Sempre da Il Messaggero di oggi traggo questo «Ricerca, la scommessa cruciale del paese» di Enrico Garaci, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, che focalizza il problema della ricerca, in particolare quella medica, nel nostro Paese:
Sviluppo economico e ricerca sono un indissolubile binomio.
E se la ricerca rappresenta un motore determinante dell’economia di un Paese, la scarsa innovazione esistente nel nostro è facilmente attribuibile allo scarso investimento in ricerca. Vale la pena ricordare qualche numero purtroppo noto e invariato ormai da tempo che parla di una spesa italiana per la ricerca che, rispetto al Prodotto interno lordo (Pil), è dell’1,1 % contro la media europea dell’1,9%, con una percentuale di occupati nel settore che si attesta al 3% contro il 6% dell’Europa.
E tutto questo nonostante i ricercatori italiani, in una classifica di 140 Paesi, si siano attestati al settimo posto per numero di pubblicazioni e di citazioni per quanto riguarda la ricerca di base, quella da cui nasce tanta innovazione.
Meno citato, ma altrettanto cronico, un altro anello debole della catena nel sistema ricerca in Italia è la capacità di valorizzazione economica e sociale di questo patrimonio di conoscenze comunque prodotto dai nostri ricercatori. Questo circuito virtuoso, ben sviluppato in altri paesi e grazie al quale un prodotto della conoscenza si trasforma in un prodotto utilizzabile dalla società intera, è quello che si chiama in altre parole il trasferimento tecnologico dei frutti della ricerca scientifica e che può avvenire solo attraverso un’integrazione tra Accademia, Finanza e Industria, elementi chiave, la cui sinergia, da sola, può rivitalizzare le imprese e dare respiro alla nostra economia.
Nella ricerca biomedica tutto questo si traduce con la formula from bench to bedside, ossia dal laboratorio al letto del paziente e, in italiano, si traduce con il termine ricerca "traslazionale", cioè quella ricerca finalizzata agli studi clinici, alle terapie per curare i pazienti. Ed è questo passaggio che va valorizzato, altrimenti anche i frutti della ricerca di base, quella guidata dalla curiosità, non riescono a trasformarsi per entrare in un circuito vitale ed essere restituiti alla collettività.
Un primo passo nel cambiamento del modo di intuire la scienza e il suo ruolo nella nostra società è stato fatto dalla legge Tremonti che ha stabilito in alcuni casi la proprietà del brevetto da parte del ricercatore. Non è un caso, probabilmente, che nel 2007, anno del record di brevetti depositati, quelli di origine italiana siano stati del 4,7% superiori rispetto alla media internazionale.
Un segnale importante in direzione dell’avvicinamento dell’Italia ai Paesi come Francia. Inghilterra e Germania, ma che non basta a colmare il divario che ci separa da loro e per cui servono ancora altri provvedimenti in questa direzione.
Ciò significa interventi che favoriscano la volontà di investimenti di capitale come, per esempio, il co-investimento da parte di un fondo pubblico al fianco di capitale privato o il rimborso di spese derivanti da investimenti di questo genere nella fase di creazione di nuove imprese mirate al trasferimento tecnologico della ricerca.
Serve la creazione di una cultura brevettuale, nel cui ambito promuovere azioni per rendere appetibili all’industria i brevetti italiani e coordinare le attività di tutti gli attori istituzionali.
L’Istituto Superiore di Sanità marcia da anni in questa direzione. Da tempo ha dedicato risorse specifiche alla gestione dei brevetti. che negli ultimi anni sono cresciuti in modo esponenziale, ma ciò che è ancora più importante è creare un’attività di coordinamento a sostegno della traduzione in risultati tangibili di queste attività.
Un esempio in questa direzione arriva dalla Sardegna. La creazione della Società "Fase 1", con capitale interamente pubblico, che intende, attraverso bandi pubblici, promuovere lo sviluppo di brevetti nel settore biomedico fino alla fase iniziale di sperimentazione clinica.
Lungo questa direttiva bisogna assumere ulteriori iniziative che attraverso un coordinamento possono potenziare il processo di traslazione attraverso l’istituzione di appositi Centri che forniscano tutto il necessario sostegno per la protezione e valorizzazione dei brevetti.
Questi rappresentano passi concreti, insomma, per promuovere il frutto della ricerca italiana e per fare in modo che a fruirne sia prima di tutto la collettività.
Sviluppo economico e ricerca sono un indissolubile binomio.
E se la ricerca rappresenta un motore determinante dell’economia di un Paese, la scarsa innovazione esistente nel nostro è facilmente attribuibile allo scarso investimento in ricerca. Vale la pena ricordare qualche numero purtroppo noto e invariato ormai da tempo che parla di una spesa italiana per la ricerca che, rispetto al Prodotto interno lordo (Pil), è dell’1,1 % contro la media europea dell’1,9%, con una percentuale di occupati nel settore che si attesta al 3% contro il 6% dell’Europa.
E tutto questo nonostante i ricercatori italiani, in una classifica di 140 Paesi, si siano attestati al settimo posto per numero di pubblicazioni e di citazioni per quanto riguarda la ricerca di base, quella da cui nasce tanta innovazione.
Meno citato, ma altrettanto cronico, un altro anello debole della catena nel sistema ricerca in Italia è la capacità di valorizzazione economica e sociale di questo patrimonio di conoscenze comunque prodotto dai nostri ricercatori. Questo circuito virtuoso, ben sviluppato in altri paesi e grazie al quale un prodotto della conoscenza si trasforma in un prodotto utilizzabile dalla società intera, è quello che si chiama in altre parole il trasferimento tecnologico dei frutti della ricerca scientifica e che può avvenire solo attraverso un’integrazione tra Accademia, Finanza e Industria, elementi chiave, la cui sinergia, da sola, può rivitalizzare le imprese e dare respiro alla nostra economia.
Nella ricerca biomedica tutto questo si traduce con la formula from bench to bedside, ossia dal laboratorio al letto del paziente e, in italiano, si traduce con il termine ricerca "traslazionale", cioè quella ricerca finalizzata agli studi clinici, alle terapie per curare i pazienti. Ed è questo passaggio che va valorizzato, altrimenti anche i frutti della ricerca di base, quella guidata dalla curiosità, non riescono a trasformarsi per entrare in un circuito vitale ed essere restituiti alla collettività.
Un primo passo nel cambiamento del modo di intuire la scienza e il suo ruolo nella nostra società è stato fatto dalla legge Tremonti che ha stabilito in alcuni casi la proprietà del brevetto da parte del ricercatore. Non è un caso, probabilmente, che nel 2007, anno del record di brevetti depositati, quelli di origine italiana siano stati del 4,7% superiori rispetto alla media internazionale.
Un segnale importante in direzione dell’avvicinamento dell’Italia ai Paesi come Francia. Inghilterra e Germania, ma che non basta a colmare il divario che ci separa da loro e per cui servono ancora altri provvedimenti in questa direzione.
Ciò significa interventi che favoriscano la volontà di investimenti di capitale come, per esempio, il co-investimento da parte di un fondo pubblico al fianco di capitale privato o il rimborso di spese derivanti da investimenti di questo genere nella fase di creazione di nuove imprese mirate al trasferimento tecnologico della ricerca.
Serve la creazione di una cultura brevettuale, nel cui ambito promuovere azioni per rendere appetibili all’industria i brevetti italiani e coordinare le attività di tutti gli attori istituzionali.
L’Istituto Superiore di Sanità marcia da anni in questa direzione. Da tempo ha dedicato risorse specifiche alla gestione dei brevetti. che negli ultimi anni sono cresciuti in modo esponenziale, ma ciò che è ancora più importante è creare un’attività di coordinamento a sostegno della traduzione in risultati tangibili di queste attività.
Un esempio in questa direzione arriva dalla Sardegna. La creazione della Società "Fase 1", con capitale interamente pubblico, che intende, attraverso bandi pubblici, promuovere lo sviluppo di brevetti nel settore biomedico fino alla fase iniziale di sperimentazione clinica.
Lungo questa direttiva bisogna assumere ulteriori iniziative che attraverso un coordinamento possono potenziare il processo di traslazione attraverso l’istituzione di appositi Centri che forniscano tutto il necessario sostegno per la protezione e valorizzazione dei brevetti.
Questi rappresentano passi concreti, insomma, per promuovere il frutto della ricerca italiana e per fare in modo che a fruirne sia prima di tutto la collettività.
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