domenica 26 ottobre 2008

Una protesta povera di contenuti e sostanzialmente sbagliata

Ancora sulla scuola, raccolgo l’intervista fatta al vice-capogruppo del Popolo della libertà al Senato, Gaetano Quagliariello, pubblicata ieri da “Libero” con il titolo «Faremo parlare la maggioranza silenziosa. Sarà la marcia dei quarantamila della scuola». Ecco il testo:

«In questo Paese si è sempre pensato a tutelare solo i diritti, spesso sfociati in soprusi, delle minoranze rumorose, dimenticando che esiste una maggioranza silenziosa che vuole continuare a studiare, a seguire le lezioni e a sostenere gli esami». Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo del Popolo della libertà a palazzo Madama, sposa in pieno la battaglia dei giovani di Forza Italia negli atenei, e non solo, a favore di quel diritto allo studio calpestato dai contestatori anti-Gelmini. La misura, attacca, è colma: «In questi giorni stiamo assistendo a cose ridicole».
A cosa si riferisce? «Alle mozioni dei senati accademici che approvano le occupazioni delle università da parte degli studenti. Ai presidi e ai rettori che incitano alla mobilitazione. Questo è diseducativo e non ha nulla a che fare con una corretta forma di contestazione degli interventi governativi».
Quali obiettivi si prefigge la petizione? «Questa iniziativa mette l’accento su quella che è una vera e propria anomalia italiana: l’assenza, nelle università italiane, della voce della maggioranza. Se la petizione prenderà forza, potrebbe avere una forza rivelatrice, seppur in un ambito differente, come la “marcia dei quarantamila” dei colletti bianchi della Fiat contro l’oltranzismo sindacale. O, se si preferisce, come la sfilata che a Parigi, agli Champs-Élysées, mise fine al Sessantotto francese. Adesso, rispetto ad allora, abbiamo a disposizione anche gli strumenti di internet».
Quante firme potrebbero arrivare? «E chiaro che un’iniziativa come questa debba avere una forza d’impatto quantificabile in centinaia di migliaia di firme, ma non mi sembra il caso di fissare un obiettivo».
Fatto sta che sarebbe la prima volta che la maggioranza silenziosa esce allo scoperto. «Per tanto, troppo tempo nelle università italiane ha parlato una sola voce. Questo potrebbe essere un modo non solo per rivendicare alcuni diritti e ricordarli a chi esalta solo quelli dei manifestanti, ma anche per aprire un confronto tra i due blocchi. Vogliamo portare chi occupa ad andare oltre, a guardare i contenuti della protesta, che mi sembrano incredibilmente poveri».
I contestatori vi accusano di distruggere l’università a suon di tagli. «La situazione dei nostri atenei è drammatica sotto tutti i punti di vista. Nessuna delle università italiane è nelle prime 200 del mondo. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un proliferare dei corsi di studio - oggi sono 5.500 -, alcuni dei quali sfiorano il ridicolo. Dall’inizio degli anni Novanta la popolazione studentesca è aumentata del 7% laddove i professori sono aumentati del 25%. Il numero dei professori ordinari è quasi pari a quello dei ricercatori e dei professori associati».
Questo cosa significa? «Che la struttura del corpo docente non è più quella di una piramide, con una base più ampia rappresentata dal reclutamento dei giovani e un vertice più limitato, ma una sorta di cilindro. Questo vuol dire che oggi l’università, invece di essere per lo studente, è fatta ad uso e consumo dei professori. Del resto in quasi tutte le sedi la spesa per gli stipendi assorbe il 90% del bilancio. Tutto il resto, ricerca, laboratori e computer, è ridotto in quel 10%. Un’università fallimentare».
Eppure in piazza si grida “no” alle riforme. «Sono proteste senza senso, gli studenti si stanno mobilitando contro il loro futuro difendendo, di fatto, privilegi insopportabili,e giustificando lo “status quo”. Non capiscono che in questo modo rischiano anche di alimentare un nuovo classismo: se l’università che loro dicono di voler proteggere non attrae fondi privati, sarà sempre più dequalificata, ma a rimetterci sarà la maggioranza degli studenti, perché la minoranza più facoltosa potrà sempre frequentare gli atenei di élite, quasi tutti all’estero».
Non crede che anche il governo, con i tagli stabiliti nelle manovre finanziarie, abbia delle responsabilità? «I tagli sono indubbi: incideranno in modo serio a partire dal 2010. Esiste un problema di finanziamento, ma non è “il” problema. Prima di parlare di altri soldi, è il caso di spendere bene quelli che si hanno. Occorre cambiare la struttura della spesa. E anche qui gli studenti dovrebbero essere in prima fila, altrimenti fanno il gioco dei potentati accademici responsabili di questa situazione disastrosa. Abbiamo un anno di tempo per avviare la riforma e porre poi il problema delle nuove fonti di finanziamento».

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