Ancora un articolo tratto questa volta da “Il Messaggero” di ieri. È di Carlo Fusi. Titolo: «Il “lodo” Zavoli accontenta tutti. Ma lascia sul campo molti detriti per i Democrat». Superato, non aggiunge molto, ma come “documento” storico utile comunque.
Se, come sembra scontato, oggi Riccardo Villari si dimetterà, l’arrivo di Sergio Zavoli alla presidenza della Commissione di Vigilanza sulla Rai chiuderà una partita istituzionale e parlamentare protrattasi fin troppo a lungo tanto da diventare stucchevole, e soprattutto sancirà la quadratura di molti conti politici, sia per la maggioranza che per l’opposizione. Berlusconi, infatti, si intesta un beau geste che in realtà gli costa poco e gli evita l’accusa di volersi accaparrare un’ulteriore poltrona in un versante già gravato dal conflitto di interessi. Di converso, Veltroni può mettere a suo favore sul piatto della bilancia l’aver salvato il principio che non può essere la coalizione di governo a scegliere chi deve presiedere una commissione che spetta all’opposizione, risultato ottenuto senza peraltro aver dovuto rompere con Di Pietro.
La rinuncia ad Orlando da parte dell’Idv infatti, seppur condita da attacchi ancor più feroci del solito al presidente del Consiglio e dall’abbandono della Vigilanza in segno di protesta, ha però consentito al leader Democratico di poter sbloccare la situazione senza subire ammaccamenti eccessivi e con un colpo d’ala finale – l’indicazione di Zavoli appunto – di grande impatto. Anche l’Udc può dirsi soddisfatta: ha mantenuto il legante con il Pd evitando di farsi coinvolgere nelle impuntature dipietriste e nel contempo, elemento fondamentale, senza mai dare la sensazione di cedere alle lusinghe di palazzo Chigi.
Tutti contenti, dunque? In apparenza sì. Al fondo, tuttavia, restano almeno due elementi di opacità. Il primo, il cui significato va oltre lo stretto ambito di Palazzo, è che in Italia anche su terreni dove sarebbe logico e auspicabile non si riesce a negoziare un accordo bipartisan senza dover ricorrere ai miti del passato: mai, per intenderci, sul terreno dell’innovazione o se si preferisce del ricambio generazionale. Il secondo è che disboscando il viluppo degli scontati annunci di vittoria, parecchi sono i detriti che restano sul campo. Nella maggioranza, che punta a capitalizzare subito a partire dall’elezione del nuovo Cda Rai; e soprattutto nel Pd, dove la guerriglia sotterranea (e neanche tanto) sulla leadership veltroniana è destinata ad accrescersi. Lo scontro sul “pizzino” del dalemiano Latorre - che si è dimesso dalla Vigilanza per far posto a Zavoli - al pdl Bocchino ne è l’esempio.
Se, come sembra scontato, oggi Riccardo Villari si dimetterà, l’arrivo di Sergio Zavoli alla presidenza della Commissione di Vigilanza sulla Rai chiuderà una partita istituzionale e parlamentare protrattasi fin troppo a lungo tanto da diventare stucchevole, e soprattutto sancirà la quadratura di molti conti politici, sia per la maggioranza che per l’opposizione. Berlusconi, infatti, si intesta un beau geste che in realtà gli costa poco e gli evita l’accusa di volersi accaparrare un’ulteriore poltrona in un versante già gravato dal conflitto di interessi. Di converso, Veltroni può mettere a suo favore sul piatto della bilancia l’aver salvato il principio che non può essere la coalizione di governo a scegliere chi deve presiedere una commissione che spetta all’opposizione, risultato ottenuto senza peraltro aver dovuto rompere con Di Pietro.
La rinuncia ad Orlando da parte dell’Idv infatti, seppur condita da attacchi ancor più feroci del solito al presidente del Consiglio e dall’abbandono della Vigilanza in segno di protesta, ha però consentito al leader Democratico di poter sbloccare la situazione senza subire ammaccamenti eccessivi e con un colpo d’ala finale – l’indicazione di Zavoli appunto – di grande impatto. Anche l’Udc può dirsi soddisfatta: ha mantenuto il legante con il Pd evitando di farsi coinvolgere nelle impuntature dipietriste e nel contempo, elemento fondamentale, senza mai dare la sensazione di cedere alle lusinghe di palazzo Chigi.
Tutti contenti, dunque? In apparenza sì. Al fondo, tuttavia, restano almeno due elementi di opacità. Il primo, il cui significato va oltre lo stretto ambito di Palazzo, è che in Italia anche su terreni dove sarebbe logico e auspicabile non si riesce a negoziare un accordo bipartisan senza dover ricorrere ai miti del passato: mai, per intenderci, sul terreno dell’innovazione o se si preferisce del ricambio generazionale. Il secondo è che disboscando il viluppo degli scontati annunci di vittoria, parecchi sono i detriti che restano sul campo. Nella maggioranza, che punta a capitalizzare subito a partire dall’elezione del nuovo Cda Rai; e soprattutto nel Pd, dove la guerriglia sotterranea (e neanche tanto) sulla leadership veltroniana è destinata ad accrescersi. Lo scontro sul “pizzino” del dalemiano Latorre - che si è dimesso dalla Vigilanza per far posto a Zavoli - al pdl Bocchino ne è l’esempio.
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