sabato 22 novembre 2008

Dal partito miracolo al Popolo della Libertà

Francesco Cramer a margine dell’evento di scioglimento di Forza Italia ha intervistato Giuliano Urbani. L’intervista su “Il Giornale” di oggi. Titolo: “Giuliano Urbani: «Io, tessera numero 2 del partito-miracolo: la fusione era nel destino dal ’94».

Giuliano Urbani, due volte ministro ma soprattutto azzurro della prima ora. Quindici anni fa i club e adesso la fusione tra Forza Italia e An... «Ne è passata di acqua sotto i ponti. Ricordo come se fosse ieri la prima convention alla fiera di Roma: eravamo io, Antonio Martino, Tiziana Parenti...»
E poi Marcello Dell`Utri, Antonio Tajani e Mario Vaiducci... Lei con la tessera numero due del movimento in tasca: la conserva ancora? «In una scatola con le cose più preziose che ho».
Ma ci credevate tutti all’inizio? «C’era un entusiamo incredibile. Stilammo il programma, il manifesto del buon governo, dopo uno sforzo di ricerca e di studi impressionante, consapevoli che il rischio era enorme».
E ci fu pure chi tentò di dissuadere Berlusconí dall’avventura? «Più di uno, in primis alcuni amici intimi che però poi sono stati sempre al suo fianco. Ne cito due: Fedele Confalonieri e Gianni Letta».
Aveva visto giusto il Cavaliere, insomma... «Fu un miracolo: in pochi mesi creammo un partito di massa».
Un’altra epoca. «Volevamo creare una forza liberale per battere la sinistra e ce l’abbiamo fatta».
Una storia di successi ma anche di insuccessi... «Be’ sì, il rapporto difficile con la Lega nel ’94, le sconfitte elettorali nel ’96 e nel 2006».
A proposito di alleati: quando Berlusconi salì sul predellino in piazza San Babila a Milano e disse «Faccio il Popolo della libertà, chi vuole mi segua» il rapporto con Fini era tiepidino... «In quella occasione il Cavaliere ha fatto uno scatto in avanti da vero leader. Ma lui è uomo di grande intuizione e di disarmante realismo».
Fu più l’una o l’altro? «ll secondo. Perché prima di tutti ha capito che per l’elettorato la fusione c’è già stata».
Ma tra Forza Italia e An non ci sono differenze? «Poche. E l’85 per cento degli elettori non le percepisce. I moderati non distinguono più un Fini da uno Schifani».
Mentre una volta, invece... «Mica tanto. Ricordo quando nel ’94 Berlusconi inviò Tajani e il sottoscritto all’Ergife, al battesimo di An».
Che successe? «Dissi che ero lì con la penna rossa e blu per sottolineare differenze e punti di accordo. Erano molti di più i secondi».
Idem con il Carroccio? «Anche con la Lega ci sono molti punti di contatto. E Bossi sa che se vuol passare dal 3 al 20 per cento l’unica strada è stare nel centrodestra».
Tra i lumbard la pensano tutti così? «Magari quelli delle valli, i duri e puri della secessione no, ma la maggioranza della base ne è convinta. E poi i liberali non possono non andare d’accordo con i leghisti».
E perché mai? «Perché per un liberale lo Stato federale è la tazza di the preferita».
Torniamo a oggi. Tutti ripetono: «Nel Pdl non ci sarà una fusione a freddo come ha fatto il Pd». Sarà così? «Dall’altra parte l’elettorato non è unito per niente. E stanno insieme solo per l’antiberlusconismo».
Da domani il bipolarismo è più forte? «Sulla carta sì, ma mi spaventa l’altro Polo».
Perché, che succede di là? «Non sarà mica un Polo quello dei Pd... Sono spappolati e non hanno neppure un leader».

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