Un piacevole articolo di Alessandro De Angelis sulla vicenda “Famiglia Cristiana” è pubblicato sempre oggi da Il Riformista. Titolo: « Chi di famiglia ferisce, di Famiglia perisce».
Chi di famiglia ferisce, di Famiglia perisce. Newsweek loda il premier. Famiglia cristiana lo attacca, e non da oggi. Ieri, in un’escalation di polemiche con esponenti del governo, ha persino paventato il rischio di fascismo.
Se fossimo in un paese normale, si potrebbe chiudere la questione con una battuta: «E la stampa, bellezza». Ma, a giudicare dal bailamme di dichiarazioni in agenzia di ieri, evidentemente non siamo in un paese normale.
Certo il settimanale dei Paolini c’è andato giù duro negli ultimi tempi, anche nei toni, schierandosi all’opposizione su molti temi. Sulla sicurezza definì «un insulto al parlamento» la proposta di introdurre il reato di immigrazione clandestina.
Sulle impronte ai rom scrisse: «Prendiamole prima ai parlamentari e ai loro figli». Ieri, dopo aver risposto alle critiche di Giovanardi («Non siamo cattocomunisti») ha affidato l’affondo al prossimo editoriale, ritornando sulle proposte di Maroni: «Quella foto del bimbo ebreo nel ghetto di Varsavia con le mani alzate davanti alle Ss è venuta alla memoria come un simbolo». A supporto della sua tesi, il giornale dei Paolini sottolinea come le stesse cose le ha scritte anche la prestigiosa rivista francese, certamente «non cattocomunista», Esprit. E conclude: «Speriamo che non si riveli mai vero il sospetto che stia rinascendo da noi sotto altre forme il fascismo». A dire il vero le stesse cose, le scrivono pure Colombo, Padellaro, i girotondini. Ma non è questo il punto. Mezzo governo - Giovanardi lancia in resta - ha accusato il settimanale di non essere cristiano.
E oggi - non ci vuole molto a prevederlo - alla questione saranno dedicate paginate di giornali.
Paradossalmente, ma non troppo, l’Italietta provinciale e perbenista ieri ha mostrato il suo vero volto. Quello di una finta partita di calcio col Camerum, che sarà dimenticata quando i calciatori, se vinceranno la prossima, saranno definiti «eroi». E quello di una polemica ipocrita tra Famiglia cristiana e il centrodestra, che sarà dimenticata quando il primo laico farà una battaglia qualsiasi sui diritti civili, sulla libertà religiosa o sessuale che sia.
Se il settimanale si fosse chiamato in altro modo tutto questo non sarebbe successo. Neanche se fosse stato del centrodestra. Ma si chiama Famiglia cristiana, e non è un dettaglio. Quel nome - a torto o a ragione - è diventato il simbolo del Dna nazionale, vero o presunto che sia. Attorno alla «famiglia» e al «cristiano» qualcuno, in anni duri e brechtiani, ha dato un’identità al paese. Anche con coerenza e dignità.
Ora però i tempi sono cambiati: sono cambiate le famiglie ed è anche cambiata la fede. Forse, anche grazie al fatto che quel modello di società qualcuno lo ha messo in discussione.
Ma «famiglia» e «cristiana» sono parole che la politica italiana di centrodestra, e non solo, ha spesso trasformato in bandiera, slogan, appello al ventre molle di un’Italietta che resiste, a dispetto dei tempi. In un’Italia la cui identità è profondamente cambiata. E se un settimanale che porta quel nome non diventa la cassa di risonanza di quella Italietta, per certa politica è troppo: è come un turco che bestemmia in chiesa. Ma se i suoi editoriali sono diventati editti la colpa è, soprattutto, di quella politica che ieri ha vissuto il suo contrappasso dantesco.
Si potrebbe fare un lungo, lunghissimo evento di come tanto «famiglia» quanto «cristiana» siano stati trasformati in simboli dell’ipocrisia.
Quando ai tempi del Family day i divorziati e gli adulteri del Pdl, tutti con le fedi al dito, erano in piazza San Giovanni, il "loro" settimanale alzava le barricate contro i Dico: termine incomprensibile con cui si consentiva, con un po’ di carità cristiana, a due che vivevano assieme di godere di diritti minimi di cittadinanza. Per non parlare della fecondazione assistita, quando in parlamento e nelle piazze si diceva di no alla legge in nome dello spirito cristiano e della difesa delle famiglie. Allora andava bene tutto: soprattutto gli editoriali del settimanale. Oggi c’è poco da lamentarsi. A giocare con l’ipocrisia ci si fa male.
Chi di famiglia ferisce, di Famiglia perisce. Newsweek loda il premier. Famiglia cristiana lo attacca, e non da oggi. Ieri, in un’escalation di polemiche con esponenti del governo, ha persino paventato il rischio di fascismo.
Se fossimo in un paese normale, si potrebbe chiudere la questione con una battuta: «E la stampa, bellezza». Ma, a giudicare dal bailamme di dichiarazioni in agenzia di ieri, evidentemente non siamo in un paese normale.
Certo il settimanale dei Paolini c’è andato giù duro negli ultimi tempi, anche nei toni, schierandosi all’opposizione su molti temi. Sulla sicurezza definì «un insulto al parlamento» la proposta di introdurre il reato di immigrazione clandestina.
Sulle impronte ai rom scrisse: «Prendiamole prima ai parlamentari e ai loro figli». Ieri, dopo aver risposto alle critiche di Giovanardi («Non siamo cattocomunisti») ha affidato l’affondo al prossimo editoriale, ritornando sulle proposte di Maroni: «Quella foto del bimbo ebreo nel ghetto di Varsavia con le mani alzate davanti alle Ss è venuta alla memoria come un simbolo». A supporto della sua tesi, il giornale dei Paolini sottolinea come le stesse cose le ha scritte anche la prestigiosa rivista francese, certamente «non cattocomunista», Esprit. E conclude: «Speriamo che non si riveli mai vero il sospetto che stia rinascendo da noi sotto altre forme il fascismo». A dire il vero le stesse cose, le scrivono pure Colombo, Padellaro, i girotondini. Ma non è questo il punto. Mezzo governo - Giovanardi lancia in resta - ha accusato il settimanale di non essere cristiano.
E oggi - non ci vuole molto a prevederlo - alla questione saranno dedicate paginate di giornali.
Paradossalmente, ma non troppo, l’Italietta provinciale e perbenista ieri ha mostrato il suo vero volto. Quello di una finta partita di calcio col Camerum, che sarà dimenticata quando i calciatori, se vinceranno la prossima, saranno definiti «eroi». E quello di una polemica ipocrita tra Famiglia cristiana e il centrodestra, che sarà dimenticata quando il primo laico farà una battaglia qualsiasi sui diritti civili, sulla libertà religiosa o sessuale che sia.
Se il settimanale si fosse chiamato in altro modo tutto questo non sarebbe successo. Neanche se fosse stato del centrodestra. Ma si chiama Famiglia cristiana, e non è un dettaglio. Quel nome - a torto o a ragione - è diventato il simbolo del Dna nazionale, vero o presunto che sia. Attorno alla «famiglia» e al «cristiano» qualcuno, in anni duri e brechtiani, ha dato un’identità al paese. Anche con coerenza e dignità.
Ora però i tempi sono cambiati: sono cambiate le famiglie ed è anche cambiata la fede. Forse, anche grazie al fatto che quel modello di società qualcuno lo ha messo in discussione.
Ma «famiglia» e «cristiana» sono parole che la politica italiana di centrodestra, e non solo, ha spesso trasformato in bandiera, slogan, appello al ventre molle di un’Italietta che resiste, a dispetto dei tempi. In un’Italia la cui identità è profondamente cambiata. E se un settimanale che porta quel nome non diventa la cassa di risonanza di quella Italietta, per certa politica è troppo: è come un turco che bestemmia in chiesa. Ma se i suoi editoriali sono diventati editti la colpa è, soprattutto, di quella politica che ieri ha vissuto il suo contrappasso dantesco.
Si potrebbe fare un lungo, lunghissimo evento di come tanto «famiglia» quanto «cristiana» siano stati trasformati in simboli dell’ipocrisia.
Quando ai tempi del Family day i divorziati e gli adulteri del Pdl, tutti con le fedi al dito, erano in piazza San Giovanni, il "loro" settimanale alzava le barricate contro i Dico: termine incomprensibile con cui si consentiva, con un po’ di carità cristiana, a due che vivevano assieme di godere di diritti minimi di cittadinanza. Per non parlare della fecondazione assistita, quando in parlamento e nelle piazze si diceva di no alla legge in nome dello spirito cristiano e della difesa delle famiglie. Allora andava bene tutto: soprattutto gli editoriali del settimanale. Oggi c’è poco da lamentarsi. A giocare con l’ipocrisia ci si fa male.
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