lunedì 27 ottobre 2008

Rileggere il Veltroni del Circo Massimo [2]

Retorica antifascista dicevo in precedenza; e ci si sguazza ad ampie bracciate. Si usa il ricordo del compianto Vittorio Foa, scomparso in questi giorni, ed in particolare il suo arresto, allora venticinquenne, e la condanna al carcere. Non solo per paragonarvisi: “perché pensava diversamente da chi era al potere”, ma per arrivare con un salto logico a citare il peggiore periodo del fascismo, quello delle leggi razziali, per identificarlo se non con l’oggi, con un futuro prossimo venturo. E Veltroni già si prefigura un martire parlando del 1935, quando “il regime aveva già fatto in tempo a sopprimere la libertà di stampa e quella di associazione, a chiudere partiti e sindacati, a calpestare il Parlamento e a incarcerare, mandare in esilio o uccidere chi non si piegava alla dittatura: Don Minzoni, Giacomo Matteotti, Piero Gobetti. E due anni dopo la stessa sorte sarebbe stata di Carlo e Nello Rosselli e di Antonio Gramsci”.
Ma ricordate il discorso pre-elettorale in cui diceva che lui, Veltroni, era contro la mafia, aveva l’orgoglio di dichiararlo, unica forza a farlo, e sfidava gli altri allo stesso retorico esercizio? Lo stesso fa sabato con l’antifascismo: “lei [Berlusconi] ha risposto con fastidio che non ha tempo da perdere, che ha cose più importanti di cui occuparsi, rispetto all’antifascismo e alla Resistenza”. E giù, dunque, a gettar fango sul capo del governo portato sugli scudi dalla stragrande maggioranza del popolo antifascista italiano – perché “L’Italia… è un Paese antifascista”: peggio di Sarkozy che non avrebbe fatto spallucce sulla Resistenza di De Gaulle, peggio di Barack Obama, di John McCain che non si tirerebbero indietro di fronte ad una domanda sugli americani portati a morire in Italia, già allora, per ridare libertà e democrazia. E tutto questo per concludere: “Un Paese senza memoria è un Paese senza identità. E chi non ha identità non ha futuro. E l’Italia ha bisogno di futuro”. Ma occhio: “Coltivare la memoria dell’antifascismo non è solo un atto di riconoscenza”.
E qui Veltroni mostra il lato debole del suo partito: chiede aiuto. Un aiuto travestito da parole di buon senso: “In tutti i Paesi del mondo ci sono i governi. Ma solo in quelli democratici c’è l’opposizione. Coltivare la democrazia, farla vivere e crescere ogni giorno, significa rispettare l’opposizione, riconoscere la sua funzione democratica: nelle aule del Parlamento, come nelle piazze del Paese”. Insomma, coltivare la memoria dell’antifascismo è quasi un compito primario che si traduce nel farsi balia di una minoranza che fa fatica ad essere opposizione.
Berlusconi insomma, fa capire Veltroni, deve aiutare chi lo insulta: “Se noi non svolgessimo fino in fondo il nostro ruolo all’opposizione, se non facessimo coesistere la durezza della denuncia e il coraggio della proposta, se non lo facessimo, tradiremmo il nostro mandato. E per colpa nostra, una colpa che sarebbe imperdonabile, la democrazia italiana diventerebbe più debole”. Già perché il continuo tentativo di sovvertire un ampio democratico risultato elettorale semplicemente è cosa naturale per chi si dichiara “antifascista”, perché lo fa per non indebolire la democrazia! Insomma, lo si vuole capire o no, dice Veltroni, che “È indice di una mentalità sottilmente e pericolosamente illiberale, pensare che in una democrazia non bisogna disturbare il manovratore e che tutto ciò che limita, regola, condiziona il suo potere è solo un fattore di disturbo”. Il bene del Paese non importa. Il potere è ciò che conta, il resto è una sorta di tela di Penelope, c’è chi fa e chi disfa cercando d’invertire i ruoli. Ma l’ostacolo, il “disturbo”, se è fine a se stesso e non una proposta non fatta d’aria, è solo antidemocrazia.
Alla fin fine a Veltroni rode l’esser stato accantonato dalla gente e lo riconosce indirettamente con queste parole: “È un disturbo l’opposizione. Perché spezza l’incantesimo del plebiscitario consenso al governo. Perché dimostra che c’è un altro modo di pensare, che potrebbe domani diventare maggioritario”. Gli rode che nonostante tutta la fatica polmonare di dare del mafioso e del fascista al Cavaliere il popolino lo mantenga ben saldo sull’arcione del Paese. Ma cosa buffa è che reclami, come proprie, cose che ha combattuto non molto tempo fa col no in un referendum: “Perché vuole [l’opposizione], come noi vogliamo, una grande innovazione istituzionale, il dimezzamento del numero dei parlamentari, una sola Camera con funzioni legislative”.
A questo punto non manca l’espressione di un altro merito, che va riconosciuto e di cui la sinistra radicale e i verdi sono felici, e tutto per dire: “Una democrazia che decide, decide velocemente, decide dentro i principi della Costituzione, non con pericolose concentrazioni del potere. Una democrazia più moderna, alla quale abbiamo contribuito con le coraggiose decisioni dei mesi scorsi”. È strano che non si colga la contraddizione, ma non starò qui a rilevarla. La lascio all’intelligenza politica di chi mi legge. Mi accontento, nei passaggi di questa parte del discorso, di cogliere questa frase: “Il PD avrà sempre, anche all’opposizione, una sola stella polare: gli interessi generali del Paese. (…) Quel Paese che vogliamo unire, rifiutando l’odio e la contrapposizione ideologica”. La colgo perché Veltroni dice: “E guai, davvero guai, a chi pensa di ridurre solo minimamente la libertà di avanzare critiche, la libertà di dissentire, la libertà di protestare civilmente contro decisioni e scelte che non condivide”. Metterei ingenuamente tra queste anche le scelte e le decisioni del Partito democratico.

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