È sempre buona cosa leggere un documento nella sua interezza. Così anche un articolo di giornale e più ancora un’intervista che più si presta, essendo per sua struttura costituita di domande e di risposte, ad essere smembrata. Oggi il “Corriere della Sera” ha pubblicato un’intervista appunto al ministro Gelmini. Tutti i media televisivi ne hanno parlato. Leggiamola nella sua interezza. L’intervista raccolta da Marco Cremonesi viene presentata col titolo “Gelmini: protesta di pochi. II mio modello è Obama. «Niente classi separate, solo corsi di italiano per chi non lo parla». Quanto segue è il testo. Istruttivo.
Il mio modello? Barack Obama. Parola di Mariastella Gelmini. Mentre infuria la protesta della scuola e dell’università, il ministro alla Pubblica istruzione procede diritta per la sua strada. Ma rivela la sua stima per il candidato democratico nella corsa alla Casa Bianca e tende una mano all’opposizione: «Ma soltanto a quella costruttiva. Altrimenti, facciamo da soli».
Ieri Veltroni ha chiesto il ritiro del suo decreto e la relativa modifica della Finanziaria. E possibile? «Scusi, ma non ne capisco la ragione. La manovra economica è legge da giugno, il Pd è fuori tempo massimo. Quanto al decreto, ha ottenuto già l’approvazione della Camera ed è stato ampiamente discusso al Senato: sarà votato mercoledì. Ma certo, su come proseguire nell’opera di riforma della scuola italiana, le mie porte sono spalancate».
Però, voi avete posto la fiducia e non c’è stato dibattito parlamentare. Dove si doveva discutere? «Sono cinque mesi che si discute di scuola e il Pd non ha fatto una proposta che fosse una. L’unica idea è quella di non cambiare nulla “Non toccate la scuola, giù le mani dall’università”. Questo sarebbe riformismo? A me, sembrano pietrificati».
L’opposizione sulla scuola appare più diffusa che non su altri temi. E perché mette in discussione anche parecchi posti di lavoro? «La sinistra ha perso totalmente il rapporto con chi lavora e ora lo sta perdendo anche con gli studenti. Bisogna dirlo con chiarezza: il disastro dell’istruzione in Italia è figlio delle logiche culturali della sinistra contro il merito e la competitività. Per decenni scuola e università sono state usate come distributori di posti di lavoro, di clientele e magari di illusioni».
Illusioni? Non esagera? In Italia non c’è stata soltanto la sinistra. «Quando Veltroni è diventato leader del Pd, ci ho creduto anche io: ho sperato che questo Paese potesse cambiare veramente con un progetto bipartisan. Che potesse essere riformato, abbandonando le vecchie posizioni ideologiche e sindacali responsabili del declino dell’Italia. Speravo che Veltroni si ispirasse alla lezione dì Tony Blair. Purtroppo, oggi parla come un rappresentante dei Cobas».
Addirittura? «Ma sì, via... Si è schiacciato sulle posizioni più conservatrici su ogni argomento. Guardi, le dirò qualcosa che non si attende: il mio punto di riferimento è quello che sta facendo Barack Obama in America».
Cosa le piace di Obama? «Sta proponendo per la scuola americana provvedimenti simili ai nostri, penso soprattutto agli incentivi al merito per gli insegnanti. E anche lui vuole razionalizzare le scuole sul territorio per destinare i risparmi alla qualità dell’istruzione. E poi, la possibilità per tutti, anche per chi non sì può permettere le università costose, di aver una istruzione di qualità. Questo è un vero, coraggioso riformatore: non certo il leader del Pd».
Molti giovani scendono in piazza, però... «Gli studenti in Italia sono 9 milioni. Coloro che protestano, alcune migliaia. Le facoltà occupate sono pochissime. E in molte, gli studenti ricacciano indietro gli occupanti. Non immagina quanti messaggi ricevo da studenti stanchi di slogan vecchi e di professori militanti».
Sarà, ma le manifestazioni sono lì da vedere. O no? «Funziona così: a Firenze occupano una stanza in venti e nei tg si dice che l’università è occupata. Oppure, a Milano, succede che in duecento escano dai centri sociali e vadano a scorrazzare nei cortili della Statale. Visto che nessuno dà loro retta, bloccano la stazione Cadorna. I tg dicono: scontri tra studenti e polizia. Ma di studenti non ce ne erano».
Guardi che è impervio cercar di dimostrare che non ci siano manifestazioni studentesche. Non partecipano persino parecchi giovani di destra? «No, guardi: i giovani della destra continuano la loro decennale battaglia contro i baroni e i professori ideologizzati, non certo contro il decreto».
Che ne pensa di far intervenire le forze dell’ordine nelle scuole e nelle università? «Penso che non si porrà il problema, anche perché in tutta Italia mi pare che i ragazzi si rifiutino di occupare. Il 30 ottobre, certo, ci sarà lo sciopero, il solito vecchio rito di chi difende l’indifendibile. Ma dopo, credo che si potrà riprendere a confrontarsi con le riforme. Ovviamente, con chi fa proposte».
Resta il fatto che i tagli ci saranno. E così sicura che non si tradurranno in un impoverimento della didattica? «I primi a vivere il disagio della scuola esistente sono proprio i professori, pagati con stipendi da fame e proletarizzati da sinistra e sindacato. E poi, il 30% dei risparmi realizzati, 2 miliardi di euro, sarà utilizzato per pagare meglio i professori sulla base del merito».
C’è chi dice: va bene tagliare le spese improduttive. Ma i risparmi devono essere interamente spesi sulla scuola. Non è una posizione sensata? «Me lo lasci dire: bisognava anche riportare tutti alla realtà. Dire che la gestione allegra del denaro pubblico è finita. E dunque, prima si eliminano gli sprechi. Poi, ma soltanto dopo, si potrà reinvestire in qualità. Questo per quanto riguarda la scuola. Per l’università il 2009 non prevede particolari tagli. Qualche problema potrà esserci dal 2010 ma abbiamo tempo sufficiente per discuterne con chi vuol farlo seriamente».
Sulle classi ponte per gli immigrati restano margini di ambiguità. Che cosa saranno? «L’ambiguità è di chi ha tentato come al solito di buttarla sul razzismo. Qualunque genitore che ha un figlio alle elementari conosce il problema rappresentato da chi in classe non sa l’italiano. Un problema didattico, che come tale va risolto: non faremo classi separate, le classi ponte saranno corsi magari pomeridiani di italiano per consentire a chi non lo è di imparare la lingua il più rapidamente possibile».
Il mio modello? Barack Obama. Parola di Mariastella Gelmini. Mentre infuria la protesta della scuola e dell’università, il ministro alla Pubblica istruzione procede diritta per la sua strada. Ma rivela la sua stima per il candidato democratico nella corsa alla Casa Bianca e tende una mano all’opposizione: «Ma soltanto a quella costruttiva. Altrimenti, facciamo da soli».
Ieri Veltroni ha chiesto il ritiro del suo decreto e la relativa modifica della Finanziaria. E possibile? «Scusi, ma non ne capisco la ragione. La manovra economica è legge da giugno, il Pd è fuori tempo massimo. Quanto al decreto, ha ottenuto già l’approvazione della Camera ed è stato ampiamente discusso al Senato: sarà votato mercoledì. Ma certo, su come proseguire nell’opera di riforma della scuola italiana, le mie porte sono spalancate».
Però, voi avete posto la fiducia e non c’è stato dibattito parlamentare. Dove si doveva discutere? «Sono cinque mesi che si discute di scuola e il Pd non ha fatto una proposta che fosse una. L’unica idea è quella di non cambiare nulla “Non toccate la scuola, giù le mani dall’università”. Questo sarebbe riformismo? A me, sembrano pietrificati».
L’opposizione sulla scuola appare più diffusa che non su altri temi. E perché mette in discussione anche parecchi posti di lavoro? «La sinistra ha perso totalmente il rapporto con chi lavora e ora lo sta perdendo anche con gli studenti. Bisogna dirlo con chiarezza: il disastro dell’istruzione in Italia è figlio delle logiche culturali della sinistra contro il merito e la competitività. Per decenni scuola e università sono state usate come distributori di posti di lavoro, di clientele e magari di illusioni».
Illusioni? Non esagera? In Italia non c’è stata soltanto la sinistra. «Quando Veltroni è diventato leader del Pd, ci ho creduto anche io: ho sperato che questo Paese potesse cambiare veramente con un progetto bipartisan. Che potesse essere riformato, abbandonando le vecchie posizioni ideologiche e sindacali responsabili del declino dell’Italia. Speravo che Veltroni si ispirasse alla lezione dì Tony Blair. Purtroppo, oggi parla come un rappresentante dei Cobas».
Addirittura? «Ma sì, via... Si è schiacciato sulle posizioni più conservatrici su ogni argomento. Guardi, le dirò qualcosa che non si attende: il mio punto di riferimento è quello che sta facendo Barack Obama in America».
Cosa le piace di Obama? «Sta proponendo per la scuola americana provvedimenti simili ai nostri, penso soprattutto agli incentivi al merito per gli insegnanti. E anche lui vuole razionalizzare le scuole sul territorio per destinare i risparmi alla qualità dell’istruzione. E poi, la possibilità per tutti, anche per chi non sì può permettere le università costose, di aver una istruzione di qualità. Questo è un vero, coraggioso riformatore: non certo il leader del Pd».
Molti giovani scendono in piazza, però... «Gli studenti in Italia sono 9 milioni. Coloro che protestano, alcune migliaia. Le facoltà occupate sono pochissime. E in molte, gli studenti ricacciano indietro gli occupanti. Non immagina quanti messaggi ricevo da studenti stanchi di slogan vecchi e di professori militanti».
Sarà, ma le manifestazioni sono lì da vedere. O no? «Funziona così: a Firenze occupano una stanza in venti e nei tg si dice che l’università è occupata. Oppure, a Milano, succede che in duecento escano dai centri sociali e vadano a scorrazzare nei cortili della Statale. Visto che nessuno dà loro retta, bloccano la stazione Cadorna. I tg dicono: scontri tra studenti e polizia. Ma di studenti non ce ne erano».
Guardi che è impervio cercar di dimostrare che non ci siano manifestazioni studentesche. Non partecipano persino parecchi giovani di destra? «No, guardi: i giovani della destra continuano la loro decennale battaglia contro i baroni e i professori ideologizzati, non certo contro il decreto».
Che ne pensa di far intervenire le forze dell’ordine nelle scuole e nelle università? «Penso che non si porrà il problema, anche perché in tutta Italia mi pare che i ragazzi si rifiutino di occupare. Il 30 ottobre, certo, ci sarà lo sciopero, il solito vecchio rito di chi difende l’indifendibile. Ma dopo, credo che si potrà riprendere a confrontarsi con le riforme. Ovviamente, con chi fa proposte».
Resta il fatto che i tagli ci saranno. E così sicura che non si tradurranno in un impoverimento della didattica? «I primi a vivere il disagio della scuola esistente sono proprio i professori, pagati con stipendi da fame e proletarizzati da sinistra e sindacato. E poi, il 30% dei risparmi realizzati, 2 miliardi di euro, sarà utilizzato per pagare meglio i professori sulla base del merito».
C’è chi dice: va bene tagliare le spese improduttive. Ma i risparmi devono essere interamente spesi sulla scuola. Non è una posizione sensata? «Me lo lasci dire: bisognava anche riportare tutti alla realtà. Dire che la gestione allegra del denaro pubblico è finita. E dunque, prima si eliminano gli sprechi. Poi, ma soltanto dopo, si potrà reinvestire in qualità. Questo per quanto riguarda la scuola. Per l’università il 2009 non prevede particolari tagli. Qualche problema potrà esserci dal 2010 ma abbiamo tempo sufficiente per discuterne con chi vuol farlo seriamente».
Sulle classi ponte per gli immigrati restano margini di ambiguità. Che cosa saranno? «L’ambiguità è di chi ha tentato come al solito di buttarla sul razzismo. Qualunque genitore che ha un figlio alle elementari conosce il problema rappresentato da chi in classe non sa l’italiano. Un problema didattico, che come tale va risolto: non faremo classi separate, le classi ponte saranno corsi magari pomeridiani di italiano per consentire a chi non lo è di imparare la lingua il più rapidamente possibile».
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