Sergio Zavoli, senatore del Pd e candidato alla presidenza della commissione di Vigilanza Rai da Berlusconi e dall’opposizione, interpellato dal quotidiano online Affaritaliani.it oggi ha detto: “Veramente non me la sento di parlare fino a quando non si è risolto questo problema, perché mi pare di cacciarmi dentro un grande pettegolezzo, una storia che discredita la politica. Voglio la certezza che corrisponda agli interessi del Parlamento, della democrazia e quindi del Paese. La questione personale qui conta pochissimo. Quando sarà tutto chiaro parleremo con grande serenità”. Forse anche il grande Zavoli comincia a comprendere d’essere stato tirato per la giacchetta dai suoi compagni piddini, così come per prassi hanno fatto durante il governo Prodi con i senatori a vita. Un uso di nomi altisonanti per bassa bottega politica. Zavoli, di cui riporterò sotto un’intervista apparsa oggi, dovrebbe lui consigliare di lasciare le cose come stanno, di fare buon viso a cattivo – se cattivo è stato (ma dove è stata e stava la cattiveria vorremmo ben comprendere: nell’eleggere Villari o in quelle 44 [in fila per 6 col resto di 2] elezioni a vuoto?) – gioco. In fin dei conti dove sta la differenza tra un Villari ed un Orlando? In palio è ben altro come ben si è capito dai molti ritagli di giornale letti e riletti in questi giorni. E se Villari ha avuto il pregio di svelare il grande inciucio, viva Villari.
Ma veniamo all’intervista di cui dicevo. La pubblica “Il Messaggero” a firma Alberto Guarnieri. Prima di riportarla un appunto sull’occhiello che dice “Il presidente designato”. Sì, va be’ tutti i discorsi, che tutti sono d’accordo, ecc., ecc. Ma l’aggettivo è scorretto dal momento che il presidente in carica è in carica, e ben prima della “designazione”. Forse più corretto sarebbe un “desiderato” o “sospirato” visto che di sospiri qualcuno in questi giorni ne ha fatto e tanti, facendo sobbalzare sul naso i suoi occhiali. E se si lasciasse perdere Zavoli – perché sputtanarlo fino in fondo? – e si lasciassero le cose come sono? Miglior figura la farebbero proprio tutti. Insistere è proprio cosa da casta. Ma leggiamola, l’intervista (titolo: “L’amarezza di Zavoli: «Sdegnato? No, ma intristito per l’istituzione»”):
Senatore complimenti. Rifiutando di parlare già da presidente della Vigilanza perché «le brutte figure sono sempre dietro l’angolo» si è dimostrato profeta. Una sorta di Cassandra. «Vorrei avere anch’io la forza di vedere questa vicenda con gli occhi dell’ironia».
Sergio Zavoli risponde, come sempre con estrema cortesia e disponibilità, da casa. Ieri non si è recato in commissione di Vigilanza dove pure è stato eletto in seguito alla rinuncia di Nicola Latorre. E ha fatto bene. Si è risparmiato la “resistenza” di Riccardo Villari, che gli ha impedito di essere nominato presidente. Zavoli è giornalista e manager più che navigato. Ma è anche un signore di ottantacinque anni al quale certe situazioni potrebbero essere utilmente risparmiate [parole santissime – nota mia].
Ora cosa farà senatore? C’è addirittura chi la dava tanto sdegnato da essere intenzionato a dimettersi dalla commissione dove è appena stato eletto. «Io non sono sdegnato ma intristito. E non lo sono certo per la mia situazione personale. Ci mancherebbe altro. Lo sono invece per quanto sta accadendo politicamente attorno a una commissione di tanta rilevanza».
Il presidente della Camera Gianfranco Fini invita Villari a dimettersi proprio in nome di una funzione della politica che ha più valore istituzionale che non aggrapparsi alle forme. «Non posso che condividere. Il problema qui, trovato l’accordo tra maggioranza e opposizione sul presidente, è quello di far funzionare una commissione che ha molto da fare».
L’accordo, sul suo nome, esiste, ma Villari resiste. Visto che ha dimostrato doti profetiche, ora secondo lei che accadrà? «No, non ho queste doti. Parleremo volentieri, ma a bocce ferme».
Nel corso della serata anche il presidente del Senato Renato Schifani e il premier Silvio Berlusconi si schierano con Fini invitando Villari a dimettersi. Zavoli prende atto, ma non aggiunge altro. Ora per lui si tratta solo di attendere.
Ma veniamo all’intervista di cui dicevo. La pubblica “Il Messaggero” a firma Alberto Guarnieri. Prima di riportarla un appunto sull’occhiello che dice “Il presidente designato”. Sì, va be’ tutti i discorsi, che tutti sono d’accordo, ecc., ecc. Ma l’aggettivo è scorretto dal momento che il presidente in carica è in carica, e ben prima della “designazione”. Forse più corretto sarebbe un “desiderato” o “sospirato” visto che di sospiri qualcuno in questi giorni ne ha fatto e tanti, facendo sobbalzare sul naso i suoi occhiali. E se si lasciasse perdere Zavoli – perché sputtanarlo fino in fondo? – e si lasciassero le cose come sono? Miglior figura la farebbero proprio tutti. Insistere è proprio cosa da casta. Ma leggiamola, l’intervista (titolo: “L’amarezza di Zavoli: «Sdegnato? No, ma intristito per l’istituzione»”):
Senatore complimenti. Rifiutando di parlare già da presidente della Vigilanza perché «le brutte figure sono sempre dietro l’angolo» si è dimostrato profeta. Una sorta di Cassandra. «Vorrei avere anch’io la forza di vedere questa vicenda con gli occhi dell’ironia».
Sergio Zavoli risponde, come sempre con estrema cortesia e disponibilità, da casa. Ieri non si è recato in commissione di Vigilanza dove pure è stato eletto in seguito alla rinuncia di Nicola Latorre. E ha fatto bene. Si è risparmiato la “resistenza” di Riccardo Villari, che gli ha impedito di essere nominato presidente. Zavoli è giornalista e manager più che navigato. Ma è anche un signore di ottantacinque anni al quale certe situazioni potrebbero essere utilmente risparmiate [parole santissime – nota mia].
Ora cosa farà senatore? C’è addirittura chi la dava tanto sdegnato da essere intenzionato a dimettersi dalla commissione dove è appena stato eletto. «Io non sono sdegnato ma intristito. E non lo sono certo per la mia situazione personale. Ci mancherebbe altro. Lo sono invece per quanto sta accadendo politicamente attorno a una commissione di tanta rilevanza».
Il presidente della Camera Gianfranco Fini invita Villari a dimettersi proprio in nome di una funzione della politica che ha più valore istituzionale che non aggrapparsi alle forme. «Non posso che condividere. Il problema qui, trovato l’accordo tra maggioranza e opposizione sul presidente, è quello di far funzionare una commissione che ha molto da fare».
L’accordo, sul suo nome, esiste, ma Villari resiste. Visto che ha dimostrato doti profetiche, ora secondo lei che accadrà? «No, non ho queste doti. Parleremo volentieri, ma a bocce ferme».
Nel corso della serata anche il presidente del Senato Renato Schifani e il premier Silvio Berlusconi si schierano con Fini invitando Villari a dimettersi. Zavoli prende atto, ma non aggiunge altro. Ora per lui si tratta solo di attendere.
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