L’editoriale di Vittorio Feltri su Libero di oggi. Titolo: «Il grave peso del Mezzogiorno». Leggiamolo:
«Luca Ricolfi, lucido e chiaro da non sembrare un professore, domenica ha scritto come al solito un eccellente articolo sui temi politici ed economici di maggior attualità, tra cui le cosiddette riforme istituzionali. L’argomento, in sé palloso, non va trascurato perché a breve diventerà decisivo per costatare la forza o la debolezza del governo.
Riassumo brutalmente, e in parte, il pensiero di Ricolfi: il rifacimento delle regole del gioco, oggi farraginose e paralizzanti, andrebbe fatto di comune accordo per evitare che la maggioranza, variabile per definizione, distrugga domani quanto ha approvato oggi. Al momento tuttavia una intesa fra Berlusconi e Veltroni è altamente improbabile. Perché ciò che conviene al primo non conviene al secondo e viceversa. Addirittura sarebbe più facile essi trovassero una convergenza sulla necessità di contenere le spese visto che in campagna elettorale entrambi ne hanno sostenuto la priorità.
Ma, si sa, un conto sono le buone intenzioni, un altro la capacità di realizzarle.
Per quanto possa valere la mia opinione, sottoscrivo ogni parola del professore.
Vorrei solo aggiungere una considerazione per così dire collaterale. Presentemente, si discute molto di federalismo fiscale, il cui significato pratico è ignoto a tutti o quasi e, forse, proprio per questo montano le suggestioni. Alcuni sperano si tratti di una panacea in grado di permettere al Nord di tenersi i suoi soldi, e di investirli in servizi efficienti, e al Sud di riscattarsi stimolando la gente a darsi una mossa.
In teoria è possibile. Ma il successo del federalismo fiscale dipende da come sarà applicato, in quale misura e con quali criteri. In proposito mancano informazioni e finché non ce ne saranno qualsiasi ipotesi sta in piedi.
Mettiamo pure che un Calderoli ispiratissimo (l’uomo è provveduto) riesca a escogitare la formula migliore. Migliore nel senso che le regioni virtuose possano godere delle tasse pagate dai residenti, e che le regioni dissestate debbano accontentarsi delle briciole contenute nella cassa di solidarietà a cui tutte saranno obbligate a versare un contributo.
Non c’è dubbio: il Nord trarrebbe vantaggi enormi e vivrebbe all’altezza dei propri redditi superiori alla media europea. Bene, champagne, feste e ragazze foreste, come dicono i veneti. All’improvviso il Sud non sarebbe più un peso per i settentrionali, i quali non avrebbero più motivi di lagnarsi: mio nonno ha dedicato un terzo del suo lavoro ai "terroni", mio padre anche, io e mio figlio stessa musica.
Vi immaginate il Mezzogiorno come reagirebbe? Dire rivoluzione è niente. Si scatenerebbe una tale battaglia fra le due Italie da far saltare il governo e l’intero Parlamento.
Il primo a cedere sarebbe il Nord causa abitudine consolidata ad essere remissivo per due ragioni: gli imprenditori sono troppo presi a mandare avanti l’azienda e a vendere, anche giù, i loro prodotti; e i lavoratori sono troppo presi nella conservazione del posto e della paga.
Senza contare che Camera e Senato, dove il 50 per cento dei membri sono meridionali, non si sognerebbero nemmeno di far passare una legge simile, a prescindere dagli schieramenti politici. Vogliamo delirare? Facciamo finta che quella legge passi. Immediatamente scatterebbe il referendum, subito accettato dalle varie Corti. Ed entrerebbero in scena le urne. In tutte le regioni, dall’Emilia in giù, il voto sarebbe negativo al 90 per cento. Nelle altre il voto sarebbe positivo al massimo nell’ordine del 60-65 per cento. Risultato finale: abrogato il federalismo fiscale.
Poiché queste valutazioni saranno state fatte dal PdL e suppongo anche dalla Lega, prevedo che l’unico federalismo fiscale attrezzato allo scopo di superare le forche caudine sarà talmente annacquato da non rappresentare alcuna minaccia per il poderoso apparato assistenziale finanziato dal Nord e fonte di sostentamento del Sud.
Non accusatemi di pessimismo, cari conterranei polentoni: anche stavolta ce la piglieremo in saccoccia.
Meglio esserne consapevoli e prepararsi all’ennesima delusione. L’abbiamo voluta (e imposta a tutti) la bicicletta unitaria? Adesso pedaliamo.»
Feltri non si immagina - o se l'immagina non ne dice e si abbandona all'ineluttabile - una possibile alternativa: smontare dalla bicicletta e lasciarla appoggiata al muro. In fin dei conti, però, come si dice sempre, i figli non sono responsabili delle colpe dei padri ed una eredità, come si sa, si può anche non accettarla.
«Luca Ricolfi, lucido e chiaro da non sembrare un professore, domenica ha scritto come al solito un eccellente articolo sui temi politici ed economici di maggior attualità, tra cui le cosiddette riforme istituzionali. L’argomento, in sé palloso, non va trascurato perché a breve diventerà decisivo per costatare la forza o la debolezza del governo.
Riassumo brutalmente, e in parte, il pensiero di Ricolfi: il rifacimento delle regole del gioco, oggi farraginose e paralizzanti, andrebbe fatto di comune accordo per evitare che la maggioranza, variabile per definizione, distrugga domani quanto ha approvato oggi. Al momento tuttavia una intesa fra Berlusconi e Veltroni è altamente improbabile. Perché ciò che conviene al primo non conviene al secondo e viceversa. Addirittura sarebbe più facile essi trovassero una convergenza sulla necessità di contenere le spese visto che in campagna elettorale entrambi ne hanno sostenuto la priorità.
Ma, si sa, un conto sono le buone intenzioni, un altro la capacità di realizzarle.
Per quanto possa valere la mia opinione, sottoscrivo ogni parola del professore.
Vorrei solo aggiungere una considerazione per così dire collaterale. Presentemente, si discute molto di federalismo fiscale, il cui significato pratico è ignoto a tutti o quasi e, forse, proprio per questo montano le suggestioni. Alcuni sperano si tratti di una panacea in grado di permettere al Nord di tenersi i suoi soldi, e di investirli in servizi efficienti, e al Sud di riscattarsi stimolando la gente a darsi una mossa.
In teoria è possibile. Ma il successo del federalismo fiscale dipende da come sarà applicato, in quale misura e con quali criteri. In proposito mancano informazioni e finché non ce ne saranno qualsiasi ipotesi sta in piedi.
Mettiamo pure che un Calderoli ispiratissimo (l’uomo è provveduto) riesca a escogitare la formula migliore. Migliore nel senso che le regioni virtuose possano godere delle tasse pagate dai residenti, e che le regioni dissestate debbano accontentarsi delle briciole contenute nella cassa di solidarietà a cui tutte saranno obbligate a versare un contributo.
Non c’è dubbio: il Nord trarrebbe vantaggi enormi e vivrebbe all’altezza dei propri redditi superiori alla media europea. Bene, champagne, feste e ragazze foreste, come dicono i veneti. All’improvviso il Sud non sarebbe più un peso per i settentrionali, i quali non avrebbero più motivi di lagnarsi: mio nonno ha dedicato un terzo del suo lavoro ai "terroni", mio padre anche, io e mio figlio stessa musica.
Vi immaginate il Mezzogiorno come reagirebbe? Dire rivoluzione è niente. Si scatenerebbe una tale battaglia fra le due Italie da far saltare il governo e l’intero Parlamento.
Il primo a cedere sarebbe il Nord causa abitudine consolidata ad essere remissivo per due ragioni: gli imprenditori sono troppo presi a mandare avanti l’azienda e a vendere, anche giù, i loro prodotti; e i lavoratori sono troppo presi nella conservazione del posto e della paga.
Senza contare che Camera e Senato, dove il 50 per cento dei membri sono meridionali, non si sognerebbero nemmeno di far passare una legge simile, a prescindere dagli schieramenti politici. Vogliamo delirare? Facciamo finta che quella legge passi. Immediatamente scatterebbe il referendum, subito accettato dalle varie Corti. Ed entrerebbero in scena le urne. In tutte le regioni, dall’Emilia in giù, il voto sarebbe negativo al 90 per cento. Nelle altre il voto sarebbe positivo al massimo nell’ordine del 60-65 per cento. Risultato finale: abrogato il federalismo fiscale.
Poiché queste valutazioni saranno state fatte dal PdL e suppongo anche dalla Lega, prevedo che l’unico federalismo fiscale attrezzato allo scopo di superare le forche caudine sarà talmente annacquato da non rappresentare alcuna minaccia per il poderoso apparato assistenziale finanziato dal Nord e fonte di sostentamento del Sud.
Non accusatemi di pessimismo, cari conterranei polentoni: anche stavolta ce la piglieremo in saccoccia.
Meglio esserne consapevoli e prepararsi all’ennesima delusione. L’abbiamo voluta (e imposta a tutti) la bicicletta unitaria? Adesso pedaliamo.»
Feltri non si immagina - o se l'immagina non ne dice e si abbandona all'ineluttabile - una possibile alternativa: smontare dalla bicicletta e lasciarla appoggiata al muro. In fin dei conti, però, come si dice sempre, i figli non sono responsabili delle colpe dei padri ed una eredità, come si sa, si può anche non accettarla.
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