di potere. Che fanno definire ad un Bersani ieri la decisione della Fiat «sorprendente» e chiedere l'immediata convocazione di un tavolo sulla Fiat perché «c'è una dispersione delle risorse industriali del nostro Paese». A furia di frequentare tavoli e tavolini qualche spirito alla fine è riuscito a suggerirgli l'idea che per l'industria nostrana non siano rose e fiori! E il massimo della risposta è l'ironia: «Chi lo apre questo tavolo? Vogliamo con l'occasione fare uno straccio di ministro dello Sviluppo economico?». Insomma, senza questo Pd non ci sono voti bastanti, con questo Pd si perde. Il dilemma di Amleto era più banale.
Già, perché c'è un'altra frase di Vendola su cui riflettere: «La Lega ha goduto molto del leghismo che è stato cavalcato anche a sinistra». Cioè il Pd scegliendo come politica di potere la rincorsa a destra, si è messo a fare il «cinese», a vendere - si pensi qui in Lombardia a Penati - merce taroccata sperando in una concorrenza pagante al prodotto originale. E poiché il prezzo era uguale la gente ha scelto ovviamente l'originale. Nei vari passaggi di sigla, ciò che oggi si identifica come Pd, ha cercato il colpo grosso di trasformarsi in termini di potere in ciò che era un tempo la Dc. Ma la realtà italiana nel frattempo è mutata, e piuttosto che cogliere i segni dei tempi, si è preferito proseguire sulla strada intrapresa finendo col perdere motivazioni e obiettivi e soprattutto le «masse». Il loft veltroniano rappresentava simbolicamente la situazione in modo adeguato.
Che fare? Già, che fare? È evidente che la dirigenza piddina ha oltrepassato non da oggi il punto di non ritorno. Una dirigenza di «destra» in un partito che ha una base di «sinistra». Questa la contraddizione. Grave, mortale. Anche una rottura, che prima o poi ci sarà, difficilmente riporterà gli ex diesse alla ragione politica della sinistra. La prospettiva di una lunga agonia, insomma, è quanto si profila. Solo il buonsenso perduto potrebbe suggerire all'attuale screditata classe dirigente democratica l'eutanasia. Ma è pia speranza. E le primarie, di cui Vendola dice «Sono un metodo indispensabile per mettere l’anima nel corpo un po' smorto del centrosinistra», una finzione. Difficile accantonare una prassi consolidata. E l'egemonia è prassi che viene da lontano.

venerdì 23 luglio 2010

L'eredità

Tutti i lodigiani hanno constatato, con il passaggio del testimone dalla ex giunta di centrosinistra alla giunta di centrodestra in Provincia, che «papà» Felissari aveva lasciato al giovane Foroni conti che non godevano di buona salute. Ora è saltata fuori una pesantissima eredità di «nonno» Guerini, che a suo tempo da presidente provinciale si è «trasformato» in sindaco di Lodi, riconfermato alle ultime elezioni. Una eredità che ha fatto dire all'attuale assessore al bilancio Cristiano Devecchi, come riporta il quotidiano Il Cittadino ieri: «In vent'anni di esperienza politica non ho mai visto nessuno affrontare un problema del genere. È un imprevisto gravissimo, che si somma agli altri disatri che abbiamo ereditato dalle precedenti amministrazioni e alle entrate in continuo calo». Non solo insomma un normale «avvelenamento dei pozzi» da parte di chi sospettava d'essere arrivato al capolinea, ma addirittura una «batosta ad orologeria».
La batosta arriva dalla sentenza del Consiglio di Stato sul contenzioso con la ditta Fabiani di Bergamo per l'appalto da 4 milioni di euro della tangenzialina Codogno-Maleo di sei anni fa e vale per la Provincia un esborso alla parte ricorrente di 450 mila euro. La sentenza, pronunciata lo scorso febbraio, ma a quanto detto dal giornale appresa dalla giunta provinciale solo pochi giorni fa, ribalta il precedente pronunciamento del Tar che aveva respinto il ricorso presentato dall'azienda esclusa, e condanna la Provincia a rifondere alla ditta bergamasca il dieci per cento del mancato guadagno.
Lamenta Devecchi: «Nel 2004 in provincia era al governo la seconda giunta Guerini, adesso però trovare nei meandri del bilancio i soldi necessari tocca a noi che non c'entriamo nulla». Il Consiglio di Stato, difatti, ha escluso una responsabilità diretta della commissione aggiudicatrice di allora e, dunque, a prescindere dell'amministrazione di turno, tocca all'ente provinciale rifondere il danno.
Il quotidiano lodigiano dice che la trattativa messa in piedi con la ditta ha portato alla rinuncia da parte di quest'ultima degli interessi, 100 mila euro, e alla reteizzazione della restante cifra in tre anni. Insomma la giunta Foroni dovrà risolvere l'imprevisto per «modiche» quantità. Certo è che comunque la vicenda avrà ripercussioni su questo e i prossimi due bilanci.
L'«eredità» ricevuta in Provincia dal centrosinistra non è il solo caso in enti locali del Lodigiano dominati per troppo tempo dallo stesso colore politico. C'è da chiedersi, così come è successo per Secugnago, in quante altre «roccaforti» si troveranno sorprese dopo un cambio politico, prima o poi inevitabile guardando in prospettiva i mutamenti in atto nella base elettorale.

giovedì 22 luglio 2010

Malagricoltura

Oggi, nelle pagine di Lettere & Opinioni, il quotidiano Il Cittadino pubblica una lettera, inquietante per molti aspetti, che, proprio per quanto denuncia, va aiutata nella sua divulgazione. Cosa che nel mio piccolo faccio.
Scrive Angelina Corvi: «Caro direttore, sono Angelina, desidero estrinsecarle la mia disapprovazione su quanto visto. Tutti gli anni nella ricorrenza del 25 aprile, appena fa bello, mi faccio accompagnare da mia nipote a Corno Giovine presso la cascina Castelletto a porre un fiore dove fu fucilato il giovine Beltrami. Fu sicuramente un bravo ragazzo, molto mite anche se poco scelto di cervello, solo, fece una morte orribile di agonia, in quanto fu impedito il soccorso a chi stava sfalciando l’erba con lui, sotto minaccia d'armi. Lo conoscevamo tutti nelle cascine perché veniva a chiedere lavoro o un boccone di pane. Ho trovato il cippo commemorativo disfatto, i due grossi cipressi tagliati, li avevamo piantati 60 anni fa, il cippo sommerso di terra della pulizia dei fossi. Ho chiesto spiegazione al contadino, mi ha detto che gli alberi erano caduti, alla mia reazione che il ceppo del tronco era lì bel diritto come risulta dalle foto [il giornale pubblica una foto], ha cambiato versione sussurrando di pensare ai fatti miei. Chiedo la vostra collaborazione affinché la tomba sia sistemata e gli alberi ripiantati, mi raccomando non piccolini piccolini che poi muoiono subito ma di almeno 3 metri. Grazie».
In tutto il Lodigiano, territorio tra i più inquinati del mondo, che ha un triste primato di tumori, agricoltori dissennati suonano la danza macabra della motosega. E nessuno fa niente per impedire il taglio di alberi od obbligare ad una ripiantumazione. Alberi che aiuterebbero a mitigare l'inquinamento. Lo sfregio di Corno Giovine è un simbolo. Il simbolo di una nuova Resistenza da mettere in piedi contro questi avvoltoi del verde e chi in ambito amministrativo li sostiene per i trenta denari di qualche manciata di voti.

Acqua al gasolio

Il gruppo Italia dei Valori in Regione Lombardia, di cui fa parte anche il consigliere lodigiano Giulio Cavalli, ha presentato un’interrogazione per fare chiarezza su quanto accaduto nelle acque del Lambro con il disastro ecologico del febbraio scorso quando, con un atto doloso, furono sversati nel fiume oltre 2 milioni di litri di gasolio e olio combustibile. L'interrogazione punta a fare luce sulle reali dimensioni del disastro e sulle iniziative future a tutela del Lambro e di tutti i comuni che hanno subito e subiscono le conseguenze di un dramma ecologico che ha avuto una portata spaventosa. Al testo ha collaborato Legambiente.
Cavalli nelle sue dichiarazioni al quotidiano Il Cittadino sottolinea la necessità di stabilire la verità anche su un altro aspetto ovvero quello della natura delle sostanze che sono state riversate nelle acque del Lambro, per capire se gli idrocarburi arrivati anche nel Lodigiano fossero o meno commercializzabili, assecondando l’ipotesi che forse si nasconda molto altro dietro lo sversamento.
Dall’Idv è arrivato anche l’allarme per le irrigazioni nei campi; irrigazioni che hanno ottenuto il via libera dell’Arpa. Un via libera, come spiega Cavalli «che però non ci rassicura per niente: per questo vogliamo dati precisi sullo stato dell’inquinamento del fiume e su quanto si pensa di fare».

L'offesa

Non è bella cosa, soprattutto con esempi luttuosi altrove diffusi dai media nazionali, leggere sulle pagine di oggi de Il Cittadino:«Ventiseienne di origini albanesi convocato in una caserma lodigiana con il pretesto di una notifica e quindi picchiato da due carabinieri, per vendicare il fatto che, due giorni prima, avesse pubblicamente offeso uno dei militari di pattuglia dicendogli ripetutamente "bastardo"».
Il quotidiano lodigiano racconta che la vicenda, il cui iter processuale è alle battute finali, era stata denunciata nell’ottobre del 2006 dal giovane, che si è anche costituito parte civile e ora chiede 50mila euro di danni. Imputati tre carabinieri all’epoca in servizio al Radiomobile della compagnia di Lodi, per i quali rispettivamente il pm ha chiesto la condanna a 9 mesi di carcere per un maresciallo, a quattro mesi per un altro militare, chiedendo invece l'assoluzione per insufficienza di prove per un brigadiere, accusato solo di “omessa denuncia di reato”. Come riporta il giornale, per i primi due l’accusa principale è di percosse con l’aggravante dell’abuso di potere.
La vicenda, come il quotidiano riporta, è stata così ricostruita dalla procura: a Turano era stato fermato a un posto di controllo un veicolo con cinque ragazzi a bordo, italiani e albanesi, e, contestata l'ubriachezza del conducente, si era posto il problema di trovare un passeggero sobrio per evitare di dover affidare il veicolo al carro attrezzi. Così anche altri occupanti del veicolo erano stati sottoposti ad alcoltest, una procedura che aveva richiesto parecchio tempo durante il quale gli animi dei giovani si sarebbero surriscaldati. A questo punto il ventiseienne albanese avrebbe pronunciato l’ingiuria ma, invece di venir denunciato per oltraggio, reato che all’epoca era depenalizzato, è stato perseguito con una sanzione amministrativa per “ubriachezza molesta”, «nonostante il risultato negativo dell’alcoltest», come sottolinea l'avvocato che lo assiste, e quindi sarebbe stato convocato in caserma e percosso da almeno un militare, con una prognosi di 5 giorni certificata successivamente da un medico. Ovviamente i difensori dei tre militari sostengono l'innocenza dei tre.
Vada come vada, non è una vicenda esaltante per l'Arma nel Lodigiano, e su un piano più generale inquieta non poco.

mercoledì 21 luglio 2010

Un po' di sale nella minestra

«Politica è avere un sogno e tentare di animarlo per uscire da un triste presente». La definizione è di Gianfranco Fini ad un aperitivo organizzato dal Secolo d'Italia al «Caffè Universale» a Roma in occasione della presentazione del libro «In alto a destra», curato da Giuliano Compagno. Parole che sanno di idealismo frammisto ad un romanticismo velleitario. Perché nonostante il richiamo, in bocca al presidente della Camera difficilmente evocano il noto I have a dream.
Fini, il Caronte degli ex fascisti che ha fallito il traghettamento al liberalismo dei suoi camerati, si pone oggi un'altra meta, un altro obiettivo, una mission impossible: riportare la masnada all'etica d'un comportamento politico che coniughi doveri e diritti; ad uno spirito laico che significa «alimentare la cultura del dubbio, mettersi continuamente alla prova, sentirsi sempre in discussione». Per evitare il rischio che la politica diventi autoreferenziale. Del tutto, perché ormai il punto di non ritorno è a due passi. Per dirla insomma con altre parole d'altra ideologia, servire il popolo. Che non è un trasformarsi in «cameriere politico». Un'idea questa più da «festa dell'Unità»; che più si ritaglia a personaggi come il Cesare Botero di Nanni Moretti.
Fini non vuole fare la rivoluzione. Il suo è uno scopo, per così dire minimale: «mettere un po' di sale nella minestra». Niente di più. Ma quanto basta per mettere in agitazione chi ha la pressione alta. Evidentemente.
Fini dice che occorre «essere durissimi con chi non ha l'etica del comportamento politico. L'etica è di destra o di sinistra? Non lo so, ma senza di essa si naviga a vista. Occorre mantenere la capacità di indignarsi di fronte alla degenerazione dei costumi nella politica, occorre saper proporre ancora degli scatti di dignità. altrimenti finiamo per dar ragione a chi ritiene la politica complice del malcostume». Insomma, più che contro Berlusconi è per una sua liberazione dalle tele di ragno del malaffare che lo invischiano. Tant'è che riferendosi al Pdl dice: «Non si tratta tanto di ribadire che occorre un partito libero e aperto al confronto, perché questo è il minimo, è qualcosa che dovrebbe essere scontata. Si tratta, piuttosto, di dar vita a un progetto in grado di fornire risposte a quesiti impegnativi, come deve accasere in un grande soggetto politico nazionale ed europeo. Se noi ci riconosciamo nel Partito popolare europeo, ebbene, questa collocazione ha delle conseguenze. Significa, necessariamente, cercare di essere un soggetto politico votato a costruire la modernità. È incomprensibile, ad esempio, che il tema delle grandi riforme sia scomparso dall'agenda politica». Il problema è che, come li chiama, «i riflessi pavloviani delle vecchie appartenenze» non si connotano più ideologicamente, ma più terra terra. E mostrare cammini di ampio respiro a chi si preoccupa solo della propria bottega, si rischia di fare la fine del grillo parlante. Ed è un po' quello che sta accadendo a Fini, anche se la martellata non è ancora arrivata.

Nel tunnel

A fine giugno il quotidiano Libero pubblicava un editoriale di Maurizio Belpietro che significativamente titolava «Silvio si è rotto dei pirla». I pirla per il giornale erano «dirigenti goffi e pasticcioni, alleati che si sfilano se c'è un problema, governatori che pensano solo a loro stessi». La vicenda dell'inserimento nel maxiemendamento della norma che congela le multe agli splafonatori, un regalo all'illegalità, evidenzia un altro scenario. Cioè che il Pdl ha coagulato attorno ad un Berlusconi, tutto preso a levarsi dai suoi guai giudiziari e a salvaguardare il suo impero finanziario, una congerie di lobby del malaffare. Gentaglia che sfrutta il meccanismo del ricatto «senza di noi sei niente» per portare a buon fine i loro affari più o meno puliti, o, se volete, più o meno sporchi. Solo così si spiega l'evidente ultimo sfregio perpetrato alla legalità col salvacondotto del voto di fiducia. Nella chiusa dell'articolo Belpietro scriveva: «Ci vorrebbe un colpo di scena, una scossa che azzeri lo sconcerto e il malcontento per tutto quanto è capitato negli ultimi mesi». Il problema è che Berlusconi è prigioniero del suo stesso consenso. Legato mani e piedi. Difficile venirne fuori. Anche con un voto anticipato.

martedì 20 luglio 2010

Verde speranza

La villa Cosulich era in origine una dimora di campagna appartenuta alla famiglia dei baroni de Burlo. Nel 1903 passò di proprietà a Demetrio Carciotti, commerciante, che nel 1905 la vendette a Rutherford, anch'egli commerciante. Nel 1920 Antonio Cosulich, di ritorno dall'Argentina, acquistò la villa (e da qui anche il nome di Villa Argentina) e il parco che restarono di proprietà della famiglia fino al 1980, anno in cui l'immobile fu ceduto all'Istituto Burlo Garofalo e successivamente al Comune di Trieste.
Dai Quaderni del patrimonio immobiliare, gennaio 2004, apprendo che fu progettata nel 1906 da Ferruccio Piazza secondo il gusto del tardo eclettismo, con caratteristiche neorinascimentali e neobarocche. Trascrivo la sua descrizione. L’edificio è costituito da un semplice blocco rettangolare che si trasforma in struttura articolata in corrispondenza delle facciate. La facciata principale, esposta ad ovest, è particolarmente elaborata e presenta un prospetto monumentale, caratterizzato dalla doppia scalinata simmetrica e dalla molteplicità dei piani di avanzamento. Al centro della facciata, in corrispondenza del primo piano, è addossato un avancorpo semicircolare poggiante su due colonne, il cui volume è scandito dall’alternarsi di tre finestroni archivoltati e di colonne che sostengono una vistosa trabeazione; al di sopra della quale si erge una balaustra in pietra. La parte centrale dell’edificio è coronata da una sopraelevazione costituita da una loggia con aperture architravate. Lateralmente è costituita da tre piani; al pianterreno bugnato grezzo interrotto da semplici aperture quadrate; al secondo piano bugnato liscio con finestre rettangolari dotate di balaustra; al terzo piano, infine, intonaco a fasce orizzontali con finestre frontonate. Alcune aperture sono state murate. La continuità della veduta laterale è interrotta in corrispondenza del piano di facciata dall’avanzamento del corpo centrale con la sua loggia sopraelevata; le linee frastagliate dei cornicioni in aggetto e delle balaustre che coronano l’avancorpo semicircolare, nonché le scalinate mistilinee, concorrono a movimentare l’insieme e preludono al brusco trapasso dalla ripetitività delle facciate laterali alla complessità di quella principale. Oltre alla presenza di balaustre e di frontoni sulle finestre, la decorazione della facciata è arricchita da pannelli a mosaico, da mensole e chiavi di volta con fantasiosi rilievi e da grandi vasi in pietra posti sulla balaustra della loggia semicircolare. La facciata postica presenta anch’essa un basso avancorpo rettangolare che permette l’accesso al piano del giardino; la villa,infatti, è realizzata su un terreno in pendenza.

Nel primo progetto la loggia di coronamento era più aerea, con aperture separate da sottili colonnine; la balaustra correva al di sopra di tutto il secondo piano ed era ingentilita dalla presenza di alcuni vasi; la scalinata doppia si dipartiva dal centro del loggiato semicircolare con due semplici bracci curvilinei.

L'area della villa ha una superficie complessiva di quasi un ettaro ( 10.413 mq.) ed è divisa in due parti: una zona pianeggiante verso sud e una zona a pastini verso Strada del Friuli. Il giardino è ricco di specie arboree: quercia, abete cipresso, tiglio, sofora, frassino, robinia, pioppo, ailanto, faggio, tasso, ippocastano, acero, pino nero, cedro, orniello, bagolaro, albero di Giuda. E nella zona a pastini dove è stato realizzato il parco giochi si trovano alcuni alberi da frutto.
La villa ebbe recentemente un momento di attenzione sulle cronache locali come racconta babatriestina sul forum di A Trieste: «Villa Cosulich ga ciapado fogo ieri. Sul Piccolo i particolari, comunque par che el sia de origine dolosa. Ma paressi che i se gabi acorto in tempo e che se gabi rovinado solo che el tetto. Solo che se no i lo bieca in tempo, pioverà dentro e se rovinerà... cussì magari i dirà che la xe fatiscente... i la buterà zo e i farà dei bei condomini privati come l'Excelsior a Barcola... spero de sbagliarme, ma la zona xe apetitosa».
Cristina Degrassi, in un articolo di Vita Nuova del giugno 2009 così descriveva lo stato attuale dell'immobile: «Per dare la giusta fruibilità al parco, la villa è stata posta in sicurezza, almeno così sembra, ed è stata totalmente recintata per impedirne l’accesso. Le porte d’ingresso sono murate e la vegetazione lussureggiante si sta riappropriando, neanche tanto lentamente, dei suoi spazi, ricoprendo, a tratti quasi completamente, i piani bassi. L’intrusione di vandali, nel tempo, ha aggravato la situazione di decadimento con deturpazioni effettuate con bombolette spray, rotture di vetri, e per ultimo con un incendio che ha distrutto parte del tetto nei primi mesi del 2008. Comunque la si può ancora ammirare dall’esterno e sul lato che si affaccia al mare, dove c’è un vasto prato ed un parapetto semicircolare in pietra con elementi decorativi neoclassici. Questa villa assomiglia ad un’anziana e nobile signora, decaduta sì, ma non per questo meno affascinante. Naturalmente questa parte del parco è la meno frequentata: lo si intuisce dall’erba alta, dai vialetti meno delineati e lo si constata nel silenzio. Su questo lato della villa, che rimango ad ammirare molto a lungo, diverse scalinate mangiate dalla vegetazione portano a dei bei patii circolari, ed un mosaico, posto molto in alto e miracolosamente graziato dalle intemperie, risplende ancora sotto i raggi del sole regalando colori sgargianti». E la giornalista sogna: «Questa villa con il suo parco, se ripristinata totalmente, sarebbe un luogo magnifico. Secondo me, ma è solo la mia opinione, la sua naturale destinazione potrebbe essere legata all’arte e alla cultura, con mostre permanenti e laboratori artistici, e, forse, una parte museale, se fosse ancora possibile restituire al suo interno, dopo un così lungo abbandono, il suo storico ed illustre passato. Il suo parco potrebbe essere utilizzato all’anglosassone, immaginarlo con le persone distese sui prati all’ombra degli alberi secolari è un attimo, un bell’attimo devo ammettere».
Ma la realtà dà la sveglia: «Certo che, con i tempi che corrono e la crisi incombente, trovare i sostanziosissimi fondi da destinare ad un’impresa simile non è di semplice realizzazione». Ed il Comune la sua pensata l'ha fatta, inserendola tra le nuove aree da destinare alla ricettività turistica. Questo con la Variante Generale n° 118 di Revisione dei Vincoli al Piano Regolatore Generale, dell'agosto 2009.
Qualche inquietudine solleva quanto leggo nel sito del FAI - I luoghi del cuore, dove Liviana scrive: «La villa ed il parco corrono un serio pericolo in quanto il nuovo piano regolatore prevede che la villa e circa 8/9 dell'intera area, peraltro quella caratterizzata dalle essenze arboree più interessanti (ippocastani, faggi, lecci, ...), divengano edificabili con destinazione turistica. Soltanto 1/9 dell'area rimarrebbe destinato a parco pubblico». Ed ho notizia di una raccolta di firme in Gretta durante la festa della Madonna del Carmelo. Mi tranquillizza l'aver letto un articolo dell'agosto dello scorso anno che diceva tra le altre cose: «È stato messo sotto tutela il verde di Villa Cosulich nel senso che chi acquisterà la villa non potrà edificare». Questo in merito alla maratona relativa al Piano regolatore, dove il Consiglio comunale aveva anche accolto una settantina di emendamenti, 29 dei quali presentati dall’opposizione di centrosinistra, anche in base a richieste specifiche di cittadini o di Comitati di quartiere.
È così, non è così. Non resta che consultare il Piano. Un augurio di buon lavoro ci sta. Ringrazio.

Cascine patrimonio storico

Se lo Statuto comunale a Brembio è sovente disatteso, e non solo per il comma che riguarda la salvaguardia della biodiversità - faccio un esempio per tutti, ma altri si potrebbero fare: c'è un preciso articolo che prevede l'istituzione della Commissione pari opportunità, dalla sua approvazione mai istituita - è sperabile che altrettanto non succeda con il Piano di governo del territorio, il PGT, che contiene molte prescrizioni che dovrebbero garantire il miglioramento del territorio, in particolare per quanto riguarda gli insediamenti rurali delle cascine.
Poiché Fatti e Parole, il foglio settimanale che tratta delle vicende di questo piccolo paese lodigiano, è in vacanza e riprende questo blog, è mia intenzione dare spazio qui, nei «ritagli di tempo», ad alcuni aspetti del Piano, in modo da renderlo uno strumento familiare a quanto fossero interessati tra quelli che seguono le mie annotazioni quotidiane. Il progetto è quello di informare sui contenuti del cosiddetto Piano delle Regole e nel contempo evidenziare le schede delle cascine che sono un patrimonio storico di Brembio. Gli articoli, così come le tavole delle schede si succederanno in modo alquanto casuale, poiché non c'è nessuna tesi preconcetta da dimostrare, ma soltanto un desiderio di fare informazione.
Il documento di riferimento è il Piano delle Regole - Norme Tecniche Insediamenti Rurali. E un buon inizio è l'articolo 9 che tratta degli «elementi storici, artistici ed ambientali da salvaguardare». Vediamo cosa dice.
Al comma 1 stabilisce che: «Tutti gli elementi di valore storico, architettonico, pittorico, scultoreo o semplicemente decorativo che costituiscano comunque documento significativo per la storia e la cultura locali sono vincolati alla conservazione in loco, ove questo non sia sconsigliato da superiori ragioni di salvaguardia, e al rinnovo. In ogni intervento dovrà essere perciò posta particolare attenzione affinché siano salvaguardate e valorizzate le caratterizzazioni formali interne ed esterne, siano esse di proprietà pubblica o privata, quali porticati, loggiati, volte, portali, contorni di finestre, colonne, scale, balaustre e ringhiere, soffitti e pavimenti, camini, ghiere di pozzi, fontane, edicole, elementi di arredo esterni, orti e giardini con le eventuali murature di confini, pavimentazioni di cortili, porticati e strade. Ove tali elementi non fossero oggetto di prescrizioni specifiche, sono affidati alla scelta del tecnico progettista la loro valorizzazione e l'inserimento nell'intervento complessivo». È evidente che se si fa mente locale ad alcune situazioni, peraltro ben note in paese, questa norma chiude la stalla dopo che i buoi sono scappati. Ma evidentemente non è possibile attribuire a chi ha approvato oggi il Piano colpe di un passato anche se non molto lontano. La cosa importante è che la norma ora ed in futuro venga tassativamente fatta rispettare. Questo è l'auspicio.
Il comma 2 recita: «Sarà comunque facoltà del Sindaco, sentita la Commissione Edilizia, imporre prescrizioni particolari in ordine ad eventuali elementi, sia strutturali che decorativi, compresi nell'immobile oggetto di intervento. Quando nel corso dei lavori dovessero emergere elementi di interesse storico, architettonico ed ambientale, il titolare del Permesso di costruire o Autorizzazione, ovvero il Direttore dei lavori o comunque chiunque ne venisse a conoscenza, è tenuto a darne immediato avviso al Sindaco e agli Enti competenti per i relativi accertamenti e i successivi provvedimenti. All'atto dei ritrovamenti le persone sopra indicate, nonché l'esecutore dei lavori, dovranno immediatamente adottare le opportune ed adeguate cautele per la salvaguardia dei reperti, fermi restando i controlli e le successive determinazioni degli Enti competenti. Nell'ipotesi di danno o di pericolo di danno ad un bene culturale o ambientale anche per cause accidentali ed in assenza di opere edilizie, i proprietari sono tenuti a farne immediata segnalazione all'Amministrazione Comunale e agli Enti competenti». Il secondo comma, in sintesi, attribuisce al sindaco una particolare responsabilità in merito alla conservazione delle caratteristiche degli edifici ed ai proprietari o al responsabile dell'intervento l'obbligo del rispetto degli elementi di interesse storico, architettonico e ambientale e soprattutto l'obbligo dell'avviso immediato alle autorità in caso che nuovi reperti fossero ritrovati durante i lavori. L'obbligo infine del proprietario di comunicazione del danno subito da un bene anche per cause accidentali ed in assenza di opere edilizie.
E veniamo ad una prima scheda riguardante le cascine. Cominciamo con la Cascina Sabbiona.
Per comprendere la legenda, la «Classe 4 - rinnovo edilizio a volumetria definita» comprende edifici e/o parti di edificio di cui è prevista la ridefinizione formale e volumetrica mediante demolizione e ricostruzione nei limiti planimetrici, volumetrici e di profilo previsto dal Piano. L'intervento di rinnovo edilizio deve essere orientato a facilitare una lettura chiaramente datata dell'operazione, sia pur rapportata al contesto storico-ambientale. Grado di intervento attribuito: ristrutturazione urbanistica mediante unità minima di intervento.
La «Classe 5 - demolizione» comprende edifici e/o parti di edifici e/o costruzioni di cui è prevista la demolizione. Grado di intervento attribuito: demolizione.

Larghe pretese

Qualche giorno fa, Rocco Buttiglione, intervistato da Libero, diceva: «Silvio Berlusconi dovrebbe avere il coraggio di seguire l'esempio di Angela Merkel: farsi promotore di un governo di responsabilità nazionale, di larghe intese, per il bene del Paese, guidato da lui stesso. Così si può rafforzare la politica e porre un freno al malaffare». A suo tempo Tangentopoli ha insegnato che il malaffare era trasversale, e che tutte le forze politiche ne erano invischiate. Basti ricordare il famoso discorso in Parlamento di Craxi, mai smentito dai fatti. E, dunque, perché l'allargamento della maggioranza all'attuale arco parlamentare dovrebbe garantire un rafforzamento della politica o costituire un freno al malaffare. Solo perché ci sarebbe concorrenza sul magna-magna? O perché Buttiglione, che non è andato alla cena da Chez Bruno («Non sono stato invitato, bastava Pier Ferdinando»), dica: «Se ci venisse chiesto di essere utili al Paese aderendo a un governo di responsabilità nazionale sostenuto da tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell'Italia, saremo pronti a dare il nostro contributo». AAA, offresi salvatore della patria, insomma. Ma una domanda, quei «tutti coloro» come li individui? Hanno le stigmate? Un'aureola o un marchio doc impresso a fuoco da qualche parte? E poi, chi dovrebbe guidare questo governo di saggi di specchiata moralità? «Senza voler scavalcare il ruolo del presidente Napolitano, l'incarico andrebbe dato al capo del partito di maggioranza relativa, cioè Berlusconi». Ma allora cosa cambia rispetto alla situazione attuale? Poiché «non siamo disponibili a entrare secondo logiche di rimpasto e non ci piacciono i finali a tarallucci e vino» ci entrate con altro lasciapassare? Un lasciapassare che dovrebbe garantirvi un ruolo, per non rischiare d'essere solo mani da alzare a comando? E questo sarebbe un governo che deve «salvare» l'Italia?
E al giornalista, che scemo non è, scappa la domanda: «Secondo lei il Cavaliere è disposto ad ammettere il fallimento del suo attuale esecutivo e aprire una crisi?». Che la domanda si risponda da sé è evidente. E Buttiglione supera lo scoglio con tutta la fantasia che ha a disposizione. Dice: «Il premier non deve venire in Parlamento a dire che il suo governo è fallito, ma solo prendere atto che le condizioni politiche ed economiche che c'erano nel 2008 oggi non ci sono più. L'Italia ora ha bisogno di un esecutivo che vada oltre l'attuale maggioranza per mettere in campo risposte serie alla crisi economica». Un'overdose di fuffa insomma da propinare al «popolo bue».
Ma c'è un altro aspetto interessante dell'intervista e riguarda, questo sì, il fallimento del bipolarismo. Per Buttiglione la politica è debole «perché questo bipolarismo è fallito. E i due partiti che lo incarnano, Pd e Pdl, non hanno raggiunto la loro missione. Per questo motivo occorre un altro sistema politico che superi il bipolarismo». Insomma, un partito non lo si costruisce sul predellino d'un'automobile on in un loft al calduccio del caminetto. Due idiozie che hanno fatto gridare alla novità e sognare molti, soprattutto i portaborse, magari quelli che pensavano, e forse pensano tuttora, di usare il proprio condominio come trampolino per un palazzo a Roma. Già, bisognava insistere allora, ai tempi di quel nefasto referendum, che chi lascia la strada vecchia per la nuova sa cosa lascia e non sa cosa trova. L'Italia ha trovato Berlusconi. Forse la salvezza sarebbe proprio in un ritorno al proporzionale, ma non fa tendenza.
La questione morale si è ingigantita nel frattempo. Lo conferma anche Buttiglione che dice: «Sì e non si risolve con i codici etici, ma solo con un ritorno ai partiti veri. Quelli di oggi sembrano più accozzaglie di gruppi di interessi che si muovono secondo sistemi feudali. Ma quando i partiti funzionano bene, con regole democratiche, sono anche in grado di selezionare una buona classe dirigente». Forse, perché il giornalista, che è Gianluca Roselli, ribatte «Però la corruzione esisteva anche nella Prima Repubblica, quando c'erano partiti come intende lei». E Buttiglione, che ha sempre una risposta: «Sì, ma ha riguardato solo gli ultimi dieci anni. Possiamo dire che il degrado è iniziato dopo la morte di Aldo Moro». Un trauma non assorbito produce conseguenze non sempre prevedibili. Ma per favore!
Chiudo. Chiudo con la chiusa di un articolo di Marcello Veneziani su Il Giornale di quasi una settimana prima. È un appello serio. Dice Veneziani dopo aver parlato dei «golpettini di tosse» di vari personaggi che reggono l'opposizione dentro e fuori la maggioranza: «Torniamo seri: incalzate Berlusconi e il suo governo, criticatelo e opponetevi com'è vostro diritto e dovere, ma lasciatelo governare per i restanti tre anni, senza velleitari golpettini. Poi dopo i tre anni si va alle urne: se c'è qualcuno che prende ampia maggioranza governa; in caso contrario, come è accaduto in Germania e in Inghilterra, si tenti pure la carta della grande coalizione, dando la guida a chi ha preso più voti degli altri. Allora deciderete con l'interessato, se mandare Berlusconi alle Bahamas, al Quirinale o sotto i giudici, finito l'ombrello Alfano». Buon senso, solo puro buon senso. Insomma «costringete il governo a governare e non ad andarsene». Oltretutto tentare di sovvertire la volontà popolare espressa con il voto, è un brutto precedente. E su questo dovremmo essere d'accordo tutti.

lunedì 19 luglio 2010

Il triangolo

Agricoltori e ambiente, sembrerebbe un connubio ideale. Gli agricoltori dovrebbero essere i più solerti difensori dell'ambiente, perché l'ambiente è la risorsa e l'«utensile» della loro attività. Eppure ormai da tempo è verificato che spesso, molto spesso gli agricoltori sono un coniuge particolarmente infedele se stravedono per l'amante, il profitto. Ne sono esempi la fregola per gli ogm, anche se sanno benissimo che sono una trappola dell'industria sanguisuga, del resto ben sperimentata nel caso analogo degli insetticidi; la smania di speculare sui terreni agricoli sbavando perché siano trasformati in aree edificabili. Oppure il taglio indiscriminato di alberi, solo perché fanno ombra ai margini di campi a monocoltura intensiva, o, ultima moda, a possibili futuri impianti fotovoltaici, che, con l'agricoltura in crisi, dovrebbero rendere di più di un seminativo, dicono industriali privi di scrupoli. Perché business is business. E i nostri lo sanno bene, lo confessano addirittura in articoli o lettere su quotidiani locali.
La questione è che noi siamo tuttora molto romantici ed inguaribili sognatori. Abbiamo davanti ai nostri occhi la visione idilliaca della civiltà contadina. Dovremo noi per primi, insomma, smettere di considerare gli agricoltori come dei benefattori dell'umanità - naturalmente senza fare di ogni erba un fascio - e vederli per quello che sono: imprenditori come i tanti imprenditori industriali che per il dio profitto sono disponibili a sacrificare a cuor leggero l'ambiente ed il benessere e la salute di intere comunità. Perché la salvaguardia del paesaggio non è solo una questione estetica ma di sostanza; la salvaguardia dell'ambiente riducendo il più possibile o azzerando gli inquinanti non è solo etica imprenditoriale ma sopravvivenza.
L'8 luglio scorso, il quotidiano di Lodi Il Cittadino pubblicava un articolo di Carlo Catena che cominciava così: «Cosa c'è di meglio di una notte d'estate per aprire i rubinetti delle vasche dei liquami di vacche e suini?». Già, e Catena aggiungeva: è proprio quello, ritengono gli investigatori, che «potrebbero aver pensato due imprenditori agricoli di Tavazzano e di Mulazzano che potrebbero venir denunciati per "avvelenamento delle acque" e perseguiti per omessa denuncia di scarichi». Inquinanti immessi nel Sillaro e da qui nel Lambro.
L'allarme era stato dato da un pescatore che vedeva «cadaveri d'argento» scendere il Sillaro. Il cronista parla di un primo bilancio di una ventina di chili di pesci morti recuperati fino ad allora. I primi ad intervenire sono state le guardie volontarie della provincia di Lodi a Salerano, che notavano «una schiuma alta un metro e mezzo alla confluenza dei due corsi d'acqua e l'acqua del Sillaro di color marrone. Quindi la polizia provinciale, i vigili del fuoco e l'Arpa. Una prima immediata indagine risalendo il Sillaro portava ad un cascinale di Tavazzano, allevamento di suini, dove veniva «scoperto un tubo di scarico che finiva in un fossato che a sua volta, attraverso una roggia, faceva defluire gli escrementi dei suini nel Sillaro». Ulteriori accertamenti portavano il giorno dopo alla scoperta «che il Sillaro arrivava inquinato anche a Tavazzano» e quindi l'indagine proseguiva fino a Mulazzano, dove, «non lontano dal confine tra i due comuni, è stato trovato un secondo scarico "clandestino" di reflui zootecnici, questa volta proveniente da un allevamento di bovini».
Naturalmente secondo quanto scrive Catena, ovvia la trasmissione della pratica alla procura della Repubblica, ma anche «la provincia di Lodi proseguirà le verifiche sull'effettiva omessa denuncia degli scarichi, che è un illecito amministrativo, e sui divieti di utilizzo dei liquami per la fertilizzazione, in questo periodo dell'anno». Già, perché, per dirla con le parole del cronista del Cittadino, «il sospetto, infatti, è che lo scopo dell'apertura notturna dei rubinetti di scarico delle vasche in cui vanno stoccati i liquami non fosse destinato a disperderli nelle rogge, quanto piuttosto a miscelarli all'acqua utilizzata per irrigare i campi, per ottenere una concimazione aggiuntiva, al di fuori delle modalità e dai tempi che sono previsti dalla legge».
La questione si pone con tutta evidenza: poco interessano i motivi per cui leggi e divieti sono imposti, quando ciò che conta è un maggior margine, magari molto spesso illusorio, di guadagno immediato. Divieti, che come Carlo Catena ricorda, «hanno proprio lo scopo di proteggere le acque superficiali e sotterranee da batteri e nitrati. I reflui zootecnici, immessi in fiumi e rogge, fanno strage di pesci e altre forme di vita, alterando anche il contenuto di ossigeno dell'acqua». Una semplice verità, come altre, che gli agricoltori dovrebbero conoscere, che tutti gli agricoltori ben conoscono sicuramente. E, dunque, se agiscono diversamente non è per ignoranza.

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