“I rettori fuggono? Magari” è un articolo di Gianluigi Paragone apparso ieri su “Libero”. Un’utile lettura in quest'epoca di balle a profusione.
Certe cose è meglio non dirle. «Sono pronto a dimettermi», giura il rettore del Politecnico di Torino Francesco Profumo. «Insieme agli altri rettori. Ne abbiamo parlato, siamo tutti d'accordo. Ci dimetteremo in massa». Magari.
Ma non accadrà, dunque non alimentiamo finte illusioni. Se c'è una regola universalmente nota è questa: le dimissioni non si danno mai, potrebbero accettarle. Infatti la Conferenza dei rettori ha già innescato la retromarcia, lasciando così il cattedratico torinese col cerino acceso in mano.
Non si dimetterà nessuno. Peccato, perché con qualcuno di essi fuori dalle università risolveremmo la metà dei problemi. Pensate che ci sono accademici col callo nel fondoschiena per gli anni trascorsi sulla poltrona di rettore, in barba alla regola che consiglierebbe di non superare i due mandati consecutivi. Rettori si nasce e professori pure: quel che conta è il cognome.
E se qualcuno prova a metterci il becco, ecco che scatta la polemica: giù le mani dalla ricerca e dalla cultura. Il tira-e-molla è una liturgia consolidata: non appena si annuncia un cambiamento delle regole, la casta alza le barricate.
Anche la Gelmini sta pagando dazio, nonostante una vera e propria riforma dell'università non ci sia. A dirla tutta, nei prossimi mesi le giungeranno tra capo e collo settemila nuovi arrivi, tra professori e ricercatori. Ripeto: 7000 nuovi assunti a tempo indeterminato, i quali sono un'eredita del precedente governo. Scriveva ieri Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera: «Di ciascun concorso si conosce già il vincitore». Giavazzi è un mago oppure è il segreto di Pulcinella?
Certe cose è meglio non dirle. «Sono pronto a dimettermi», giura il rettore del Politecnico di Torino Francesco Profumo. «Insieme agli altri rettori. Ne abbiamo parlato, siamo tutti d'accordo. Ci dimetteremo in massa». Magari.
Ma non accadrà, dunque non alimentiamo finte illusioni. Se c'è una regola universalmente nota è questa: le dimissioni non si danno mai, potrebbero accettarle. Infatti la Conferenza dei rettori ha già innescato la retromarcia, lasciando così il cattedratico torinese col cerino acceso in mano.
Non si dimetterà nessuno. Peccato, perché con qualcuno di essi fuori dalle università risolveremmo la metà dei problemi. Pensate che ci sono accademici col callo nel fondoschiena per gli anni trascorsi sulla poltrona di rettore, in barba alla regola che consiglierebbe di non superare i due mandati consecutivi. Rettori si nasce e professori pure: quel che conta è il cognome.
E se qualcuno prova a metterci il becco, ecco che scatta la polemica: giù le mani dalla ricerca e dalla cultura. Il tira-e-molla è una liturgia consolidata: non appena si annuncia un cambiamento delle regole, la casta alza le barricate.
Anche la Gelmini sta pagando dazio, nonostante una vera e propria riforma dell'università non ci sia. A dirla tutta, nei prossimi mesi le giungeranno tra capo e collo settemila nuovi arrivi, tra professori e ricercatori. Ripeto: 7000 nuovi assunti a tempo indeterminato, i quali sono un'eredita del precedente governo. Scriveva ieri Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera: «Di ciascun concorso si conosce già il vincitore». Giavazzi è un mago oppure è il segreto di Pulcinella?
Non mi stupirei se tra i contestatori di questi giorni vi fossero alcuni di questi settemila, i quali oggi frignano per gli stipendi da fame, domani si avvieranno verso la strada dorata degli scatti di carriera. (...) I quali scatti rappresentano il virus dell'Università, come ben argomenta il professor Roberto Perotti nel libro "L'università truccata" e nell'intervista che ci ha rilasciato.
Domandina per i non addetti ai lavori, ma col sale in zucca: ha più senso agganciare l'incentivo economico al successo della ricerca come fanno all'estero, oppure pagare l'anzianità di servizio di ricercatori e accademici a prescindere dai risultati, come accade in Italia? Tenetevi la risposta nella vostra testa, perché tanto nessun professorone è disposto a cominciare una discussione in proposito. Due cose non bisogna toccare: il potere di fare il bello e il cattivo tempo dentro gli atenei (come fossero roba loro) e l'accesso alle casse per pagare stipendi, gettoni e consulenze.
Lo sfregio che non c`e
Domandina per i non addetti ai lavori, ma col sale in zucca: ha più senso agganciare l'incentivo economico al successo della ricerca come fanno all'estero, oppure pagare l'anzianità di servizio di ricercatori e accademici a prescindere dai risultati, come accade in Italia? Tenetevi la risposta nella vostra testa, perché tanto nessun professorone è disposto a cominciare una discussione in proposito. Due cose non bisogna toccare: il potere di fare il bello e il cattivo tempo dentro gli atenei (come fossero roba loro) e l'accesso alle casse per pagare stipendi, gettoni e consulenze.
Lo sfregio che non c`e
«Siamo pronti a lasciare tutto», minaccia il rettore di Torino. Volesse il cielo... Tuttavia non accadrà. Primo, perché nessuna lettera con la dicitura "dimissioni irrevocabili" sarà mai firmata. Secondo, perché nessuno sfregio all'Università è scritto nelle pieghe della Finanziaria. Nel 2009, le forbici non faranno nemmeno zac. Gli anni successivi, arriveranno a una media del 3 per cento spalmata su cinque anni. Dov'è la tragedia? Dov'è la violenza carnale che questo governo starebbe consumando ai danni del sapere scientifico? Non c'è, non c'è, non c'è.
Ci sono invece altre cose. Per esempio le settemila nuove assunzioni, in aggiunta a quelle fatte recentemente. Ci sono facoltà distaccate, con sprechi di denaro pubblico enorme. Ci sono corsi di laurea con pochi iscritti. E ci sono migliaia di laureati che finito di intonare il gaudeamus igitur cominceranno a spedire curricula a ripetizione, in attesa che qualcuno li degni di un colloquio. Che razza di Università è quella che non ha rapporti con il mondo del lavoro, se non per qualche stage di consolazione?
Ci sono invece altre cose. Per esempio le settemila nuove assunzioni, in aggiunta a quelle fatte recentemente. Ci sono facoltà distaccate, con sprechi di denaro pubblico enorme. Ci sono corsi di laurea con pochi iscritti. E ci sono migliaia di laureati che finito di intonare il gaudeamus igitur cominceranno a spedire curricula a ripetizione, in attesa che qualcuno li degni di un colloquio. Che razza di Università è quella che non ha rapporti con il mondo del lavoro, se non per qualche stage di consolazione?
Il valore legale del titolo di studio
«Non sarà possibile mantenere l'attuale offerta formativa nei prossimi anni», aggiunge Francesco Profumo nella sua intervista alla Stampa. Mi piacerebbe fare due o tre considerazioni assieme al rettore del Politecnico circa la formazione della moltitudine degli studenti. Ne vogliamo parlare? Vogliamo parlare degli errori di ortografia di cui sono zeppe tesi di laurea, atti giudiziari, referti medici? Vogliamo dire del linguaggio para-scientifico con cui si esprimono i novelli dottori, dove il "para" sta per parodia?
«Certo, l'università deve fare autocritica», conclude Profumo, «Serve una grande e importante riforma di cui tutti sentiamo la necessità». Grande? Importante? Ne basta una, esimio rettore: abolire totalmente il valore legale del titolo di studio. Tutto tornerebbe a una dimensione più terrestre. A cominciare da certi professori.
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