Di questi tempi non passa giorno che il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga non ci regali qualche gustosa e ironica esternazione o qualche irriverente intervento sui media. "Il Giornale" di oggi, o meglio di ieri vista l'ora, pubblica un articolo di Gianni Pennacchi che ne fa un intrigante ritratto cominciando col descrivere il suo gioioso compiacimento "togli età", «Fantastico, mi insultano come ai bei tempi», per l'accoglienza che gli hanno riservato ieri, l'altro ieri vista l'ora, i giovani intrincerati davanti Palazzo Madama. In più l'articolo ci racconta altri retroscena del dibattito in Senato che il resoconto stenografico ripreso in un post precedente non raccontava. Vediamolo:
Il regalo più bello e gratificante gli è venuto dal gruppazzo di studentelli accampato sul portone di Palazzo Madama a protestare contro il decreto Gelmini. «Buuu! Buuu!» gli han gridato fischiandolo, «Cossiga boia, Cossiga boia!». Sì, come ai bei tempi del Kossiga con la K e le due S alla nazista, quando lui era ministro degli Interni e quelli non erano ancora nati, pure mamma e papà erano ragazzini. Una bomba di gerovital per il presidente emerito, che si è eretto nell'imponenza di un tempo sorridendo a quegli sbarbatelli quasi ringraziandoli. Del resto, già in aula annunciando il suo voto favorevole al provvedimento sulla scuola, contro i baroni, allegro e irridente aveva sfidato i banchi dell'opposizione colpevole di aver tralignato dalla tradizione del «glorioso Pci», che invece applaudiva quando lui faceva picchiare, «a sangue», gli studenti che avevano cacciato la Cgil dall'università.
Povera sinistra, che se non ci fosse ancora il picconatore a frantumarle il gesso si prenderebbe sul serio, sempre a cavallo di tigri di carta. Sorridevano placidi ieri mattina, i senatori del Pd in attesa del voto definitivo sul decreto Gelmini, quando Francesco Cossiga, penultimo iscritto per la dichiarazione di voto, ha preso la parola.
Era ironico e bonario, l'ex presidente, muoveva a simpatia mentre ringraziava «gli organizzatori e i partecipanti delle oceaniche manifestazioni di questi giorni, dai baroni universitari alle responsabili mamme dei bambini innocenti portati in piazza ad urlare slogan di cui essi non comprendevano nulla. Avrei capito se avessi sentito i bambini gridare "merendine, merendine!", non "assunzioni!"...» E come si fa con l'anziano nonnino, annuivano compiacenti mentre lui, assaporando già il bis che avrebbe colto all'uscita, ammetteva: «Per me è stata una botta di vita sentire echeggiare slogan che temevo ormai desueti, sapere che esisto e che qualcuno si ricorda di me urlando "Cossiga boia", "Cossiga assassino" e "Cossiga piduista"».
Nicchiavano pazienti, non sapendo che il "nonnetto" stava per mollare una sberla da trauma cranico. Anche perché il primo colpo è volato a destra e ai dipietristi, Cossiga annunciava il suo sì anche sperando che «cessi questo inizio di movimentismo che vede pericolosamente uniti i giovani di sinistra con i giovani dell'estrema destra: i giovani di An devono acquistare punti per la futura elezione del loro leader alla presidenza della Repubblica, e meno male che questi ragazzi hanno rifiutato la solidarietà del fascista Antonio Di Pietro; ogni secolo ha il suo fascismo, e il fascismo di oggi in Italia si chiama "Italia dei disvalori" o partito delle "forche e manette"...» Poi, improvvisa e bruciante, la mazzata a sinistra.
Ricordate il movimento del '77 e gli «indiani metropolitani»? Nella solennità dell'aula del Senato, Cossiga ha spiattellato quel che tutti sanno ma non si può dire: «Ai tempi della Cgil di Lama ci mettemmo d'accordo così: prima gli studenti li picchiavano quelli del servizio d'ordine della Cgil, poi toccava alle forze dell'ordine. Sono stato il ministro dell'Interno di tre governi di solidarietà nazionale, Ma erano i tempi di Berlinguer, non di Walter Veltroni, di Natta e non di Franco Marini. Erano i tempi del glorioso Partito Comunista». Come punti dalla tarantola han preso a rumoreggiare, Antonello Cabras e altri gli urlavano «basta, basta!», Gianrico Carofiglio e Silvana Amati gridavano «tempo, tempo!», ma Schifani s'è ben guardato da spegnergli il microfono perché «Cossiga ha avuto delle interruzioni e quindi ha diritto di parlare ancora». I senatori del Pdl ridevano invece e applaudivano, rintuzzando le proteste del Pd; «per anni avete galleggiato con i senatori a vita, ora lasciatelo parlare!»; rinfacciava Mario Baldassari. Lui, imperturbabile e implacabile, è andato ancor più di piccone: «Erano i tempi del glorioso Partito comunista; quando Luciano Lama venne cacciato dall'università, il gruppo del Pci si alzò in piedi ad applaudirlo; e io venni applaudito perché avevo fatto picchiare a sangue gli studenti che avevano contestato Luciano Lama».
Sembrava che non gli dispiacesse affatto di scatenare una zuffa. Gli eredi del Pci gli urlavano di tutto e di più, e lui: «Torniamo alle scazzottate in aula, come ai miei tempi? Un pugno da Pajetta io l'ho preso, durante un dibattito sul Vietnam», e guardando la Finocchiaro ha proseguito sorridendo: «Un pugno dal capogruppo del Pd io lo gradirei: Pajetta però era più cattivo, non so se lei sappia fare a pugni...».
Povera sinistra, che se non ci fosse ancora il picconatore a frantumarle il gesso si prenderebbe sul serio, sempre a cavallo di tigri di carta. Sorridevano placidi ieri mattina, i senatori del Pd in attesa del voto definitivo sul decreto Gelmini, quando Francesco Cossiga, penultimo iscritto per la dichiarazione di voto, ha preso la parola.
Era ironico e bonario, l'ex presidente, muoveva a simpatia mentre ringraziava «gli organizzatori e i partecipanti delle oceaniche manifestazioni di questi giorni, dai baroni universitari alle responsabili mamme dei bambini innocenti portati in piazza ad urlare slogan di cui essi non comprendevano nulla. Avrei capito se avessi sentito i bambini gridare "merendine, merendine!", non "assunzioni!"...» E come si fa con l'anziano nonnino, annuivano compiacenti mentre lui, assaporando già il bis che avrebbe colto all'uscita, ammetteva: «Per me è stata una botta di vita sentire echeggiare slogan che temevo ormai desueti, sapere che esisto e che qualcuno si ricorda di me urlando "Cossiga boia", "Cossiga assassino" e "Cossiga piduista"».
Nicchiavano pazienti, non sapendo che il "nonnetto" stava per mollare una sberla da trauma cranico. Anche perché il primo colpo è volato a destra e ai dipietristi, Cossiga annunciava il suo sì anche sperando che «cessi questo inizio di movimentismo che vede pericolosamente uniti i giovani di sinistra con i giovani dell'estrema destra: i giovani di An devono acquistare punti per la futura elezione del loro leader alla presidenza della Repubblica, e meno male che questi ragazzi hanno rifiutato la solidarietà del fascista Antonio Di Pietro; ogni secolo ha il suo fascismo, e il fascismo di oggi in Italia si chiama "Italia dei disvalori" o partito delle "forche e manette"...» Poi, improvvisa e bruciante, la mazzata a sinistra.
Ricordate il movimento del '77 e gli «indiani metropolitani»? Nella solennità dell'aula del Senato, Cossiga ha spiattellato quel che tutti sanno ma non si può dire: «Ai tempi della Cgil di Lama ci mettemmo d'accordo così: prima gli studenti li picchiavano quelli del servizio d'ordine della Cgil, poi toccava alle forze dell'ordine. Sono stato il ministro dell'Interno di tre governi di solidarietà nazionale, Ma erano i tempi di Berlinguer, non di Walter Veltroni, di Natta e non di Franco Marini. Erano i tempi del glorioso Partito Comunista». Come punti dalla tarantola han preso a rumoreggiare, Antonello Cabras e altri gli urlavano «basta, basta!», Gianrico Carofiglio e Silvana Amati gridavano «tempo, tempo!», ma Schifani s'è ben guardato da spegnergli il microfono perché «Cossiga ha avuto delle interruzioni e quindi ha diritto di parlare ancora». I senatori del Pdl ridevano invece e applaudivano, rintuzzando le proteste del Pd; «per anni avete galleggiato con i senatori a vita, ora lasciatelo parlare!»; rinfacciava Mario Baldassari. Lui, imperturbabile e implacabile, è andato ancor più di piccone: «Erano i tempi del glorioso Partito comunista; quando Luciano Lama venne cacciato dall'università, il gruppo del Pci si alzò in piedi ad applaudirlo; e io venni applaudito perché avevo fatto picchiare a sangue gli studenti che avevano contestato Luciano Lama».
Sembrava che non gli dispiacesse affatto di scatenare una zuffa. Gli eredi del Pci gli urlavano di tutto e di più, e lui: «Torniamo alle scazzottate in aula, come ai miei tempi? Un pugno da Pajetta io l'ho preso, durante un dibattito sul Vietnam», e guardando la Finocchiaro ha proseguito sorridendo: «Un pugno dal capogruppo del Pd io lo gradirei: Pajetta però era più cattivo, non so se lei sappia fare a pugni...».
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