venerdì 1 agosto 2008

Il business dei rifugiati politici

La questione degli immigrati rifugiati politici non è un problemino da poco e non è poi così di “onesta” solidarietà umana in tutti i suoi risvolti: c’è – come ci informa un articolo inchiesta pubblicato ieri su Libero, firmato da Gennaro Sangiuliano Ree – chi ci marcia alla grande. Vediamolo:

L’inchiesta
Ospitiamo 40mila rifugiati Spesa: 4mila euro l’uno
Il prezzo dell’asilo politico è a carico di Comuni e Province. Molti vengono da Paesi democratici e le persecuzioni sono inventate da connazionali pagati

Un vero e proprio business, di dimensioni colossali, che coinvolge associazioni presunte umanitarie, sindacati, avvocati. È quello dei rifugiati politici, una piccola industria che prospera ogni anno sempre di più, a carico dei bilanci dello Stato, e che finisce per far lievitare il numero degli immigrati illegali nel nostro Paese. Una palude protetta dal falso umanitarismo, all’interno della quale prosperano associazioni, spesso protette e filiate dalla sinistra, oscuri meccanismi burocratici e affermazioni vistosamente false.
Quello del rifugiato politico, quando è autentico, è uno status che merita il massimo rispetto, è tutelato dalla nostra Costituzione, che all’articolo 10 sancisce che «lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, ha diritto di asilo». Una norma rafforzata dal diritto internazionale e da varie convenzioni cui l’Italia aderisce.
NORME RAGGIRATE
Detto questo, si fa presto a dire rifugiato, perché in tutto il mondo ci si è attrezzati scrupolosamente contro i facili abusi che possono essere praticati da chi si spaccia per perseguitato politico. Tanto è vero che la famosa Convenzione di Ginevra chiarisce che non sono rifugiati coloro che fuggono da calamità naturali, economiche o da rivolgimenti politici e bellici del Paese di origine. E protocolli successivi hanno chiarito che il rifugiato è tale solo nel «caso di persecuzione individuale».
L’Italia, dati e fatti alla mano, sta diventando anche in questo campo il buco nella rete, il Paese dove è facile raggirare le norme internazionali e le direttive europee. Il Belpaese, con gli oltre 40mila rifugiati, quasi supera la Francia e la Gran Bretagna che pure sono ex grandi imperi coloniali. La procedura sancita dalla legge prevede che il presunto rifugiato inoltri una domanda alla Questura del luogo di approdo e questa provveda a trasmetterla a una commissione territoriale. In Italia ve ne sono sette (Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone e Trapani). Questa valuta una dichiarazione scritta in cui il richiedente racconta la propria vicenda e soprattutto tiene un’audizione.
Nel solo 2007, in Italia, sono state avanzate 14.053 richieste di riconoscimento dello status di rifugiato politico. Di questi, al 9,5% è stato subito riconosciuto lo status; al 46,8%, invece, è stata concessa una condizione intermedia che si chiama "protezione umanitaria", in base alla quale si è rifugiati a tempo (nessuno di questi, però, è stato mai rimandato indietro). Le maglie sono piuttosto larghe, le commissioni, oberate di lavoro e con scarso personale, accordano protezione a chi proviene da paesi che il nostro ministero degli Esteri o l’Unione Europea giudicano perfettamente democratici, un’evidente contraddizione. Come pure sono saltate fuori domande di asilo, purtroppo accettate, in cui il richiedente affermava di essere stato perseguitato da dittatori morti da tempo, confondendo date, fatti storici e avvenimenti. A Torino la Polizia ha scoperto un giro di "preparatori di storie" che per 300 euro scrivevano un bel romanzetto, con tanto di torture e persecuzioni.
Chi ottiene il riconoscimento viene "mantenuto" dallo Stato, ospitato in strutture ad hoc. Ma per lo Stato sono un costo anche gli altri. Quelli che non ottengono il riconoscimento. Perché è qui che nasce il grande affare che coinvolge avvocati, associazioni paraumanitarie e sindacati. Quando la domanda viene respinta ci sono, infatti, due alternative: chiedere un riesame o fare ricorso al Tribunale civile ordinario, competente per territorio. La via giudiziaria è quella ormai collaudata, perché, in attesa di un esame di merito che richiede anni, porta quasi sempre a una sospensione del provvedimento di espulsione motivato da una formula che tutti gli addetti conoscono a memoria: «Ritenuto presumibile che il ricorrente non sia stato messo in grado, in sede di procedimento amministrativo, di illustrare la propria posizione, in quanto non assistito da interprete della lingua specifica dallo stesso parlata».
IL BUSINESS
Il governo Prodi ha anche allargato i cordoni di questa procedura con l’introduzione del decreto n. 251 del 2007 che fa venire meno l’obbligo della "tempestività", per cui un immigrato potrà ricordarsi quando vuole di essere un perseguitato politico. L’immigrato a questo punto resta, e per sempre, in Italia. Per questa attività, che ormai è lo standard, un legale chiede, tariffario alla mano, circa 4.000 curo. Dovrebbe pagare l’immigrato, ma non avendo quasi mai soldi, la parcella viene saldata dalle amministrazioni provinciali e comunali a cui la legge assegna la cura del rifugiato. Al riguardo i governi di centrosinistra sono stati molto generosi nel sostenere un fondo per Comuni e Province, con una spesa che supera i 10 milioni di curo negli ultimi dieci anni.

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