giovedì 7 agosto 2008

Il post-maoismo di Fassino

Ho evitato finora di parlare delle Olimpiadi cinesi ritenendo tutto ciò che finora è stato detto, organizzazioni umanitarie comprese, per lo più colossale ipocrisia. Intendendo con “tutto” sia posizioni espresse favorevoli, poche, che contrarie, molte perché sparare sulla Cina è di tendenza. Certo l’aria serve per respirare e molti per respirare usano la parola. Nelle polemiche vedo soltanto un uso strumentale per il palcoscenico mediatico di un grande problema, esteso a tutto il mondo, di cui la Cina oggi è l’elemento focalizzatore di turno. Non mi meraviglierebbe che in gran numero si sia approvata a suo tempo la scelta di Pechino proprio contando sul fatto di avere una ghiottissima opportunità di mettere alla gogna il capitalcomunismo cinese. Altrimenti non resterebbe che classificare come ipocrisia ciò che oggi sta succedendo sui media internazionali pronti a sbattere in prime time quattro esaltati che si arrampicano sui pali della luce come se fosse una epica scalata all’Everest (con tutto il rispetto per gli alpinisti che hanno giocato con la loro vita in questi giorni sul K2).
Per ogni cosa c’è il suo tempo e quando si usa il tempo sbagliato, non è raro sentire puzzo di bruciato. Non ho alcuna intenzione di entrare nel vortice delle polemiche. Mi limito solo a raccogliere un articolo apparso oggi su L’Unità che riporta un’intervista a Piero Fassino, raccolta da Maria Zegarelli. La ritengo utile, e in certo modo “neutra” [non neutrale], per rifletterci sopra a tutto campo, ovviamente cogliendo tra le righe, ma anche dalla giusta “lettura” di certe iperboliche affermazioni ogni possibile spunto.

Fassino: destra provinciale contro la Cina e il Dalai Lama

«Provincialismo». È questo il segno della polemica nata dentro la maggioranza di governo intorno ai Giochi Olimpici, secondo il ministro degli Esteri del governo ombra Piero Fassino.
Fassino, il presidente del Coni commenta: «Perché si chiede allo sport quello che dovrebbe fare la politica?». Le giro la domanda.
«Petrucci ha ragione. A me sembra che le dichiarazioni di Gasparri, della Meloni e di alcuni altri esponenti della destra siano l’espressione di un gigantesco provincialismo. Intanto significa non aver capito cosa sono le Olimpiadi per la Cina di oggi, un paese che è rientrato nella vita del mondo negli ultimi quindici anni, dopo aver conosciuto secoli di oblio e marginalità. La Cina torna a essere come è stato molti secoli fa, uno dei luoghi fondamentali dello sviluppo, dell’innovazione e della produzione e dei consumi. Un miliardo e 350 milioni di persone, insieme al miliardo dell’India e altre centinaia di milioni dei paesi emergenti, diventa protagonista dell’economia mondiale, entra nella sfera della modernità. La Cina torna ad essere una delle grandi potenze del pianeta ed è evidente che le Olimpiadi rappresentano la sanzione di questo nuovo ruolo di Pechino nel mondo. Chi non comprende l’enorme valore simbolico che non solo il governo cinese, ma ogni cittadino cinese assegna alle Olimpiadi, si condanna alla velleità. Non è un caso che né il Dalai Lama né esponenti cinesi del dissenso, che sono i più sensibili al tema dei diritti umani, abbiano invocato alcuna forma di boicottaggio, perché sono consapevoli che sarebbero milioni di cittadini del loro paese i primi a non capirli. La seconda cosa che colpisce nelle posizioni della destra è questo non capire cosa significa nella vita di uno sportivo che ha identificato se stesso, le sue passioni, la sua creatività nello sport, non partecipare alle Olimpiadi. Vuol dire, anche in questo caso, non cogliere il valore profondo di questo appuntamento. Per entrambe queste ragioni le dichiarazioni di esponenti di An sono naif».
Non sono anche in contraddizione con il fatto che il governo ha inviato il ministro degli Esteri a Pechino?
«Sono in contraddizione con il fatto che tutta la comunità internazionale ha scelto di essere presente a Pechino. Bush andrà e inaugurerà la nuova sede dell’ambasciata americana che diventerà per dimensioni e personale la seconda ambasciata americana nel mondo; Sarkozy e Brown che pure non hanno risparmiato giudizi critici sulla violazione dei diritti civili e umani, saranno presenti all’inaugurazione o alla conclusione delle Olimpiadi. Il ministro Frattini è stato giustamente inviato dal governo a rappresentare il nostro paese ad un evento sportivo che vedrà la partecipazione di esponenti di governi di ogni colore politico proprio perché il mondo si rende conto dell’enorme valore che hanno le Olimpiadi sia sotto il profilo sportivo sia come momento di riconoscimento del valore globale che la Cina riveste».
Le Olimpiadi sono contrassegnate dalle manifestazioni a favore del Tibet e per i diritti civili e umani. Finiti i giochi il problema resta e spetta alla comunità internazionale affrontarlo.
«Certo. Il tema del rispetto dei diritti umani non solo rimane, ma è giusto sollevarlo. Tutti gli uomini politici e gli esponenti di governo che andranno a Pechino hanno il dovere durante i loro colloqui con i governanti cinesi di porre la questione e dovrà farlo anche Frattini. Questo è il compito della politica, non dello sport. Anzi, dico di più. La possibilità di essere ascoltati dai cinesi dipende dalla capacità di avere una interlocuzione positiva con quelle autorità. Boicottare o fare gesti ostili che suonino come sfida non produrrebbe come risultato una maggiore disponibilità delle autorità cinesi a cogliere le sollecitazioni della comunità internazionale».
Quindi lei dice: utilizziamo l’opportunità che ci deriva dai Giochi Olimpici?
«Assolutamente sì. Un atteggiamento che accompagni il riconoscimento del valore dell’evento sportivo per la Cina al porre la questione dei diritti umani credo abbia più possibilità di essere ascoltato e accolto».
Il governo ha perso un’occasione per dimostrarsi all’altezza della situazione?
«Più che il governo, per una volta, mi sembra che si tratti di singoli esponenti della maggioranza perché Frattini e Palazzo Chigi sono stati netti nel rispedire al mittente le sollecitazioni di Gasparri e della Meloni. Forse alcuni esponenti di An hanno cercato una visibilità politica, non solo personale ma anche per il proprio partito, che è venuta riducendosi fortemente in questi primi cento giorni di governo durante i quali le figure predominanti sono state Berlusconi e Tremonti. Il ruolo istituzionale di Fini lo ha ridotto in termini di visibilità politica e altri esponenti di An non si sono caratterizzati fin qui nel dare il segno all’azione di governo».
Le contraddizioni nel Pdl prima o poi saranno destinate a emergere o Berlusconi continuerà a dettare la linea?
«Il Pdl non è ancora un partito, per ora è un cartello elettorale che si è presentato con un comune simbolo e un comune candidato. Dopodiché nessun processo di fusione è stato avviato. C’è un particolare che nessun giornale ha notato e che varrebbe la pena evidenziare: nei banchi di Camera e Senato deputati e senatori di An e Fi continuano a sedere distinti come nella precedente legislatura, quando erano due gruppi indipendenti. Anche in questi piccoli atti simbolici non c’è segnale di fusione. Credo che se questa fusione comincerà a entrare nel vivo emergeranno molte contraddizioni».
Secondo Capezzone la sinistra si interessa dei diritti umani soltanto durante i giochi Olimpici. Cosa risponde alla provocazione?
«Intanto Capezzone non dovrebbe esagerare nella spregiudicatezza facendo finta di non sapere che è la destra che ha scoperto i diritti umani nelle ultime quarantotto ore. Poi, potrei ricordargli che mi occupo di Birmania da dieci mesi a nome dell’Ue con un’attività politica e diplomatica intensissima che mi ha portato in tutte le capitali europee e nelle principali capitali asiatiche. L’Ue sta lavorando per dare sostanza in Birmania a una transizione democratica che tuteli i diritti umani. Il mio impegno è da inviato speciale dell’Ue, ma anche da uomo che appartiene politicamente e culturalmente alla sinistra. Una sinistra che ha fatto sempre dei diritti e della democrazia, una bandiera. Basta pensare come abbiamo sostenuto per decenni la battaglia di Nelson Mandela, o come Gandhi sia diventato un’icona della moderna sinistra democratica e progressista che si riconosce nel valore fondamentale dei diritti civili».

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