Antonio Signorini su “Il Giornale” di oggi titola la sua “Retroscena”: “Epifani teme la piazza vuota e apre al governo”.
E se alla fine la Cgil rinunciasse allo sciopero generale del 12 dicembre? Il sospetto negli ultimi giorni è venuto a più d’un addetto al settore leggendo le dichiarazioni del segretario generale Guglielmo Epifani e di altri esponenti di Corso d’Italia. Da Fulvio Fammoni che, tra mille critiche al governo, ha messo in una dichiarazione l’apprezzamento per il rifinanziamento dei fondi per la Cassa integrazione, allo stesso Epifani che giovedì e anche ieri ha spiegato che la mobilitazione generale potrebbe rientrare, se il governo decidesse «una svolta radicale a sostegno di una politica di ammortizzatori sociali» per chi perderà il lavoro, in particolare i precari. Misure effettivamente allo studio del governo.
Ma più che i buoni propositi dell’esecutivo o gli inviti a non scioperare, come quello rivolto ieri alla Cgil dal ministro al Welfare Sacconi, a pesare nelle scelte di Epifani è il sostanziale fallimento delle proteste di novembre indette solo dalla Cgil. Dallo sciopero del pubblico impiego i cui dati sono stati diffusi dal ministro Renato Brunetta, a quelli del privato che si sono tenuti negli ultimi giorni. Scioperi locali, come quello dell’Emilia Romagna o di Brescia. Oppure di categoria come quelli del commercio. Ma con un dato comune: tutti sotto le aspettative. A partire dalle quattro ore di stop in Emilia Romagna del 14 novembre. Dalle ottanta adesioni su 2.000 dipendenti al petrolchimico di Ferrara, al 24 per cento di adesioni alla Lombardini di Reggio Emilia, assenti compresi. Bassa partecipazione anche nel gruppo Marcegaglia, con dieci punti percentuali di partecipazioni, al pari della Amadori. Addirittura adesioni nulle nelle cooperative di Imola mentre gli scioperanti in tutto il settore alimentare di Parma si sono fermati complessivamente al cinque per cento.
Da una regione rossa a una provincia lombarda, da sempre roccaforte dei metalmeccanici Fiom, la situazione cambia poco. Lo sciopero generale della Cgil bresciana del 20 novembre è stato snobbato anche dalle tute blu: solo il 12 per cento ha risposto all’appello. Nemmeno la Iveco, dove la Cgil ai tempi dei contratti firmati dai meccanici di Cisl e Uil riusciva a interrompere da sola la produzione, ha fermato le macchine, visto che alla protesta ha aderito il 39 per cento dei dipendenti. Le proteste Fiom hanno avuto successo, con il blocco, solo alla Fincantieri e alla Ergom in Sicilia.
Dati freschi che, insieme a quelli del flop nel pubblico impiego e alla bassa adesione allo stop nel commercio, stanno creando qualche problema alla Cgil, alle prese con il prossimo sciopero generale del 12. Epifani tende a frenare, ha già ottenuto uno stop limitato (quattro o otto ore nelle diverse regioni) e manifestazioni locali, mentre i metalmeccanici della Fiom e il Pubblico impiego della Fp Cgil avrebbero preferito una protesta più estesa. E ora rilanciano per un altro stop generale a febbraio, con tanto di manifestazione a Roma che terranno insieme. Scelte radicali che rischiano diventare boomerang se alla fine dovessero rispondere in pochi. «Il fatto - spiega un sindacalista - è che in tempi di crisi i lavoratori non protestano se non per cose concrete. Chi spera di sfruttare i venti della crisi per riempire le piazze, ha sbagliato i conti».
E se alla fine la Cgil rinunciasse allo sciopero generale del 12 dicembre? Il sospetto negli ultimi giorni è venuto a più d’un addetto al settore leggendo le dichiarazioni del segretario generale Guglielmo Epifani e di altri esponenti di Corso d’Italia. Da Fulvio Fammoni che, tra mille critiche al governo, ha messo in una dichiarazione l’apprezzamento per il rifinanziamento dei fondi per la Cassa integrazione, allo stesso Epifani che giovedì e anche ieri ha spiegato che la mobilitazione generale potrebbe rientrare, se il governo decidesse «una svolta radicale a sostegno di una politica di ammortizzatori sociali» per chi perderà il lavoro, in particolare i precari. Misure effettivamente allo studio del governo.
Ma più che i buoni propositi dell’esecutivo o gli inviti a non scioperare, come quello rivolto ieri alla Cgil dal ministro al Welfare Sacconi, a pesare nelle scelte di Epifani è il sostanziale fallimento delle proteste di novembre indette solo dalla Cgil. Dallo sciopero del pubblico impiego i cui dati sono stati diffusi dal ministro Renato Brunetta, a quelli del privato che si sono tenuti negli ultimi giorni. Scioperi locali, come quello dell’Emilia Romagna o di Brescia. Oppure di categoria come quelli del commercio. Ma con un dato comune: tutti sotto le aspettative. A partire dalle quattro ore di stop in Emilia Romagna del 14 novembre. Dalle ottanta adesioni su 2.000 dipendenti al petrolchimico di Ferrara, al 24 per cento di adesioni alla Lombardini di Reggio Emilia, assenti compresi. Bassa partecipazione anche nel gruppo Marcegaglia, con dieci punti percentuali di partecipazioni, al pari della Amadori. Addirittura adesioni nulle nelle cooperative di Imola mentre gli scioperanti in tutto il settore alimentare di Parma si sono fermati complessivamente al cinque per cento.
Da una regione rossa a una provincia lombarda, da sempre roccaforte dei metalmeccanici Fiom, la situazione cambia poco. Lo sciopero generale della Cgil bresciana del 20 novembre è stato snobbato anche dalle tute blu: solo il 12 per cento ha risposto all’appello. Nemmeno la Iveco, dove la Cgil ai tempi dei contratti firmati dai meccanici di Cisl e Uil riusciva a interrompere da sola la produzione, ha fermato le macchine, visto che alla protesta ha aderito il 39 per cento dei dipendenti. Le proteste Fiom hanno avuto successo, con il blocco, solo alla Fincantieri e alla Ergom in Sicilia.
Dati freschi che, insieme a quelli del flop nel pubblico impiego e alla bassa adesione allo stop nel commercio, stanno creando qualche problema alla Cgil, alle prese con il prossimo sciopero generale del 12. Epifani tende a frenare, ha già ottenuto uno stop limitato (quattro o otto ore nelle diverse regioni) e manifestazioni locali, mentre i metalmeccanici della Fiom e il Pubblico impiego della Fp Cgil avrebbero preferito una protesta più estesa. E ora rilanciano per un altro stop generale a febbraio, con tanto di manifestazione a Roma che terranno insieme. Scelte radicali che rischiano diventare boomerang se alla fine dovessero rispondere in pochi. «Il fatto - spiega un sindacalista - è che in tempi di crisi i lavoratori non protestano se non per cose concrete. Chi spera di sfruttare i venti della crisi per riempire le piazze, ha sbagliato i conti».
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