Sempre su Brunetta ripesco dalle rassegne stampa di martedì scorso, 18, questo articolo di Lucia Annunziata su “La Stampa”, titolo: “Parole e politica. Bamboccioni, fannulloni”.
La carriera del ministro del Tesoro Padoa-Schioppa sbatté sul termine bamboccioni. Quella dell’attuale ministro Brunetta rischia di sbattere su fannulloni. Curioso parallelismo, in cui - con tutte le differenze, e a dispetto di ogni magnifica intenzione dei due - si misura il paradosso di come alla fine nella vita pubblica splendidi curricula possano essere messi in ginocchio da un dettaglio. Specie se questi dettagli sono efficaci: bamboccioni infatti ha perfettamente definito lo spirito di una generazione, così come fannulloni ha perfettamente colto una malattia italiana.
Questa osservazione porterebbe a parlare dei media e del loro potere. Ma in questi incidenti (volontari o no che siano) viene svelata una storia infinitamente più affascinante: quella di quanto complesso sia, in Italia, l’inserimento di outsider nella grande scena politica.
Sono certa che anche solo evocare questa lontana somiglianza fra i due personaggi nominati può scontentare molti, e sono ancora più certa che gli stessi due chiamati in causa non saranno contenti della compagnia in cui li si mette. Padoa-Schioppa e Brunetta non potrebbero infatti essere più distanti per modi di essere, pensare, parlare; per scopi, abitudini e vezzi.
Su un solo terreno si muovono all’unisono: sulla scena politica entrambi sono spericolatamente coerenti nel dire quello che pensano. Il primo, Tommaso Padoa-Schioppa con la lenta e distante parlata del professore, il secondo con l’irruente e costante fiume di parole di un uomo che vuole lasciare il segno. Eppure sono entrambi scopertamente sinceri. Nessuno dei due, una volta inciampato sulla propria formula, vi si è mai sottratto, rivendicandola, ripetendola, espandendone il significato nei luoghi e nel tempo. Entrambi in qualche modo sorpresi e scandalizzati a loro volta della sorpresa e dello scandalo altrui.
La peculiarità di questi incidenti di percorso impartisce sicuramente una lezione. Se si va a guardare nel passato dei due personaggi, vi si trova una caratteristica comune: provengono dal mondo degli «esperti», cioè dal mondo delle accademie, dei consiglieri. Con diversi titoli, certo, e diverse distanze. Padoa-Schioppa la politica non l’ha mai direttamente frequentata e i suoi incarichi sono sempre stati superistituzionali. Brunetta invece in politica circola da parecchio, ma anche lui vi è sempre vissuto soprattutto come consigliere, economista, esperto appunto.
Non possiamo così considerare un caso se l’inciampo arriva quando entrambi si trovano nello stesso passaggio. Buttati nell’arena della politica pura, la funzionalità dei due tecnici si ingrippa. Eppure, nulla cambia nel loro approccio, fra il prima e il dopo. Arrivano ai ministeri con le loro carte, i loro studi, i dati statistici e le curve di andamento. Fanno proposte sulla base di grafici e previsioni credibili. Sviscerano con sistematicità il corpo della nazione, ne mettono a nudo la struttura, e vanno all’essenziale. Fanno esattamente quello che la politica li ha chiamati a fare. Padoa-Schioppa dice che le tasse sono «bellissime», dopo aver parlato di bamboccioni. Brunetta aggiunge la parola tornelli (che evoca macchine da tortura all’orecchio di chi non sa) a quella di fannulloni. È un nuovo linguaggio, immaginifico, efficace, che arriva a tutti. Perché allora queste definizioni suscitano enormi tempeste? Non si tratta di errori di comunicazione, come dicono gli esperti di media: al contrario siamo di fronte a due strepitosi esempi di comunicazione politica, come prova il fatto che sia bamboccioni che fannulloni raggiungono la stampa internazionale (rispettivamente sul Times di Londra e sul New York Times) diventando una lampante sintesi, finalmente traducibile presso gli stranieri, del nostro dibattito politico.
Ne è una spiegazione la loro durezza. Entrambe suscitano una quota di forte dissenso, per la radicalità della proposta che trasmettono. Ma proprio in questa legislatura abbiamo un esempio di proposte radicali di non minore durezza che pure non suscitano scandalo: il ministro Tremonti, ad esempio, ha riscritto il credo sociale dei suo partito, ha rivisitato Marx e ha abiurato al liberismo sfrenato, mietendo, al contrario, lodi per la sua immaginazione e per la sua profondità.
Se scartiamo la battaglia politica e l’errore di comunicazione, allora, cosa ci rimane come spiegazione per gli inciampi pubblici di alcuni ministri? La spiegazione - ecco la piccola morale di questi aneddoti - è probabilmente nell’asciuttezza del linguaggio non politico. I tecnici che usano le curve e i dati per leggere la realtà spesso non li sanno definire, non hanno aggettivi per farli lievitare in progetto, sicuramente non ne vedono la traduzione a pelle scoperta, che è quella dell’elettore. La politica, alla fin fine, rimane l’arte del consenso, del palpito, di un’aspirazione o, se volete, oggi che siamo in epoca obamiana, del sogno. Ed è così che molto spesso, nella storia del nostro Paese, ma non solo, alcuni dei migliori uomini chiamati a governare da fuori della politica non hanno avuto grande successo: amati, riveriti e detestati; divenuti a volte, nell’infinita tela che è la politica, più uno strappo che un ago. Messi così alla porta - sia pur con tutti gli onori - più dagli amici che dai nemici. Una lezione che, fra gli altri, ha subito e ha ampiamente meditato e fatto fruttare il ministro Tremonti. E che oggi non è detto che non dovrà subire lo stesso Brunetta.
Dopo questa “dotta” dissertazione, dove una citazione di Obama non poteva mancare, passiamo all’intervista pubblicata lo stesso giorno da “Il Giornale”. Interlocutore di Brunetta è Antonio Signorini. Titolo: «Anch’io ero uno della Cgil ma oggi difendono i privilegi». Il ministro della Funzione pubblica: «Che triste vederli all’angolo. Però non fanno più gli interessi della gente».
Ministro Renato Brunetta, questa volta ha esagerato, lo riconosca. «Semmai ho scoperto l’acqua calda».
Quindi ribadisce tutto: i fannulloni stanno a sinistra? «Ripeto, è vero che i fannulloni stanno a destra come a sinistra, rientrano semmai nella categoria eterna dell’opportunismo lavorativo. Però è altrettanto vero che per la cultura della sinistra anticapitalistica “lavorare stanca”, per dirla con uno slogan. È parte della cultura della sinistra l’elogio dell’ozio; è nell’ideologia di sinistra il ficcarsi dentro il pubblico impiego con una visione anticapitalistica e rivoluzionaria».
Diciamo che coprono con un velo ideologico la naturale pulsione a non esagerare con il lavoro? «Attenzione però, sto parlando solo della sinistra ideologica italiana e non di quella socialdemocratica calvinista del nord Europa. Dell’anticapitalismo cattocomunista, che è a sua volta una cosa diversa rispetto all’ideologia cattolica che trova nella comunità e nel solidarismo una sua espressione. Quello della sinistra è un anticapitalismo egoistico».
Però, scusi se glielo faccio notare, anche lei viene dalla sinistra. «Ma io vengo dalla sinistra LibLab. Quella che mette insieme mercato e garanzie, diritti e produttività. Poi proprio perché ho questa provenienza sono addolorato quando vedo questa parte politica che sì nasconde dietro i diritti per difendere dei privilegi».
Il fatto che le critiche al suo operato vengono tutte da sinistra è quindi da considerare un effetto della concorrenza tra diverse anime della stessa famiglia? «In realtà le critiche più dure sono arrivate da Roberto Fiore, segretario di Forza nuova. Anche quello è anticapitalismo. C’è una parte della destra sociale che non è molto diversa dalla sinistra che io critico».
Sinistra radicale ed estrema destra. Messa così l’ideologia fannullona sembrerebbe minoritaria... «Sicuramente non è la cultura attuale del Partito democratico».
Tutti d’accordo, quindi. Problema risolto? «No, il fatto è che il Pd ha abbandonato questo ghetto, ma poi è stato di fatto egemonizzato dalla Cgil. Il sindacato di Guglielmo Epifani lo ha dimostrato ancora una volta quando di fronte alla crisi economica, ha risposto con lo sciopero generale».
Questo non c’entra niente con i fannulloni. «Però c’entra il fatto che la Cgil in Senato ha esercitato un’azione di lobbing straordinaria nei confronti dei parlamentari Pd».
Per ottenere cosa? «Cercavano di non fare votare ai senatori Pd la riforma che porta nella pubblica amministrazione trasparenza, qualità e attenzione ai clienti ma non sono riusciti nell’intento. Alla Cgil dei cittadini non importa nulla. E di fronte a comportamenti come questi, non capisco come qualcuno possa meravigliarsi se poi si dice che difendono i fannulloni».
Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, però ha difeso la Cgil. E ha detto che le sue parole contro il sindacato di Epifani sono invettive fuori luogo… «Forse Bonanni si è dimenticato gli insulti a Pezzotta o quelli che la Cgil ha riservato a lui. Comunque capisco perché Bonanni lo ha detto, ma io ho il diritto e il dovere di dire le cose come stanno. Ad esempio la Cgil, non firmando il contratto sul pubblico impiego, dice no a 70 euro di aumento. Come si fa a non rimarcarlo? Chi è l’irresponsabile? Come si fa a non trarne le conseguenze?».
Quali sarebbero? «Che la Cgil è perché nulla cambi. Si sono mai chiesti se i cittadini sono soddisfatti per i servizi che gli dà lo Stato e gli enti locali? Quali sono le loro controproposte? Si stanno mettendo in un angolo. E lo dico con dispiacere, perché io sono stato iscritto a un solo sindacato».
Non ci dica che era la Cgil... «Certo, Cgil università, quando erano un giovane universitario tra gli anni Settanta e Ottanta. Per questo mi dispiace che questa mia amarezza venga svillaneggiata così».
Ieri avete diffuso i nuovi dati sull’assenteismo, che in ottobre, rispetto allo stesso mese dei 2007, è calato del 43,1 per cento. È stato detto che sono dati falsati... «E no, questa volta è un dato definitivo su un campione inattaccabile. Alla faccia dei professorini che hanno messo in dubbio il calo nei mesi scorsi. È tutto confermato».
Hanno paura di Brunetta e vanno al lavoro? «Nemmeno questa tesi è vera. Non credo che una penalizzazione di dieci euro possa avere messo paura a qualcuno. Il fatto è che il sindacato è molto più arretrato rispetto ai lavoratori che rappresenta. La risposta straordinaria dei dipendenti pubblici è la dimostrazione che stanno cambiando. Sono la Cgil e certa politica a non cambiare».
Un’altra obiezione che è stata fatta al suo ragionamento è che lei se la prende solo con i pesci piccoli. Che ne dice dei manager, dei dirigenti? Non è che li salva perché molti sono di destra? «Anche questa è una mistificazione. Ma se io ho sempre detto che il pesce puzza dalla testa? La riforma votata dal Senato, contro la quale si è scagliata la Cgil, è tutta rivolta ai dirigenti. Sanzioni per quelli che non funzionano. Guardi, anche su questo il re è nudo. Provi a chiedere alla gente cosa pensa della mie parole. Sono tutti d’accordo. Li hanno tutti vissute sulla loro pelle i disagi per gli uffici inefficienti, le arroganze insopportabili. E sanno riconoscere il sindacato quando non fa più il suo mestiere».
Insomma, va a finire che i fannulloni sono protetti dalla sinistra. Ma che il ministro Brunetta, in fondo, ancora usa toni di sinistra... «Io sono stato direttore della fondazione Brodolini (ministro socialista del lavoro, ndr) per anni. Il fatto è che non mi sopportano proprio perché io conosco luoghi e persone della sinistra. Gli sto sulle scatole per questo. Sono socialista riformista, di Forza Italia e del Popolo della libertà. Ai tempi della scala mobile stavo dalla parte giusta io. Loro no».
La carriera del ministro del Tesoro Padoa-Schioppa sbatté sul termine bamboccioni. Quella dell’attuale ministro Brunetta rischia di sbattere su fannulloni. Curioso parallelismo, in cui - con tutte le differenze, e a dispetto di ogni magnifica intenzione dei due - si misura il paradosso di come alla fine nella vita pubblica splendidi curricula possano essere messi in ginocchio da un dettaglio. Specie se questi dettagli sono efficaci: bamboccioni infatti ha perfettamente definito lo spirito di una generazione, così come fannulloni ha perfettamente colto una malattia italiana.
Questa osservazione porterebbe a parlare dei media e del loro potere. Ma in questi incidenti (volontari o no che siano) viene svelata una storia infinitamente più affascinante: quella di quanto complesso sia, in Italia, l’inserimento di outsider nella grande scena politica.
Sono certa che anche solo evocare questa lontana somiglianza fra i due personaggi nominati può scontentare molti, e sono ancora più certa che gli stessi due chiamati in causa non saranno contenti della compagnia in cui li si mette. Padoa-Schioppa e Brunetta non potrebbero infatti essere più distanti per modi di essere, pensare, parlare; per scopi, abitudini e vezzi.
Su un solo terreno si muovono all’unisono: sulla scena politica entrambi sono spericolatamente coerenti nel dire quello che pensano. Il primo, Tommaso Padoa-Schioppa con la lenta e distante parlata del professore, il secondo con l’irruente e costante fiume di parole di un uomo che vuole lasciare il segno. Eppure sono entrambi scopertamente sinceri. Nessuno dei due, una volta inciampato sulla propria formula, vi si è mai sottratto, rivendicandola, ripetendola, espandendone il significato nei luoghi e nel tempo. Entrambi in qualche modo sorpresi e scandalizzati a loro volta della sorpresa e dello scandalo altrui.
La peculiarità di questi incidenti di percorso impartisce sicuramente una lezione. Se si va a guardare nel passato dei due personaggi, vi si trova una caratteristica comune: provengono dal mondo degli «esperti», cioè dal mondo delle accademie, dei consiglieri. Con diversi titoli, certo, e diverse distanze. Padoa-Schioppa la politica non l’ha mai direttamente frequentata e i suoi incarichi sono sempre stati superistituzionali. Brunetta invece in politica circola da parecchio, ma anche lui vi è sempre vissuto soprattutto come consigliere, economista, esperto appunto.
Non possiamo così considerare un caso se l’inciampo arriva quando entrambi si trovano nello stesso passaggio. Buttati nell’arena della politica pura, la funzionalità dei due tecnici si ingrippa. Eppure, nulla cambia nel loro approccio, fra il prima e il dopo. Arrivano ai ministeri con le loro carte, i loro studi, i dati statistici e le curve di andamento. Fanno proposte sulla base di grafici e previsioni credibili. Sviscerano con sistematicità il corpo della nazione, ne mettono a nudo la struttura, e vanno all’essenziale. Fanno esattamente quello che la politica li ha chiamati a fare. Padoa-Schioppa dice che le tasse sono «bellissime», dopo aver parlato di bamboccioni. Brunetta aggiunge la parola tornelli (che evoca macchine da tortura all’orecchio di chi non sa) a quella di fannulloni. È un nuovo linguaggio, immaginifico, efficace, che arriva a tutti. Perché allora queste definizioni suscitano enormi tempeste? Non si tratta di errori di comunicazione, come dicono gli esperti di media: al contrario siamo di fronte a due strepitosi esempi di comunicazione politica, come prova il fatto che sia bamboccioni che fannulloni raggiungono la stampa internazionale (rispettivamente sul Times di Londra e sul New York Times) diventando una lampante sintesi, finalmente traducibile presso gli stranieri, del nostro dibattito politico.
Ne è una spiegazione la loro durezza. Entrambe suscitano una quota di forte dissenso, per la radicalità della proposta che trasmettono. Ma proprio in questa legislatura abbiamo un esempio di proposte radicali di non minore durezza che pure non suscitano scandalo: il ministro Tremonti, ad esempio, ha riscritto il credo sociale dei suo partito, ha rivisitato Marx e ha abiurato al liberismo sfrenato, mietendo, al contrario, lodi per la sua immaginazione e per la sua profondità.
Se scartiamo la battaglia politica e l’errore di comunicazione, allora, cosa ci rimane come spiegazione per gli inciampi pubblici di alcuni ministri? La spiegazione - ecco la piccola morale di questi aneddoti - è probabilmente nell’asciuttezza del linguaggio non politico. I tecnici che usano le curve e i dati per leggere la realtà spesso non li sanno definire, non hanno aggettivi per farli lievitare in progetto, sicuramente non ne vedono la traduzione a pelle scoperta, che è quella dell’elettore. La politica, alla fin fine, rimane l’arte del consenso, del palpito, di un’aspirazione o, se volete, oggi che siamo in epoca obamiana, del sogno. Ed è così che molto spesso, nella storia del nostro Paese, ma non solo, alcuni dei migliori uomini chiamati a governare da fuori della politica non hanno avuto grande successo: amati, riveriti e detestati; divenuti a volte, nell’infinita tela che è la politica, più uno strappo che un ago. Messi così alla porta - sia pur con tutti gli onori - più dagli amici che dai nemici. Una lezione che, fra gli altri, ha subito e ha ampiamente meditato e fatto fruttare il ministro Tremonti. E che oggi non è detto che non dovrà subire lo stesso Brunetta.
Dopo questa “dotta” dissertazione, dove una citazione di Obama non poteva mancare, passiamo all’intervista pubblicata lo stesso giorno da “Il Giornale”. Interlocutore di Brunetta è Antonio Signorini. Titolo: «Anch’io ero uno della Cgil ma oggi difendono i privilegi». Il ministro della Funzione pubblica: «Che triste vederli all’angolo. Però non fanno più gli interessi della gente».
Ministro Renato Brunetta, questa volta ha esagerato, lo riconosca. «Semmai ho scoperto l’acqua calda».
Quindi ribadisce tutto: i fannulloni stanno a sinistra? «Ripeto, è vero che i fannulloni stanno a destra come a sinistra, rientrano semmai nella categoria eterna dell’opportunismo lavorativo. Però è altrettanto vero che per la cultura della sinistra anticapitalistica “lavorare stanca”, per dirla con uno slogan. È parte della cultura della sinistra l’elogio dell’ozio; è nell’ideologia di sinistra il ficcarsi dentro il pubblico impiego con una visione anticapitalistica e rivoluzionaria».
Diciamo che coprono con un velo ideologico la naturale pulsione a non esagerare con il lavoro? «Attenzione però, sto parlando solo della sinistra ideologica italiana e non di quella socialdemocratica calvinista del nord Europa. Dell’anticapitalismo cattocomunista, che è a sua volta una cosa diversa rispetto all’ideologia cattolica che trova nella comunità e nel solidarismo una sua espressione. Quello della sinistra è un anticapitalismo egoistico».
Però, scusi se glielo faccio notare, anche lei viene dalla sinistra. «Ma io vengo dalla sinistra LibLab. Quella che mette insieme mercato e garanzie, diritti e produttività. Poi proprio perché ho questa provenienza sono addolorato quando vedo questa parte politica che sì nasconde dietro i diritti per difendere dei privilegi».
Il fatto che le critiche al suo operato vengono tutte da sinistra è quindi da considerare un effetto della concorrenza tra diverse anime della stessa famiglia? «In realtà le critiche più dure sono arrivate da Roberto Fiore, segretario di Forza nuova. Anche quello è anticapitalismo. C’è una parte della destra sociale che non è molto diversa dalla sinistra che io critico».
Sinistra radicale ed estrema destra. Messa così l’ideologia fannullona sembrerebbe minoritaria... «Sicuramente non è la cultura attuale del Partito democratico».
Tutti d’accordo, quindi. Problema risolto? «No, il fatto è che il Pd ha abbandonato questo ghetto, ma poi è stato di fatto egemonizzato dalla Cgil. Il sindacato di Guglielmo Epifani lo ha dimostrato ancora una volta quando di fronte alla crisi economica, ha risposto con lo sciopero generale».
Questo non c’entra niente con i fannulloni. «Però c’entra il fatto che la Cgil in Senato ha esercitato un’azione di lobbing straordinaria nei confronti dei parlamentari Pd».
Per ottenere cosa? «Cercavano di non fare votare ai senatori Pd la riforma che porta nella pubblica amministrazione trasparenza, qualità e attenzione ai clienti ma non sono riusciti nell’intento. Alla Cgil dei cittadini non importa nulla. E di fronte a comportamenti come questi, non capisco come qualcuno possa meravigliarsi se poi si dice che difendono i fannulloni».
Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, però ha difeso la Cgil. E ha detto che le sue parole contro il sindacato di Epifani sono invettive fuori luogo… «Forse Bonanni si è dimenticato gli insulti a Pezzotta o quelli che la Cgil ha riservato a lui. Comunque capisco perché Bonanni lo ha detto, ma io ho il diritto e il dovere di dire le cose come stanno. Ad esempio la Cgil, non firmando il contratto sul pubblico impiego, dice no a 70 euro di aumento. Come si fa a non rimarcarlo? Chi è l’irresponsabile? Come si fa a non trarne le conseguenze?».
Quali sarebbero? «Che la Cgil è perché nulla cambi. Si sono mai chiesti se i cittadini sono soddisfatti per i servizi che gli dà lo Stato e gli enti locali? Quali sono le loro controproposte? Si stanno mettendo in un angolo. E lo dico con dispiacere, perché io sono stato iscritto a un solo sindacato».
Non ci dica che era la Cgil... «Certo, Cgil università, quando erano un giovane universitario tra gli anni Settanta e Ottanta. Per questo mi dispiace che questa mia amarezza venga svillaneggiata così».
Ieri avete diffuso i nuovi dati sull’assenteismo, che in ottobre, rispetto allo stesso mese dei 2007, è calato del 43,1 per cento. È stato detto che sono dati falsati... «E no, questa volta è un dato definitivo su un campione inattaccabile. Alla faccia dei professorini che hanno messo in dubbio il calo nei mesi scorsi. È tutto confermato».
Hanno paura di Brunetta e vanno al lavoro? «Nemmeno questa tesi è vera. Non credo che una penalizzazione di dieci euro possa avere messo paura a qualcuno. Il fatto è che il sindacato è molto più arretrato rispetto ai lavoratori che rappresenta. La risposta straordinaria dei dipendenti pubblici è la dimostrazione che stanno cambiando. Sono la Cgil e certa politica a non cambiare».
Un’altra obiezione che è stata fatta al suo ragionamento è che lei se la prende solo con i pesci piccoli. Che ne dice dei manager, dei dirigenti? Non è che li salva perché molti sono di destra? «Anche questa è una mistificazione. Ma se io ho sempre detto che il pesce puzza dalla testa? La riforma votata dal Senato, contro la quale si è scagliata la Cgil, è tutta rivolta ai dirigenti. Sanzioni per quelli che non funzionano. Guardi, anche su questo il re è nudo. Provi a chiedere alla gente cosa pensa della mie parole. Sono tutti d’accordo. Li hanno tutti vissute sulla loro pelle i disagi per gli uffici inefficienti, le arroganze insopportabili. E sanno riconoscere il sindacato quando non fa più il suo mestiere».
Insomma, va a finire che i fannulloni sono protetti dalla sinistra. Ma che il ministro Brunetta, in fondo, ancora usa toni di sinistra... «Io sono stato direttore della fondazione Brodolini (ministro socialista del lavoro, ndr) per anni. Il fatto è che non mi sopportano proprio perché io conosco luoghi e persone della sinistra. Gli sto sulle scatole per questo. Sono socialista riformista, di Forza Italia e del Popolo della libertà. Ai tempi della scala mobile stavo dalla parte giusta io. Loro no».
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