Già l’incipit del discorso di Veltroni mostra la capacità ereditata dal Pci di fare propri spazi occupati anche da altri ma non reclamati a gran voce. “Quella di oggi, diciamocelo con orgoglio, è la prima grande manifestazione di massa del riformismo italiano, finalmente unito”, ha detto infatti nel suo primo fiato Veltroni. Semplicemente per poter dire poi che “il Partito Democratico è il più grande partito riformista che la storia d’Italia abbia mai conosciuto”. Qualcuno, sì, può dubitare, ma non è poi così tanto importante, perché i riformisti si riconoscono non dalle etichette attaccate alla giacca, ma da ciò che fanno. E la gente ha occhi attenti, particolarmente in questi chiari di luna.
Per dare forza alla affermazione appena fatta sottolinea: “Un italiano su tre si riconosce, crede nel disegno di un riformismo moderno”. Cioè Veltroni racchiude i riformisti oggi dentro il limite del 33%, i voti della sua compagine elettorale, insomma, un’ovvietà stante l’equazione immediatamente prima espressa. Poco importa che vi sia un 66% che ha bocciato il Pd e che sarebbe una bestemmia etichettare in toto come bieco conservatore. E che comunque, punto percentuale in più o in meno dà la sua fiducia, abbastanza o molto, a Berlusconi. E da subito aggiunge le basi per l’affermazione sulla infinità delle cifre reclamate a sera, descrivendo il luogo del comizio come “splendido e immenso”. E l’enfasi continua, prende la mano: “il 14 ottobre di un anno fa, il Partito Democratico nasceva da un grande evento di popolo”.
Finito il proemio ecco il primo canto dove un’epica antifascista datata ripercorre una storia di cui si fa propri gli aspetti ritenuti positivi nell’idem sentire della gente. Prima però per farsi capire bene, per indicare dove sta il male, dice: “L’Italia è un Paese migliore della destra che lo governa in questo momento. Migliore della destra che nel tempo recente lo ha già governato, anche se qualcuno troppo spesso finge di dimenticarlo, per sette lunghi e improduttivi anni”. Ed anche Veltroni però dimentica che per altri sette improduttivi anni ha governato, facendone di peggio, pure la sinistra. Ma che importa, quanto egli dice è quanto le orecchie che ascoltano vogliono sentire. Così, sorvolando sul fatto che quell’Italia di cui dirà tra poco è quella che non solo ha fatto vincere la destra e che continua ad attribuirle il proprio consenso, butta là la frase a grande effetto: “L’Italia è un grande Paese democratico, è un Paese che ama la democrazia. Perché l’Italia non dimentica, non potrà mai dimenticare quanti hanno sofferto, quanti hanno dato la vita per la sua libertà”. Su questo tutti siamo d’accordo. Ma da questo a collegare amore per la democrazia con amore per un partito che si etichetta democratico, non è così immediato. Non basta un trade mark buttato lì, un logo aziendale per dichiararlo unico tra gli altri. Gli altri non sono forse anche loro democratici. E poi anche se si legge in molti occhi la nostalgia, non sono questi i tempi dell’arco costituzionale. Eppure anche allora come si poteva dire che Almirante non fosse democratico se era parte della democrazia di questo Paese, seppure relegato in un canto? E poi, se uno ci tiene tanto ad essere primus inter pares tra i democratici d’Italia, perché far finta di non ricordare la scelta democratica degli italiani fatta il 13 e 14 aprile? Banale la risposta, certo: come si giustifica altrimenti quella kermesse musical-folclorica al Circo Massimo? Già, ma la seconda frase riportata sopra nell’economia del discorso serve per dare libero sfogo alla retorica antifascista, che non guasta mai fintanto che sopravvive la generazione che nella sua gioventù ha succhiato quel latte.
Per dare forza alla affermazione appena fatta sottolinea: “Un italiano su tre si riconosce, crede nel disegno di un riformismo moderno”. Cioè Veltroni racchiude i riformisti oggi dentro il limite del 33%, i voti della sua compagine elettorale, insomma, un’ovvietà stante l’equazione immediatamente prima espressa. Poco importa che vi sia un 66% che ha bocciato il Pd e che sarebbe una bestemmia etichettare in toto come bieco conservatore. E che comunque, punto percentuale in più o in meno dà la sua fiducia, abbastanza o molto, a Berlusconi. E da subito aggiunge le basi per l’affermazione sulla infinità delle cifre reclamate a sera, descrivendo il luogo del comizio come “splendido e immenso”. E l’enfasi continua, prende la mano: “il 14 ottobre di un anno fa, il Partito Democratico nasceva da un grande evento di popolo”.
Finito il proemio ecco il primo canto dove un’epica antifascista datata ripercorre una storia di cui si fa propri gli aspetti ritenuti positivi nell’idem sentire della gente. Prima però per farsi capire bene, per indicare dove sta il male, dice: “L’Italia è un Paese migliore della destra che lo governa in questo momento. Migliore della destra che nel tempo recente lo ha già governato, anche se qualcuno troppo spesso finge di dimenticarlo, per sette lunghi e improduttivi anni”. Ed anche Veltroni però dimentica che per altri sette improduttivi anni ha governato, facendone di peggio, pure la sinistra. Ma che importa, quanto egli dice è quanto le orecchie che ascoltano vogliono sentire. Così, sorvolando sul fatto che quell’Italia di cui dirà tra poco è quella che non solo ha fatto vincere la destra e che continua ad attribuirle il proprio consenso, butta là la frase a grande effetto: “L’Italia è un grande Paese democratico, è un Paese che ama la democrazia. Perché l’Italia non dimentica, non potrà mai dimenticare quanti hanno sofferto, quanti hanno dato la vita per la sua libertà”. Su questo tutti siamo d’accordo. Ma da questo a collegare amore per la democrazia con amore per un partito che si etichetta democratico, non è così immediato. Non basta un trade mark buttato lì, un logo aziendale per dichiararlo unico tra gli altri. Gli altri non sono forse anche loro democratici. E poi anche se si legge in molti occhi la nostalgia, non sono questi i tempi dell’arco costituzionale. Eppure anche allora come si poteva dire che Almirante non fosse democratico se era parte della democrazia di questo Paese, seppure relegato in un canto? E poi, se uno ci tiene tanto ad essere primus inter pares tra i democratici d’Italia, perché far finta di non ricordare la scelta democratica degli italiani fatta il 13 e 14 aprile? Banale la risposta, certo: come si giustifica altrimenti quella kermesse musical-folclorica al Circo Massimo? Già, ma la seconda frase riportata sopra nell’economia del discorso serve per dare libero sfogo alla retorica antifascista, che non guasta mai fintanto che sopravvive la generazione che nella sua gioventù ha succhiato quel latte.
Vista però l’ora tarda mi fermo qui. Riprenderò in mattinata.
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