giovedì 30 ottobre 2008

Nell'agenda politica è tempo di europee

La scuola si trascinerà ancora per qualche tempo nel dibattito politico, ma ormai nelle cronache sta già cedendo il passo ad altra questione che per la mitica e mitizzata casta è ben più importante: le modalità di voto per le europee. Comincio come primo assaggio sulla questione riprendendo un articolo apparso su "Libero" di oggi ovviamente, firmato da Salvatore Dama, dal titolo "Maggioranza divisa. An e Lega pronte a fare muro: vogliamo scegliere i candidati ". L'articolo ben descrive le posizioni delle forze politiche sulla questione della soppressione delle preferenze. Vediamolo:
I deputati del Popolo della Libertà, tendenza An. Sono loro i sorvegliati speciali. Loro quelli che, quando alla Camera si inizierà a votare la nuova legge elettorale per le europee, dovranno dimostrare «lealtà» alla linea della coalizione. Silvio Berlusconi ha chiesto ai suoi partner di non fare scherzi. Specie quando si tratterà di votare l'articolo della norma che sopprime il sistema delle preferenze. A maggior ragione se lo si farà con il voto segreto. Ignazio La Russa dà la sua parola d'onore: «Quando An prende un impegno», assicura il reggente di via della Scrofa, «lo rispetta lealmente». Però, il ministro della Difesa ammette che «ancora una decisione largamente condivisa non c'è stata, e magari c'è stato un difetto di comunicazione con i gruppi parlamentari».
Domani La Russa riunirà l'esecutivo di Alleanza nazionale per spiegare le tesi del PdL. E cioè sbarramento al 5 per cento, abolizione delle preferenze, aumento delle circoscrizioni dalle attuali cinque a dieci. Vero: l'addio alle preferenze ad An non piace. «Noi per primi avevamo chiesto che restassero». Però se il partito prende un impegno, ribadisce La Russa, lo mantiene. Già. Ma le garanzie del reggente valgono per tutti i deputati di An? E quello che vorrebbero tanto sapere dalle parti di Forza Italia. Soprattutto dopo aver letto l'emendamento presentato da alcuni onorevoli della destra. I firmatari (Silvano Moffa, Edmondo Cirielli, Mario Landolfi, Angela Napoli, Barbara Saltamartini, Manlio Contento, Aldo Di Biagio, Gennaro Malgieri , Nicola Cristaldi, Marcello Taglialatela, oltre all'azzurro Giancarlo Lehner e al repubblicano Francesco Nucara) chiedono di dare l'opportunità all'elettore di esprimere due preferenze. Ciò significa mantenere il sistema attuale, senza introdurre le liste bloccate - un elenco di candidati scelti dai partiti - come vorrebbe il presidente del Consiglio.
Insomma, per il partito dell'ex leader Gianfranco Fini, sarà una decisione sofferta. E anche il presidente della Camera sarà parte in causa. Tocca a lui, infatti, concedere il voto segreto sulla questione delle preferenze. È molto probabile che lo faccia. Il regolamento di Montecitorio va in tal senso. E pure le decisioni assunte dai suoi predecessori. Anche se, informano ambienti vicini al presidente della Camera, pare sia Fini per primo a non gradire il mantenimento delle preferenze. E per gli stessi motivi che animano Berlusconi: la possibilità di potersi scegliere liberamente la propria classe dirigente.
Sulla carta, i soli voti dei deputati di An eletti con il PdL non bastano ad affossare il passaggio alle liste bloccate. Gli altri? Anche la Lega Nord sembrerebbe tentata dal colpo, favorito dalla segretezza dello scrutinio. Non a caso, ieri, il presidente federale del Carroccio Angelo Alessandri faceva sapere che «il mantenimento delle preferenze non sarebbe affatto un problema».
E poi c'è il Partito democratico. Occorrono anche i voti del Pd e dell'Italia dei Valori perché il delitto sia perfetto. Ufficialmente i due partiti si sono dichiarati a favore del mantenimento delle preferenze. Ma c'è chi sospetta che al Nazareno non la dicano tutta. «Non c'è maggior beneficiario della riforma del Pd», notava ieri Nucara. E a ragione. Perché, con lo sbarramento al 5 per cento, Walter Veltroni eviterebbe la concorrenza della sinistra radicale facendo il pieno di europarlamentari nel proprio schieramento. Quanto alle liste bloccate, c'è chi tira fuori un rapporto firmato dall'allora ministro degli Esteri Massimo D'Alema in cui si invitava a «riconsiderare il voto di preferenza». Ciò per ridurre «i costi» e perché «l'Italia è l'unico tra i grandi e medi paesi a utilizzarlo».

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