“La democrazia non è un consiglio d’amministrazione”. L’aforisma, luogo comune abusato dalla critica sul modo di gestire le cose da parte del Cavaliere – come se dire “non è una redazione di giornale” non fosse parimenti incontestabile nei confronti di Veltroni – serve soltanto per introdurre il discorso sui “templi del sapere, della conoscenza e del dialogo” e delle loro vicende correnti, arrivate come una manna stante la povertà di idee di lotta e di governo (ombra) nuove, non già minestra riscaldata fino a far bruciare la pentola. Ma la scuola stessa è solo pretesto: un pretesto per dire che il capo del governo mente sapendo di mentire o straparla come un’irresponsabile avvinazzato. E se tutto gli va bene è perché, nonostante gli spropositi sui fatti universali, “Siccome nel mondo sanno chi è, non è successo niente”. Berlusconi, insomma, è malato di una idea insana: “È l’idea del potere che non è tenuto a rispondere dei suoi comportamenti. È un’idea del potere inaccettabile. È la confusione tra governare e prendere il potere”. E dopo un inciso che è un appello all’intellighenzia del Paese a seguirlo nel delirio, Veltroni dice: “Voglio essere chiaro: noi non pensiamo che questo governo sia la causa di tutti i mali. Non saremo noi, a differenza di chi ci ha preceduto nel ruolo di opposizione, a gridare al regime”. E qui, forse, c’è qualche problema.
Problemi di Veltroni? No: “Il problema è che il governo Berlusconi è totalmente inadeguato a fronteggiare la gravissima crisi che stiamo vivendo. E lo è per una ragione semplice: perché non ha nel cuore l’Italia che produce e che lavora, l’Italia che soffre”. Siamo al patetico e quindi alla poesia: “L’Italia può essere altro. L’Italia «è» altro. È però vero che la fotografia dell’Italia attuale sta sbiadendo, ha quasi del tutto perso i colori, e la ricchezza delle sfumature, della modernità. I volti degli italiani appaiono sgranati e in bianco e nero”. Una desolazione; e tutto questo solo perché hanno voltato le spalle al sole del Pd? Mamma mia. Ma poiché l’immagine si presta, ecco aperta la via al prostramento catastrofista: “Come le vecchie immagini di una volta, perché l’immobilismo che già ieri ci condannava ad una crescita stentata rischia oggi, dentro una crisi economica di questa gravità, di farci tornare drammaticamente indietro”. E sfrutta abilmente come un verista per commuovere i toni più drammatici della crisi: “Tornano indietro gli artigiani, gli operai. C’è stato un tempo in cui la fatica, i sacrifici e il talento, la specializzazione, davano dignità al lavoro e permettevano anche di metter su un laboratorio in proprio, e poi magari una piccola fabbrica. L’ascensore sociale funzionava, le condizioni di vita miglioravano. E comunque c’era la speranza che questo potesse accadere. Oggi come vive un operaio che fatica tutto il giorno, e che troppo spesso in questo Paese sul lavoro rischia la vita, per 1.200 euro al mese? Che speranza può avere di poter star meglio, se deve invece preoccuparsi di essere messo in cassa integrazione, di arrivare in fabbrica una mattina e di leggere nella bacheca di servizio che fra sei mesi si chiude perché la produzione si ferma? Tornano indietro le aziende, rischiano di tornare indietro i piccoli e medi imprenditori. Quelli che sanno mettere a punto nuove tecniche e creare nuovi prodotti, e che così hanno fatto crescere il Paese. È gente onesta, che esce di casa che è ancora buio e torna a casa che è già notte, e fatica a dormire per la paura di non farcela e di dover chiudere: perché l’affitto aumenta a rotta di collo, le bollette paiono impazzite, la burocrazia è soffocante, la pressione fiscale opprimente. Sognavano di crescere per poter competere meglio, ma devono fare i conti con una realtà opposta: difficoltà ad avere finanziamenti dalle banche, che anzi chiedono di rientrare rapidamente dal debito, ed esportazioni che calano perché i clienti americani, tedeschi e inglesi sono impegnati a ridurre al massimo i consumi”.
Problemi di Veltroni? No: “Il problema è che il governo Berlusconi è totalmente inadeguato a fronteggiare la gravissima crisi che stiamo vivendo. E lo è per una ragione semplice: perché non ha nel cuore l’Italia che produce e che lavora, l’Italia che soffre”. Siamo al patetico e quindi alla poesia: “L’Italia può essere altro. L’Italia «è» altro. È però vero che la fotografia dell’Italia attuale sta sbiadendo, ha quasi del tutto perso i colori, e la ricchezza delle sfumature, della modernità. I volti degli italiani appaiono sgranati e in bianco e nero”. Una desolazione; e tutto questo solo perché hanno voltato le spalle al sole del Pd? Mamma mia. Ma poiché l’immagine si presta, ecco aperta la via al prostramento catastrofista: “Come le vecchie immagini di una volta, perché l’immobilismo che già ieri ci condannava ad una crescita stentata rischia oggi, dentro una crisi economica di questa gravità, di farci tornare drammaticamente indietro”. E sfrutta abilmente come un verista per commuovere i toni più drammatici della crisi: “Tornano indietro gli artigiani, gli operai. C’è stato un tempo in cui la fatica, i sacrifici e il talento, la specializzazione, davano dignità al lavoro e permettevano anche di metter su un laboratorio in proprio, e poi magari una piccola fabbrica. L’ascensore sociale funzionava, le condizioni di vita miglioravano. E comunque c’era la speranza che questo potesse accadere. Oggi come vive un operaio che fatica tutto il giorno, e che troppo spesso in questo Paese sul lavoro rischia la vita, per 1.200 euro al mese? Che speranza può avere di poter star meglio, se deve invece preoccuparsi di essere messo in cassa integrazione, di arrivare in fabbrica una mattina e di leggere nella bacheca di servizio che fra sei mesi si chiude perché la produzione si ferma? Tornano indietro le aziende, rischiano di tornare indietro i piccoli e medi imprenditori. Quelli che sanno mettere a punto nuove tecniche e creare nuovi prodotti, e che così hanno fatto crescere il Paese. È gente onesta, che esce di casa che è ancora buio e torna a casa che è già notte, e fatica a dormire per la paura di non farcela e di dover chiudere: perché l’affitto aumenta a rotta di collo, le bollette paiono impazzite, la burocrazia è soffocante, la pressione fiscale opprimente. Sognavano di crescere per poter competere meglio, ma devono fare i conti con una realtà opposta: difficoltà ad avere finanziamenti dalle banche, che anzi chiedono di rientrare rapidamente dal debito, ed esportazioni che calano perché i clienti americani, tedeschi e inglesi sono impegnati a ridurre al massimo i consumi”.
Ma se questo è, ed è al di là dei toni melodrammatici, giusto anche il ricordarlo ai quattro venti, ma al quindi? Se il cerusico Veltroni ha il toccasana per uscire dalla crisi perché lo tiene per sé, perché non lo urla ai quattro venti? Ma sono i suoi uomini o non sono stati al governo fino a non molti mesi fa? Con quale risultato? Non forse un risultato tale che il “proviamo a cambiare” degli italiani si è trasformato in un plebiscito per le forze del centrodestra? Dare la colpa d'un naufragio che viene da lontano al solo capitano che guida oggi la nave non è pretesa palesemente assurda? Riconoscerlo, però, vorrebbe dire fare autocritica. E l'autocritica non è "democratica", sa molto di guardie rosse e libretti agitati al vento. Stringendo il nulla nelle mani, meglio, dunque, strappare ancora altre lacrime, come vedremo in un prossimo seguito.
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