Il Tempo di ieri, venerdì 8 agosto 2008, riporta una lunga intervista con il ministro Bondi, raccolta da Roberto Arditi e Sarina Biraghi, col titolo “Non c'è Italia senza cultura”. La riprendo qui e questo è il testo:
Da tre mesi è ministro dei Beni e delle Attività Culturali del governo Berlusconi, lui che del Cavaliere è certamente uno degli uomini più fidati. Sandro Bondi da Fivizzano sta lavorando con passione in un mondo che spesso guarda con qualche diffidenza gli esponenti del centro-destra.
Ma lui non sembra affatto propenso ad impressionarsi facilmente.
Ministro Bondi, in questi giorni Lei ha più volte richiamato la necessità di investire nella cultura. Al tempo stesso il governo è impegnato nel ridurre la spesa pubblica. Qual è il punto d’incontro tra le due esigenze?
«Parto dall’esigenza di ripensare il ruolo dello Stato nella cultura. Perciò ho sempre detto che da un male può venire un bene. Perché non solo sono convinto della giustezza e della validità della politica economica del governo, ma ritengo che la diminuzione delle risorse statali debbano spingere anche il mio ministero a trovare soluzioni nuove ai problemi della tutela e del sostegno alla cultura. In sostanza, i tagli possono diventare l’occasione per togliere la cultura dalle mani esclusive dello Stato, per coinvolgere i privati e gli enti locali nella gestione dei beni culturali e infine per riformare una struttura burocratica finalizzata quasi esclusivamente alla conservazione e alla tutela e meno allo sviluppo e all’innovazione».
Il ministro Tremonti sta stringendo i cordoni della borsa. Lei gli ha chiesto pubblicamente maggiore comprensione. Tensione o normale dialettica tra ministri?
«Così come l’amico Giulio Tremonti si fa carico della politica economica a nome dell’intero governo, allo stesso modo anch’io mi faccio carico del valore della cultura a nome dell’intero consiglio dei ministri. Se crediamo che la cultura, l’istruzione e la ricerca scientifica rappresentino un investimento fondamentale per il futuro del nostro Paese, è chiaro che, di fronte a tagli così pesanti tali da far parlare della messa in liquidazione del ministero voluto da Giovanni Spadolini, è necessario prendere in considerazione ipotesi di finanziamento della cultura diverse da quelle attuali, sulla base dei modelli già in uso in altri Paesi. Per questo a settembre presenterò al ministro Tremonti e al governo due proposte: la prima riguarda l’istituzione di una agenzia nazionale per il cinema e la seconda misure di defiscalizzazione delle sponsorizzazioni a favore dei beni e della attività culturali. Sono proposte che non incidono sul bilancio dello Stato e che presuppongono un ripensamento liberale del ruolo dello Stato nella cultura. Ringrazio l’amico Tremonti che mi ha garantito di volerle analizzarle e valutarle con la massima attenzione».
Si parla da sempre di coinvolgere i privati. Ha ricevuto segnali di concreta disponibilità?
«Sì, perché un altro beneficio dei tagli è quello di indurre ad un uso più razionale ed efficace delle risorse esistenti. Perché è vero che le risorse sono poche, ma spesso quelle poche risorse sono impiegate male, disperse in mille rivoli, e addirittura in qualche caso non vengono neppure spese. Ho già annunciato, ad esempio, che una delle scelte fondamentali del mio ministero sarà quella di puntare sulla valorizzazione dei musei (il più grande patrimonio di musei nel mondo) e delle aree archeologiche. Quest’anno, diversamente dal passato, proporrò che la società ARCUS investa 20 milioni di euro in un piano nazionale di valorizzazione dei musei. Le fondazioni bancarie, attraverso il professor Guzzetti che ringrazio, e i più grandi gruppi imprenditoriali italiani mi hanno già detto che se finalmente il governo compirà una scelta qualificante, anche loro faranno la loro parte. Anche una società come la Finmeccanica, inoltre, mi ha presentato un piano estremamente interessante per la valorizzazione dei musei italiani».
Se possibile, vorremmo sintetizzare così le due missioni del suo ministero: conservare i beni culturali e incentivare la "produzione" culturale. A quali progetti sta lavorando, pensando a quelli che considera i più significativi?
«Sì, il mio ministero ha due principali funzione: la prima è quella di custodire e tutelare il patrimonio storico e artistico della nostra storia, mentre la seconda, non meno importante, è quella di sostenere e promuovere l’arte contemporanea, al fine di lasciare alle generazioni future testimonianze artistiche della nostra civiltà. Per questo intendo realizzare un piano nazionale di valorizzazione dei musei e al tempo stesso promuovere il lavoro degli architetti e degli artisti contemporanei».
Lei è il primo ministro dei Beni culturali che ha dichiarato lo stato di emergenza per un sito archeologico come Pompei. La situazione è così degradata? E come si può tornare alla normalità?
«Da anni la situazione era intollerabile e offriva un’immagine inaccettabile del nostro Paese ai turisti stranieri. È stato un atto di responsabilità quello di intervenire. Il nuovo commissario sta operando con grande efficacia e ottenendo risultati molto importanti. All’estero hanno compreso che in Italia c’è qualcuno che ha cura del nostro patrimonio storico e che prende sul serio lo sviluppo del turismo. Voglio che Pompei diventi il simbolo di un nuovo impegno per la valorizzazione e una più efficace gestione dei nostri beni culturali».
Lei ha commentato con apprezzamento la stagione felice del cinema italiano, con 4 film in concorso a Venezia. Su quali fronti bisogna lavorare? Quali sono i registi che apprezza di più? Come si può superare l’incrocio tra i festival di Venezia e Roma?
«In realtà, si può dire senza enfasi che è tornato il grande cinema italiano. Spero che Venezia confermi una vitalità del cinema italiano, che si esprime attraverso registi e attori di grande valore».
La sinistra italiana ha ancora a suo avviso una certa presunzione di egemonia culturale?
«L’egemonia culturale è una cosa seria. Oggi, in realtà, la crisi dei partiti della sinistra, tutti indistintamente da quelli dell’estrema sinistra a quelli cosiddetti riformisti, deriva da una crisi di carattere culturale. La cosiddetta egemonia della sinistra è in realtà un potere ancora resistente per inerzia negli apparati culturali del nostro Paese. Per il resto la sinistra si trova immersa in un deserto culturale, privata dei riferimenti storici più vitali e conquistata da una sorta di cultura radicale di massa».
La riforma del 2001 prevede che la tutela dei Beni culturali è dello Stato mentre la valorizzazione delle regioni: come si lavora su quest’asse?
«Il mio modello è quello della cooperazione con le regioni e gli enti locali. Mi sono già mosso in questa direzione, costituendo un tavolo tecnico con le Regioni e gli enti locali per l’attuazione del codice dei beni culturali e per stipulare accordi di gestione comune dei beni culturali come è avvenuto per la Reggia di Venaria, la Villa Reale di Monza e l’area archeologica di Aquileia. Questa è la strada da seguire anche per il futuro».
Infine la politica. Il Partito della libertà è alle porte. Non può mancare una sua riflessione sul punto. Il progetto procede bene o le attività di governo distraggono tutti? Sarete pronti per le elezioni europee senza tensioni con la componente di An?
«Per quanto riguarda i valori e i programmi del nuovo partito, i nostri elettori già si sentono parte del nuovo partito della libertà. Occorre soltanto definire i passaggi organizzativi della nascita del nuovo partito. Ma anche da questo punto di vista, Denis Verdini e Ignazio La Russa hanno fatto un lavoro straordinario. A Gubbio quest’anno parleremo del nuovo partito nell’Italia che cambia».
Il dialogo con Veltroni e il Pd, di cui tanto si parla, è per la maggioranza un obiettivo o sono solo schermaglie polemiche? Su quali punti potrebbe funzionare?
«La strada del dialogo non ha alternative e non può valere ad intermittenza. Bisogna seguirla con decisione e volontà positiva nonostante i momenti difficili che abbiamo incontrato e potremo incontrare anche nel futuro».
Da tre mesi è ministro dei Beni e delle Attività Culturali del governo Berlusconi, lui che del Cavaliere è certamente uno degli uomini più fidati. Sandro Bondi da Fivizzano sta lavorando con passione in un mondo che spesso guarda con qualche diffidenza gli esponenti del centro-destra.
Ma lui non sembra affatto propenso ad impressionarsi facilmente.
Ministro Bondi, in questi giorni Lei ha più volte richiamato la necessità di investire nella cultura. Al tempo stesso il governo è impegnato nel ridurre la spesa pubblica. Qual è il punto d’incontro tra le due esigenze?
«Parto dall’esigenza di ripensare il ruolo dello Stato nella cultura. Perciò ho sempre detto che da un male può venire un bene. Perché non solo sono convinto della giustezza e della validità della politica economica del governo, ma ritengo che la diminuzione delle risorse statali debbano spingere anche il mio ministero a trovare soluzioni nuove ai problemi della tutela e del sostegno alla cultura. In sostanza, i tagli possono diventare l’occasione per togliere la cultura dalle mani esclusive dello Stato, per coinvolgere i privati e gli enti locali nella gestione dei beni culturali e infine per riformare una struttura burocratica finalizzata quasi esclusivamente alla conservazione e alla tutela e meno allo sviluppo e all’innovazione».
Il ministro Tremonti sta stringendo i cordoni della borsa. Lei gli ha chiesto pubblicamente maggiore comprensione. Tensione o normale dialettica tra ministri?
«Così come l’amico Giulio Tremonti si fa carico della politica economica a nome dell’intero governo, allo stesso modo anch’io mi faccio carico del valore della cultura a nome dell’intero consiglio dei ministri. Se crediamo che la cultura, l’istruzione e la ricerca scientifica rappresentino un investimento fondamentale per il futuro del nostro Paese, è chiaro che, di fronte a tagli così pesanti tali da far parlare della messa in liquidazione del ministero voluto da Giovanni Spadolini, è necessario prendere in considerazione ipotesi di finanziamento della cultura diverse da quelle attuali, sulla base dei modelli già in uso in altri Paesi. Per questo a settembre presenterò al ministro Tremonti e al governo due proposte: la prima riguarda l’istituzione di una agenzia nazionale per il cinema e la seconda misure di defiscalizzazione delle sponsorizzazioni a favore dei beni e della attività culturali. Sono proposte che non incidono sul bilancio dello Stato e che presuppongono un ripensamento liberale del ruolo dello Stato nella cultura. Ringrazio l’amico Tremonti che mi ha garantito di volerle analizzarle e valutarle con la massima attenzione».
Si parla da sempre di coinvolgere i privati. Ha ricevuto segnali di concreta disponibilità?
«Sì, perché un altro beneficio dei tagli è quello di indurre ad un uso più razionale ed efficace delle risorse esistenti. Perché è vero che le risorse sono poche, ma spesso quelle poche risorse sono impiegate male, disperse in mille rivoli, e addirittura in qualche caso non vengono neppure spese. Ho già annunciato, ad esempio, che una delle scelte fondamentali del mio ministero sarà quella di puntare sulla valorizzazione dei musei (il più grande patrimonio di musei nel mondo) e delle aree archeologiche. Quest’anno, diversamente dal passato, proporrò che la società ARCUS investa 20 milioni di euro in un piano nazionale di valorizzazione dei musei. Le fondazioni bancarie, attraverso il professor Guzzetti che ringrazio, e i più grandi gruppi imprenditoriali italiani mi hanno già detto che se finalmente il governo compirà una scelta qualificante, anche loro faranno la loro parte. Anche una società come la Finmeccanica, inoltre, mi ha presentato un piano estremamente interessante per la valorizzazione dei musei italiani».
Se possibile, vorremmo sintetizzare così le due missioni del suo ministero: conservare i beni culturali e incentivare la "produzione" culturale. A quali progetti sta lavorando, pensando a quelli che considera i più significativi?
«Sì, il mio ministero ha due principali funzione: la prima è quella di custodire e tutelare il patrimonio storico e artistico della nostra storia, mentre la seconda, non meno importante, è quella di sostenere e promuovere l’arte contemporanea, al fine di lasciare alle generazioni future testimonianze artistiche della nostra civiltà. Per questo intendo realizzare un piano nazionale di valorizzazione dei musei e al tempo stesso promuovere il lavoro degli architetti e degli artisti contemporanei».
Lei è il primo ministro dei Beni culturali che ha dichiarato lo stato di emergenza per un sito archeologico come Pompei. La situazione è così degradata? E come si può tornare alla normalità?
«Da anni la situazione era intollerabile e offriva un’immagine inaccettabile del nostro Paese ai turisti stranieri. È stato un atto di responsabilità quello di intervenire. Il nuovo commissario sta operando con grande efficacia e ottenendo risultati molto importanti. All’estero hanno compreso che in Italia c’è qualcuno che ha cura del nostro patrimonio storico e che prende sul serio lo sviluppo del turismo. Voglio che Pompei diventi il simbolo di un nuovo impegno per la valorizzazione e una più efficace gestione dei nostri beni culturali».
Lei ha commentato con apprezzamento la stagione felice del cinema italiano, con 4 film in concorso a Venezia. Su quali fronti bisogna lavorare? Quali sono i registi che apprezza di più? Come si può superare l’incrocio tra i festival di Venezia e Roma?
«In realtà, si può dire senza enfasi che è tornato il grande cinema italiano. Spero che Venezia confermi una vitalità del cinema italiano, che si esprime attraverso registi e attori di grande valore».
La sinistra italiana ha ancora a suo avviso una certa presunzione di egemonia culturale?
«L’egemonia culturale è una cosa seria. Oggi, in realtà, la crisi dei partiti della sinistra, tutti indistintamente da quelli dell’estrema sinistra a quelli cosiddetti riformisti, deriva da una crisi di carattere culturale. La cosiddetta egemonia della sinistra è in realtà un potere ancora resistente per inerzia negli apparati culturali del nostro Paese. Per il resto la sinistra si trova immersa in un deserto culturale, privata dei riferimenti storici più vitali e conquistata da una sorta di cultura radicale di massa».
La riforma del 2001 prevede che la tutela dei Beni culturali è dello Stato mentre la valorizzazione delle regioni: come si lavora su quest’asse?
«Il mio modello è quello della cooperazione con le regioni e gli enti locali. Mi sono già mosso in questa direzione, costituendo un tavolo tecnico con le Regioni e gli enti locali per l’attuazione del codice dei beni culturali e per stipulare accordi di gestione comune dei beni culturali come è avvenuto per la Reggia di Venaria, la Villa Reale di Monza e l’area archeologica di Aquileia. Questa è la strada da seguire anche per il futuro».
Infine la politica. Il Partito della libertà è alle porte. Non può mancare una sua riflessione sul punto. Il progetto procede bene o le attività di governo distraggono tutti? Sarete pronti per le elezioni europee senza tensioni con la componente di An?
«Per quanto riguarda i valori e i programmi del nuovo partito, i nostri elettori già si sentono parte del nuovo partito della libertà. Occorre soltanto definire i passaggi organizzativi della nascita del nuovo partito. Ma anche da questo punto di vista, Denis Verdini e Ignazio La Russa hanno fatto un lavoro straordinario. A Gubbio quest’anno parleremo del nuovo partito nell’Italia che cambia».
Il dialogo con Veltroni e il Pd, di cui tanto si parla, è per la maggioranza un obiettivo o sono solo schermaglie polemiche? Su quali punti potrebbe funzionare?
«La strada del dialogo non ha alternative e non può valere ad intermittenza. Bisogna seguirla con decisione e volontà positiva nonostante i momenti difficili che abbiamo incontrato e potremo incontrare anche nel futuro».
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