La Repubblica pubblica oggi un articolo di Antonio Cassese dal titolo “I crimini di guerra e il caso Calipari”, che qui riprendo ritenendolo un ottimo punto di vista su una questione che ha suscitato grande perplessità.
«La Corte di Cassazione ha reso nota la motivazione della decisione con cui ha dichiarato che nel caso Calipari i giudici italiani difettavano di giurisdizione, non potevano cioè giudicare il militare statunitense Lozano che sulla strada per l’aeroporto di Bagdad uccise Calipari e ferì Giuliana Sgrena. La Corte fa grande sfoggio di dottrina e giurisprudenza e mostra di aver esaminato scrupolosamente molte sentenze straniere e internazionali. Però – lo dico con il massimo rispetto per la Suprema Corte – la conclusione cui giunge è sbagliata.
La Corte nota giustamente che Lozano, come tutti gli organi di Stati esteri che compiono atti nell’esercizio delle loro funzioni, godeva in principio di immunità funzionale (era protetto dallo scudo della sovranità: agiva per conto dello Stato americano); e giustamente aggiunge che questa protezione però può venir meno quando un organo statale commette crimini internazionali, quali crimini di guerra o contro l’umanità (nel qual caso può essere perseguito e punito). Il problema centrale era dunque: Lozano, sparando contro civili in tempo di conflitto armato, commise un crimine di guerra? La Corte risponde di no. Qui – a mio giudizio – sta l’errore.
Se volete sapere che cosa è un crimine di guerra, un’autorevole definizione la trovate nel Manuale militare britannico (2004), pubblicato dal Ministero della difesa britannico, che riprende la giurisprudenza del Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia: “Crimini di guerra” sono le violazioni serie (serious violations) del diritto umanitario dei conflitti armati (che una volta chiamavamo diritto bellico): ad esempio, sparare ad un civile, picchiare un prigioniero di guerra, aggredire sessualmente una donna, saccheggiare beni nemici. Normalmente questi crimini sono puniti dalla Stato nazionale del reo o della vittima, o dallo Stato territoriale. All’interno di questa categoria generale esistono crimini di guerra più preoccupanti e biasimevoli, chiamati "infrazioni gravi" (grave breaches) (ad esempio, omicidio volontario di civili, tortura, stupro, esperimenti biologici). Queste "infrazioni gravi" sono previste dalle Convenzioni di Ginevra, che attribuiscono alla loro commissione una conseguenza processuale speciale: le Convenzioni contemplano la giurisdizione penale universale, accordano cioè ad ogni Stato del mondo che metta le mani sul presunto colpevole il potere di processarlo e punirlo.
Dunque, nel nostro caso si trattava di decidere se Lozano, sparando contro civili inermi, avesse commesso quanto meno una "violazione seria" delle norme che proteggono i civili, e cioè un crimine di guerra. La Cassazione ha detto di no, ma partendo da una definizione sbagliata dei "crimini di guerra". Essa ha confuso crimini di guerra e la sottocategoria di "infrazioni gravi", affermando che un crimine di guerra è una "infrazione grave" del diritto umanitario dei conflitti armati. Così facendo, la Corte ha elevato la seconda categoria, che è più ristretta, a categoria generale. È come se si dicesse che solo le Mercedes sono automobili, ignorando che sono automobili tutte le vetture a quattro ruote e mosse da un motore a combustione interna. Quasi a voler giustificare il fatto di non considerare l’omicidio di Calipari e il ferimento della Sgrena come un crimine di guerra, la Corte ha aggiunto che l’atto di Lozano non era «un odioso e inumano atto ostile contro civili» ed aveva “carattere isolato e individuale”.
Quindi, aggiunge la Corte, non poteva essere paragonato all’attacco dei nostri militari contro un’ambulanza a Bagdad (con l’uccisione di quattro civili iracheni) o all’«attacco intenzionale e indiscriminato da parte di un carro armato statunitense contro l`Hotel "Palestine" a Bagdad». Ma la Corte non si è resa conto che anche l’atto di Lozano, come quei reati, è un crimine di guerra, benché meno macroscopico e intollerabile.
Da quel che ha detto la Corte deriva tra l’altro che se un militare ammazza solo un civile, questo non è un crimine internazionale, mentre se ne ammazza cinque, lo diventa.
Conseguenza assurda, perché la "qualità" dell’atto, ossia il suo disvalore, non cambia, cambiando solo la quantità delle vittime.
Conseguenza assurda anche perché così la nostra Corte ha inutilmente abdicato alla giurisdizione italiana, inchinandosi a quella statunitense. Poteva invece affermare che i nostri giudici sono competenti, trattandosi di un crimine di guerra, e poi lasciare ad una corte di merito di valutare se nel caso di specie si era in presenza, piuttosto che di un omicidio volontario (come sostenuto dall’accusa), di un omicidio colposo, o addirittura di un crimine per il quale sussisteva qualche esimente di responsabilità, quale ad esempio la legittima difesa putativa (uccido perché erroneamente credo che un altro sta per uccidermi) o l’adempimento di un dovere.
Insomma, mi sembrerebbe più corretto e saggio che giudicassimo noi con i nostri tribunali, ma con equità, tenendo conto delle drammatiche particolarità di ogni caso e mostrando clemenza, ogni volta che ciò fosse giusto.»
«La Corte di Cassazione ha reso nota la motivazione della decisione con cui ha dichiarato che nel caso Calipari i giudici italiani difettavano di giurisdizione, non potevano cioè giudicare il militare statunitense Lozano che sulla strada per l’aeroporto di Bagdad uccise Calipari e ferì Giuliana Sgrena. La Corte fa grande sfoggio di dottrina e giurisprudenza e mostra di aver esaminato scrupolosamente molte sentenze straniere e internazionali. Però – lo dico con il massimo rispetto per la Suprema Corte – la conclusione cui giunge è sbagliata.
La Corte nota giustamente che Lozano, come tutti gli organi di Stati esteri che compiono atti nell’esercizio delle loro funzioni, godeva in principio di immunità funzionale (era protetto dallo scudo della sovranità: agiva per conto dello Stato americano); e giustamente aggiunge che questa protezione però può venir meno quando un organo statale commette crimini internazionali, quali crimini di guerra o contro l’umanità (nel qual caso può essere perseguito e punito). Il problema centrale era dunque: Lozano, sparando contro civili in tempo di conflitto armato, commise un crimine di guerra? La Corte risponde di no. Qui – a mio giudizio – sta l’errore.
Se volete sapere che cosa è un crimine di guerra, un’autorevole definizione la trovate nel Manuale militare britannico (2004), pubblicato dal Ministero della difesa britannico, che riprende la giurisprudenza del Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia: “Crimini di guerra” sono le violazioni serie (serious violations) del diritto umanitario dei conflitti armati (che una volta chiamavamo diritto bellico): ad esempio, sparare ad un civile, picchiare un prigioniero di guerra, aggredire sessualmente una donna, saccheggiare beni nemici. Normalmente questi crimini sono puniti dalla Stato nazionale del reo o della vittima, o dallo Stato territoriale. All’interno di questa categoria generale esistono crimini di guerra più preoccupanti e biasimevoli, chiamati "infrazioni gravi" (grave breaches) (ad esempio, omicidio volontario di civili, tortura, stupro, esperimenti biologici). Queste "infrazioni gravi" sono previste dalle Convenzioni di Ginevra, che attribuiscono alla loro commissione una conseguenza processuale speciale: le Convenzioni contemplano la giurisdizione penale universale, accordano cioè ad ogni Stato del mondo che metta le mani sul presunto colpevole il potere di processarlo e punirlo.
Dunque, nel nostro caso si trattava di decidere se Lozano, sparando contro civili inermi, avesse commesso quanto meno una "violazione seria" delle norme che proteggono i civili, e cioè un crimine di guerra. La Cassazione ha detto di no, ma partendo da una definizione sbagliata dei "crimini di guerra". Essa ha confuso crimini di guerra e la sottocategoria di "infrazioni gravi", affermando che un crimine di guerra è una "infrazione grave" del diritto umanitario dei conflitti armati. Così facendo, la Corte ha elevato la seconda categoria, che è più ristretta, a categoria generale. È come se si dicesse che solo le Mercedes sono automobili, ignorando che sono automobili tutte le vetture a quattro ruote e mosse da un motore a combustione interna. Quasi a voler giustificare il fatto di non considerare l’omicidio di Calipari e il ferimento della Sgrena come un crimine di guerra, la Corte ha aggiunto che l’atto di Lozano non era «un odioso e inumano atto ostile contro civili» ed aveva “carattere isolato e individuale”.
Quindi, aggiunge la Corte, non poteva essere paragonato all’attacco dei nostri militari contro un’ambulanza a Bagdad (con l’uccisione di quattro civili iracheni) o all’«attacco intenzionale e indiscriminato da parte di un carro armato statunitense contro l`Hotel "Palestine" a Bagdad». Ma la Corte non si è resa conto che anche l’atto di Lozano, come quei reati, è un crimine di guerra, benché meno macroscopico e intollerabile.
Da quel che ha detto la Corte deriva tra l’altro che se un militare ammazza solo un civile, questo non è un crimine internazionale, mentre se ne ammazza cinque, lo diventa.
Conseguenza assurda, perché la "qualità" dell’atto, ossia il suo disvalore, non cambia, cambiando solo la quantità delle vittime.
Conseguenza assurda anche perché così la nostra Corte ha inutilmente abdicato alla giurisdizione italiana, inchinandosi a quella statunitense. Poteva invece affermare che i nostri giudici sono competenti, trattandosi di un crimine di guerra, e poi lasciare ad una corte di merito di valutare se nel caso di specie si era in presenza, piuttosto che di un omicidio volontario (come sostenuto dall’accusa), di un omicidio colposo, o addirittura di un crimine per il quale sussisteva qualche esimente di responsabilità, quale ad esempio la legittima difesa putativa (uccido perché erroneamente credo che un altro sta per uccidermi) o l’adempimento di un dovere.
Insomma, mi sembrerebbe più corretto e saggio che giudicassimo noi con i nostri tribunali, ma con equità, tenendo conto delle drammatiche particolarità di ogni caso e mostrando clemenza, ogni volta che ciò fosse giusto.»
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