Su “Il Corriere della Sera” di oggi, nella sua rubrica “Particelle elementari”, Pierluigi Battista pubblica un pezzo dal titolo “Il caso Kundera. Silenzio o scandalo”, che pone un interrogativo forte a chi si occupa di ricerca.
Cosa deve fare un ricercatore se, indagando negli archivi, si imbatte in un nome celeberrimo, in una gloria letteraria, in un grande intellettuale di cui viene unanimemente onorata l’integrità etica e il rigore culturale? E come avrebbe dovuto comportarsi la rivista ceca Respekt quando ha scoperto, rovistando tra le carte della polizia politica comunista, che un certo Milan Kundera, nato a Brno come il noto scrittore, nello stesso giorno e anno del noto scrittore, segnalò nel 1951 agli sgherri del regime i movimenti di un oppositore il quale, per colpa di quella delazione, dovette scontare 14 anni di reclusione in un campo di concentramento? Non avrebbe dovuto darlo alle stampe, anche dopo aver ripetutamente preso contatto con Kundera per raccoglierne la testimonianza e anticipare la sua versione dei fatti? Avrebbe dovuto nascondere il documento, ignorarlo, stracciarlo, cancellarlo per sempre per evitare lo scandalo? Vaclav Havel, il drammaturgo che patì su di sé l’infamia censoria del regime e la cui figura ha incarnato il riscatto della Cecoslovacchia uscita dalla lunga notte del comunismo, in un’intervista al Corriere ha difeso con grande vigore Kundera e ha accusato i mezzi di informazione che hanno ripreso la scoperta di Respekt di aver orchestrato una cinica operazione di scandalismo pettegolo.
Ma quale sarebbe stato il comportamento più giusto: forse far finta che non esistesse la notizia? Lo stesso Kundera non ha nascosto la sua indignazione per lo scalpore suscitato dalle rivelazioni della rivista. Proprio lui, lo scrittore che ha descritto come nessun altro gli effetti devastanti della psicologia totalitaria e del «lirismo rivoluzionario» destinato a inacidirsi e rovesciarsi nel suo opposto, proprio l’intellettuale che scegliendo l’esilio ha pagato di persona le conseguenze di una dittatura feroce, proprio lui avrebbe preferito il silenzio e l’autocensura della rivista? I difensori di Kundera avrebbero potuto contestare l’autenticità del documento, suggerendo analisi minuziose per appurare che una mostruosa macchinazione non abbia costruito un pezzo di carta contraffatto per infangare la figura di un grande scrittore. Avrebbero potuto inchiodare i redattori di Respekt per aver propalato roba falsa come i finti diari di Hitler. Non lo hanno fatto e invece hanno gettato il discredito sulla rivista per il solo fatto che si è permessa di rendere pubblico un documento per l’ansia di intestarsi uno scoop mondiale. Oppure avrebbero potuto ricordare le nefandezze di un regime fondato sull’attività spionistica di massa, sulla delazione generalizzata, sull’onnipotenza della polizia politica. Avrebbero potuto indagare su un caso clamoroso di omonimia, o ricostruire le vicissitudini del povero (ed eroico) Miroslav Dvoracek, la vittima di una soffiata delatoria, comunissima nelle sfortunate nazioni schiacciate dal totalitarismo comunista. Se la prendono con il sensazionalismo. E chiedono di cancellare con atto di imperio ogni documento del passato. Chi fa una ricerca storica, compulsando carte d’archivio, è avvertito: meglio tacere anziché passare come un fabbricatore di scandali.
Cosa deve fare un ricercatore se, indagando negli archivi, si imbatte in un nome celeberrimo, in una gloria letteraria, in un grande intellettuale di cui viene unanimemente onorata l’integrità etica e il rigore culturale? E come avrebbe dovuto comportarsi la rivista ceca Respekt quando ha scoperto, rovistando tra le carte della polizia politica comunista, che un certo Milan Kundera, nato a Brno come il noto scrittore, nello stesso giorno e anno del noto scrittore, segnalò nel 1951 agli sgherri del regime i movimenti di un oppositore il quale, per colpa di quella delazione, dovette scontare 14 anni di reclusione in un campo di concentramento? Non avrebbe dovuto darlo alle stampe, anche dopo aver ripetutamente preso contatto con Kundera per raccoglierne la testimonianza e anticipare la sua versione dei fatti? Avrebbe dovuto nascondere il documento, ignorarlo, stracciarlo, cancellarlo per sempre per evitare lo scandalo? Vaclav Havel, il drammaturgo che patì su di sé l’infamia censoria del regime e la cui figura ha incarnato il riscatto della Cecoslovacchia uscita dalla lunga notte del comunismo, in un’intervista al Corriere ha difeso con grande vigore Kundera e ha accusato i mezzi di informazione che hanno ripreso la scoperta di Respekt di aver orchestrato una cinica operazione di scandalismo pettegolo.
Ma quale sarebbe stato il comportamento più giusto: forse far finta che non esistesse la notizia? Lo stesso Kundera non ha nascosto la sua indignazione per lo scalpore suscitato dalle rivelazioni della rivista. Proprio lui, lo scrittore che ha descritto come nessun altro gli effetti devastanti della psicologia totalitaria e del «lirismo rivoluzionario» destinato a inacidirsi e rovesciarsi nel suo opposto, proprio l’intellettuale che scegliendo l’esilio ha pagato di persona le conseguenze di una dittatura feroce, proprio lui avrebbe preferito il silenzio e l’autocensura della rivista? I difensori di Kundera avrebbero potuto contestare l’autenticità del documento, suggerendo analisi minuziose per appurare che una mostruosa macchinazione non abbia costruito un pezzo di carta contraffatto per infangare la figura di un grande scrittore. Avrebbero potuto inchiodare i redattori di Respekt per aver propalato roba falsa come i finti diari di Hitler. Non lo hanno fatto e invece hanno gettato il discredito sulla rivista per il solo fatto che si è permessa di rendere pubblico un documento per l’ansia di intestarsi uno scoop mondiale. Oppure avrebbero potuto ricordare le nefandezze di un regime fondato sull’attività spionistica di massa, sulla delazione generalizzata, sull’onnipotenza della polizia politica. Avrebbero potuto indagare su un caso clamoroso di omonimia, o ricostruire le vicissitudini del povero (ed eroico) Miroslav Dvoracek, la vittima di una soffiata delatoria, comunissima nelle sfortunate nazioni schiacciate dal totalitarismo comunista. Se la prendono con il sensazionalismo. E chiedono di cancellare con atto di imperio ogni documento del passato. Chi fa una ricerca storica, compulsando carte d’archivio, è avvertito: meglio tacere anziché passare come un fabbricatore di scandali.
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