“La Discussione” pubblica oggi un’intervista a Daniele Capezzone raccolta da Federico De Cesare. Titolo: “Daniele Capezzone ci parla delle prospettive del Popolo della libertà. Un cantiere per l’Italia. «È una tappa che esprime continuità con le scorse elezioni politiche. Mi dispiace dover constatare che dall’altra parte non avvenga lo stesso».
Pausa pranzo. All’Auditorium della Conciliazione è in corso il Consiglio nazionale di Forza Italia, convocato per traghettare il partito verso il Popolo della Libertà. Parlamentari, rappresentanti locali, ospiti e giornalisti si accalcano nel foyer davanti al ricco buffet, indecisi tra uno sformato di riso, una parmigiana di melanzane, ovoline campane e dolci dall’aspetto invitante. Decido di fare un giro nella sala per vedere chi ha lo stomaco chiuso, magari per un po’ di nostalgia. Mi guardo in giro, e seduto sulla poltroncina rossa in prima fila trovo lui, Daniele Capezzone, portavoce (un po’ a sorpresa) di Forza Italia.
«Onorevole possiamo scambiare due parole?», gli chiedo. «Ci mancherebbe», mi risponde, e subito mette la vibrazione al palmare che continuerà a squillare per quasi tutta l’intervista, ma a cui non darà mai retta. Solo un’interruzione, quando arriva il discorso che Berlusconi non riuscirà poi a pronunciare perché emozionato (già, capita anche a lui).
La fine di un partito, e l’inizio di una nuova avventura... «È una tappa che esprime continuità con ciò che è avvenuto lo scorso 13 aprile, quando il settanta percento degli elettori ha scelto i due maggiori partiti, aprendo la strada al passaggio da molti di noi auspicato - da un bipolarismo non ancora compiuto a un vero e proprio bipartitismo.»
Non sarà una cosa facile... «Il Popolo della libertà, con Forza Italia, Alleanza nazionale, la Democrazia cristiana per le Autonomie e con tutti gli altri partiti del centrodestra, ha costruito un cantiere che va esattamente in quella direzione, e che anche per ciò che riguarda Forza Italia si dimostra procedere speditamente.»
Veltroni è ancora della stessa idea? «Mi dispiace dover constatare che dall’altra parte purtroppo il cantiere non è altrettanto sicuro, e ciò non mi dà motivi di particolare soddisfazione, anzi mi dispiace. Purtroppo Veltroni ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare, in particolare imbarcando Di Pietro e mettendo così a rischio questo processo politico.»
Nonostante le critiche iniziali, soprattutto per come è nato, il Pdl si è dimostrata la seconda grande intuizione politica di Berlusconi... «Le cose che sto per dire possono essere accettate sia dal punto di vista di chi condivide la politica di Berlusconi, sia da chi la vede in maniera opposta: è un fatto che Berlusconi si conferma sintonizzato su lunghezze d’onda di massa, e coglie prima degli altri qual è la tendenza del Paese.»
E qual è ora? «Quella di scongiurare nuovi governi formati da sette, otto partiti litigiosi, dediti essenzialmente a farsi trabocchetti e ripicche. Certo, sarebbe stato meglio un processo simmetrico nello schieramento politico.»
Oggi c’è da temere che a sinistra l’analogo processo non vada altrettanto bene. Dica la verità. Un po’ ci sperate... «Assolutamente no. Mi auguro che non sia così per il bene del Paese.»
Dove vuole arrivare il Pdl? «Senza impiccarci a questa cifra, per me resta valido l’obiettivo. Se si vince sarà del cinquanta percento più uno, se capiterà di perdere sarà del cinquanta percento meno uno. Per usare una vecchia espressione americana, sarà un Country party, un partito Paese. In Italia sarà un partito che unisce cattolici, laici, moderati, liberali, riformisti, tutti uniti da una leadership.»
Finché c’è Berlusconi. E poi? «Servirà anche un programma elettorale molto compatto, e la capacità di animare una pluralità di luoghi che producano contenuti e proposte per il nuovo partito. E un po’ la dinamica dei partiti anglosassoni e dell’Europa continentale.»
Il Papa ha chiesto una nuova generazione di politici cattolici. Il Pdl la sta preparando? «Nel Pdl i cattolici sono già presenti. In questa nuova casa non è che ciascuna radice e matrice culturale deve chiedere l’affitto di uno stanza. Ciascuno ha la sfida in positivo di stare nel cento per cento del partito, e di costruire una sintesi - propria delle democrazie occidentali - in cui si lavora insieme e si esprime una leadership e un programma.
Pausa pranzo. All’Auditorium della Conciliazione è in corso il Consiglio nazionale di Forza Italia, convocato per traghettare il partito verso il Popolo della Libertà. Parlamentari, rappresentanti locali, ospiti e giornalisti si accalcano nel foyer davanti al ricco buffet, indecisi tra uno sformato di riso, una parmigiana di melanzane, ovoline campane e dolci dall’aspetto invitante. Decido di fare un giro nella sala per vedere chi ha lo stomaco chiuso, magari per un po’ di nostalgia. Mi guardo in giro, e seduto sulla poltroncina rossa in prima fila trovo lui, Daniele Capezzone, portavoce (un po’ a sorpresa) di Forza Italia.
«Onorevole possiamo scambiare due parole?», gli chiedo. «Ci mancherebbe», mi risponde, e subito mette la vibrazione al palmare che continuerà a squillare per quasi tutta l’intervista, ma a cui non darà mai retta. Solo un’interruzione, quando arriva il discorso che Berlusconi non riuscirà poi a pronunciare perché emozionato (già, capita anche a lui).
La fine di un partito, e l’inizio di una nuova avventura... «È una tappa che esprime continuità con ciò che è avvenuto lo scorso 13 aprile, quando il settanta percento degli elettori ha scelto i due maggiori partiti, aprendo la strada al passaggio da molti di noi auspicato - da un bipolarismo non ancora compiuto a un vero e proprio bipartitismo.»
Non sarà una cosa facile... «Il Popolo della libertà, con Forza Italia, Alleanza nazionale, la Democrazia cristiana per le Autonomie e con tutti gli altri partiti del centrodestra, ha costruito un cantiere che va esattamente in quella direzione, e che anche per ciò che riguarda Forza Italia si dimostra procedere speditamente.»
Veltroni è ancora della stessa idea? «Mi dispiace dover constatare che dall’altra parte purtroppo il cantiere non è altrettanto sicuro, e ciò non mi dà motivi di particolare soddisfazione, anzi mi dispiace. Purtroppo Veltroni ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare, in particolare imbarcando Di Pietro e mettendo così a rischio questo processo politico.»
Nonostante le critiche iniziali, soprattutto per come è nato, il Pdl si è dimostrata la seconda grande intuizione politica di Berlusconi... «Le cose che sto per dire possono essere accettate sia dal punto di vista di chi condivide la politica di Berlusconi, sia da chi la vede in maniera opposta: è un fatto che Berlusconi si conferma sintonizzato su lunghezze d’onda di massa, e coglie prima degli altri qual è la tendenza del Paese.»
E qual è ora? «Quella di scongiurare nuovi governi formati da sette, otto partiti litigiosi, dediti essenzialmente a farsi trabocchetti e ripicche. Certo, sarebbe stato meglio un processo simmetrico nello schieramento politico.»
Oggi c’è da temere che a sinistra l’analogo processo non vada altrettanto bene. Dica la verità. Un po’ ci sperate... «Assolutamente no. Mi auguro che non sia così per il bene del Paese.»
Dove vuole arrivare il Pdl? «Senza impiccarci a questa cifra, per me resta valido l’obiettivo. Se si vince sarà del cinquanta percento più uno, se capiterà di perdere sarà del cinquanta percento meno uno. Per usare una vecchia espressione americana, sarà un Country party, un partito Paese. In Italia sarà un partito che unisce cattolici, laici, moderati, liberali, riformisti, tutti uniti da una leadership.»
Finché c’è Berlusconi. E poi? «Servirà anche un programma elettorale molto compatto, e la capacità di animare una pluralità di luoghi che producano contenuti e proposte per il nuovo partito. E un po’ la dinamica dei partiti anglosassoni e dell’Europa continentale.»
Il Papa ha chiesto una nuova generazione di politici cattolici. Il Pdl la sta preparando? «Nel Pdl i cattolici sono già presenti. In questa nuova casa non è che ciascuna radice e matrice culturale deve chiedere l’affitto di uno stanza. Ciascuno ha la sfida in positivo di stare nel cento per cento del partito, e di costruire una sintesi - propria delle democrazie occidentali - in cui si lavora insieme e si esprime una leadership e un programma.
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