sabato 22 novembre 2008

Veltroni e il suo segretario ombra, coi baffi

“Congresso Pd. Stop di Walter: «È un autogol». Ma cresce la tensione con i dalemiani” è un articolo di Fabio Martini pubblicato oggi su “La Stampa”. Scrive Martini:

Nella stanza del segretario è iniziata una processione, nella laica speranza di poter esorcizzare il “diavolo coi baffi”. Goffredo Bettini, il berlingueriano: «Walter, non possiamo mica farci logorare da D’Alema aspettando le Europee di giugno: anticipiamo il congresso». Giorgio Tonini, il “fucino”: «Walter, ma lo vedi? Ogni volta che facciamo un gol, c’è qualcun altro che si organizza per fare autogol. Facciamolo per il Pd: facciamo il congresso». Enrico Morando, il migliorista: «Walter, il dibattito sta procedendo in modo confuso e opaco, facciamo un congresso il prima possibile». Walter Veltroni ascolta tutti, ne capisce le ragioni, ma alla fine scuote la testa: «Nei sondaggi da un mese siamo in crescita e il governo è in calo, ora il Pd c’è e perciò l’autolesionismo di qualcuno dei nostri mi fa rabbia. Ma questo partito è troppo giovane per sopportare un duro scontro congressuale. No, non possiamo consentirci una resa di conti interna, non possiamo dare agli italiani la sensazione di un partito tutto ripiegato su sé stesso».
Certo, Veltroni è rimasto colpito dalle ultime mosse della “fronda” dalemiana e lo ha insospettito non poco un articolo del “Riformista”, vicino a quegli ambienti, che attribuisce a D’Alema la volontà di far scaldare subito i suoi “cavalli” - Gianni Cuperlo, Pierluigi Bersani ma soprattutto Enrico Letta - in vista di una imminente successione alla guida del Pd. Ma per ora Veltroni non si lascia tentare dalla suggestione di un congresso, da anticipare dal novembre al marzo 2009 e in questa scelta prudente è confortato dal suo vice, Dario Franceschini, che assieme a Beppe Fioroni guida quel che resta dell’apparato ex Ppi. Ma rinunciare, per ora, all’arma (a doppio taglio) del congresso per Veltroni non significa giocare in difesa. Ad un convegno di partito, il leader democratico, pur senza nominarlo, ha attaccato Massimo D’Alema: «Il Pd è l’unica alternativa a questa maggioranza: se invece qualcuno pensa di tornare ai vecchi partiti e poi fare una bella alleanza, si sbaglia». Come dire, senza dirlo: D’Alema non sgradirebbe una separazione consensuale tra ex Ds e ex Margherita per favorire la nascita di un Centro moderato al quale il residuo Pd dovrebbe allearsi, in una rinnovata coalizione "Red and White". Alchimie partitocratiche, certo. Convulsioni spesso dilatate dai mass media, cosa di cui è convinto Veltroni: «I giornali oggi hanno dato eguale spazio alla crisi mondiale e alla crisi del Pd. C’è un mondo reale e uno virtuale».
Ma le ultime scosse telluriche dentro il Pd, potrebbero aver effettivamente fatto «saltare il tappo», per dirla con l’ex direttore dell’“Unità” Peppino Caldarola. E Pierluigi Bersani rende l’idea, quando chiede di farla finita col «tirarsi le pietre». I due schieramenti interni sono effettivamente tornati a guardarsi in cagnesco, in un clima da “guerra civile” senza precedenti nei 13 mesi di vita del Pd. Da una parte c’è la difficoltà di Veltroni a chiudere una volta per tutta la lunga vicenda della Vigilanza Rai, dall’altra la fronda dei dalemiani è venuta allo scoperto, rafforzando negli amici del segretario del Pd che oramai ci sia «un partito nel partito». Non solo per la “prova tv” che inchioda il dalemiano Nicola Latorre al suo “pizzino”, ma anche per l’ostruzionismo sordo ma potente a Veltroni in sede parlamentare. La proposta della maggioranza di dare un riconoscimento formale al Governo-Ombra curiosamente è osteggiata da Anna Finocchiaro e dai dalemiani e un organico progetto di riforma federalista elaborato dallo “Shadow Cabinet” finora è rimasto bloccato per la sordina “suggerita” da Bersani. Una boccata d’ossigeno per Veltroni potrebbe venire dalla vicenda Villari. Voci arrivate in casa Pd dicono che Berlusconi si starebbe impegnando per convincere Riccardo Villari a dimettersi dalla Vigilanza, allo scopo di «salvare l’onore» di Gianni Letta, uno degli artefici dell’intesa bipartisan che aveva portato alla candidatura di Sergio Zavoli.

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