«Nicolas e Silvio, la coppia che rilancia l’Europa» titola l’analisi di ieri su Il Messaggero di Claudio Rizza. Offre molti spunti di riflessione. Vediamola:
Così l’Europa ha battuto un colpo, in barba ai mille scetticismi. E la coppia Sarkozy-Berlusconi, attivissima in questi giorni difficili, ha messo a segno una mediazione importante, ciascuno nel proprio ruolo ma lavorando in squadra, zittendo il coro pessimista e a volte ironico che ha accompagnato altolà e moniti europei. Le telefonate private e le richieste pubbliche di cessate il fuoco, dirette verso Mosca e verso Tbilisi. I pessimisti, e non erano pochi, si sono dovuti ricredere: convinti che l’Europa fosse artefice e vittima di se stessa, malata di marginalità, bypassata dalle mosse americane e ignorata dall’orgogliosa e pugnace Russia di Putin. Pensavano che questo ritorno di guerra fredda avrebbe ridotto ancor più il peso politico di una Ue troppo spesso balbettante e divisa per contare veramente qualcosa.
Sarkozy, presidente di turno della Ue, ha cercato di imprimere subito una sterzata al semestre francese indicando all’Europa obiettivi ambìziosi, lavorando strategicamente all’Unione Mediterranea, cercando di trainare il vecchio continente a superare le sue artrosi e tentando di dare risposte alle richieste della gente. Il dossier immigrazione altro non è stato che la risposta politica alla paura che attanaglia mezza Europa, causa della freddezza e del distacco crescente tra governanti e governati. È la stessa ricetta che il centrodestra italiano ha subito detto di condividere, appoggiando entusiasta l’elezione di Sarkò, per motivi ideali e per convenienza politica: cementare un asse con la Francia avrebbe tenuto l’Italia agganciata alla testa dei Paesi fondatori, protagonista e non gregaria.
In questo frangente non si può dire che la personalità e i contatti di cui i due leader sono stati protagonisti (Sarkozy ha mosso l’Europa preparando il viaggio a Mosca che ha portato all’intesa dei sei punti: Berlusconi ha premuto sull’amico Putin, ha parlato con Bush) non abbiano pesato. È difficile pensare che la precedente presidenza slovena della Ue avrebbe mai raggiunto un simile risultato. È il punto 5 dell’intesa siglata dal presidente russo Medvedev («ritiro delle forze russe alle posizioni precedenti al conflitto») che rappresenta il più grande successo della mediazione europea e smentisce, anche qui, le previsioni più catastrofiche che individuavano come obiettivi irrinunciabili della Russia la caduta dell’aggressore Saakashvili e l’occupazione perenne dell’Ossezia, se non l’occupazione totale della Georgia. Nulla di questo, fortunatamente, è successo.
L’Europa ha saputo mediare mettendosi in mezzo tra Washington e Mosca, ha evitato di isolare Putin, così come Berlusconi raccomandava d’intesa con Sarkozy. Il risultato è che la Georgia si lecca le ferite ma resta indipendente, anche se, dopo quanto è successo, il suo ingresso nella Nato si può intravedere solo col cannocchiale. Rivengono in mente le parole di Berlusconi premier nel 2001, che continuava a sponsorizzare l’ingresso di Mosca nella Nato, tra i rimbrotti e i mugugni di molti. Visto con gli occhi di oggi, e viste le mille tensioni che attraversano le Repubbliche ex sovietiche, una posizione che certo non ha alimentato la diffidenza di Putin verso l’amico Silvio. Anzi. E certe cose, nella vita, prima o poi possono tornare utili.
Così l’Europa ha battuto un colpo, in barba ai mille scetticismi. E la coppia Sarkozy-Berlusconi, attivissima in questi giorni difficili, ha messo a segno una mediazione importante, ciascuno nel proprio ruolo ma lavorando in squadra, zittendo il coro pessimista e a volte ironico che ha accompagnato altolà e moniti europei. Le telefonate private e le richieste pubbliche di cessate il fuoco, dirette verso Mosca e verso Tbilisi. I pessimisti, e non erano pochi, si sono dovuti ricredere: convinti che l’Europa fosse artefice e vittima di se stessa, malata di marginalità, bypassata dalle mosse americane e ignorata dall’orgogliosa e pugnace Russia di Putin. Pensavano che questo ritorno di guerra fredda avrebbe ridotto ancor più il peso politico di una Ue troppo spesso balbettante e divisa per contare veramente qualcosa.
Sarkozy, presidente di turno della Ue, ha cercato di imprimere subito una sterzata al semestre francese indicando all’Europa obiettivi ambìziosi, lavorando strategicamente all’Unione Mediterranea, cercando di trainare il vecchio continente a superare le sue artrosi e tentando di dare risposte alle richieste della gente. Il dossier immigrazione altro non è stato che la risposta politica alla paura che attanaglia mezza Europa, causa della freddezza e del distacco crescente tra governanti e governati. È la stessa ricetta che il centrodestra italiano ha subito detto di condividere, appoggiando entusiasta l’elezione di Sarkò, per motivi ideali e per convenienza politica: cementare un asse con la Francia avrebbe tenuto l’Italia agganciata alla testa dei Paesi fondatori, protagonista e non gregaria.
In questo frangente non si può dire che la personalità e i contatti di cui i due leader sono stati protagonisti (Sarkozy ha mosso l’Europa preparando il viaggio a Mosca che ha portato all’intesa dei sei punti: Berlusconi ha premuto sull’amico Putin, ha parlato con Bush) non abbiano pesato. È difficile pensare che la precedente presidenza slovena della Ue avrebbe mai raggiunto un simile risultato. È il punto 5 dell’intesa siglata dal presidente russo Medvedev («ritiro delle forze russe alle posizioni precedenti al conflitto») che rappresenta il più grande successo della mediazione europea e smentisce, anche qui, le previsioni più catastrofiche che individuavano come obiettivi irrinunciabili della Russia la caduta dell’aggressore Saakashvili e l’occupazione perenne dell’Ossezia, se non l’occupazione totale della Georgia. Nulla di questo, fortunatamente, è successo.
L’Europa ha saputo mediare mettendosi in mezzo tra Washington e Mosca, ha evitato di isolare Putin, così come Berlusconi raccomandava d’intesa con Sarkozy. Il risultato è che la Georgia si lecca le ferite ma resta indipendente, anche se, dopo quanto è successo, il suo ingresso nella Nato si può intravedere solo col cannocchiale. Rivengono in mente le parole di Berlusconi premier nel 2001, che continuava a sponsorizzare l’ingresso di Mosca nella Nato, tra i rimbrotti e i mugugni di molti. Visto con gli occhi di oggi, e viste le mille tensioni che attraversano le Repubbliche ex sovietiche, una posizione che certo non ha alimentato la diffidenza di Putin verso l’amico Silvio. Anzi. E certe cose, nella vita, prima o poi possono tornare utili.
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