La Rai tiene banco nella cronaca. “La Stampa” ha pubblicato oggi un articolo, “Il peccato originale” di Augusto Minzolini, che vale la pena di leggerlo per capire risvolti del pensiero politico “democrat”.
Una fissazione. Una tentazione irresistibile. Per i politici la Rai è inevitabilmente l’oggetto del desiderio. Un comportamento paradossale visto che non mancano argomenti più importanti in questi tempi di crisi economica. E, invece, mamma Rai si ingoia tutto, catalizza l’attenzione, diventa il pomo della discordia o un terreno di dialogo. In questa legislatura è accaduto subito.
Walter Veltroni pose il problema Rai nel primo incontro che ebbe a quattr’occhi con il Cavaliere dopo le elezioni: avrebbe potuto parlare di tante altre cose, ma in quei venti minuti il leader del Pd si occupò soprattutto dell’azienda del suo cuore. Dopo sei mesi siamo al punto di partenza. Basta pensare che due giorni fa per spingere il centro-destra a boicottare il presidente eletto alla Commissione di vigilanza, quel Riccardo Villari che sta facendo impazzire Veltroni, il centro-sinistra ha cominciato un’azione di ostruzionismo sul «decreto salvabanche» su cui aveva dato già il suo ok. Un atteggiamento, per usare un eufemismo, a dir poco discutibile.
In questi giorni è successo anche di peggio: i presidenti delle due Camere, nel lodevole tentativo di sbloccare la situazione, hanno chiesto a Villari di dimettersi invitandolo ad anteporre le ragioni politiche a quelle giuridiche che, invece, gli consentirebbero di restare al suo posto. Ora il prima «buttiglioniano», poi «mastelliano», quindi «mariniano» Riccardo Villari può essere considerato una vittima o un furbone, ma in ogni caso l’iniziativa presa dai vertici istituzionali crea un precedente pericoloso. Le alte cariche, infatti, sono tali proprio perché sono garantite da regole giuridiche che consentono loro di essere al di sopra delle parti. Ebbene, subordinare queste regole alle opportunità politiche un domani potrebbe diventare imbarazzante: ad esempio, mutando il rapporto tra Pdl e Pd, qualcuno potrebbe chiedere a Fini o Schifani di lasciare il posto a un esponente dell’opposizione, facendo appello al loro senso di responsabilità, per aprire una nuova fase politica.
Insomma, anche questa volta la Rai ha provocato una lunga serie di guai. I problemi, però, nascono sempre da un nodo politico irrisolto. La vicenda, infatti, poteva essere liquidata già un mese fa, c’era l’ipotesi di un accordo equanime che maggioranza e opposizione avrebbero potuto accettare magari turandosi il naso: l’opposizione avrebbe dato il via libera all’elezione di Gaetano Pecorella alla Consulta; Berlusconi avrebbe accettato obtorto collo l’elezione di Leoluca Orlando, che non gli ha mai risparmiato nulla in termini di accuse verbali, alla presidenza della Commissione vigilanza Rai. Invece, alla fine l’intesa è saltata: Veltroni - spinto da Antonio Di Pietro - ha posto un veto su Pecorella per la Consulta e Berlusconi è stato costretto a cambiare candidato; poi, il leader del Pd - convinto da Di Pietro - ha trasformato il nome di Orlando in un’icona senza alternative.
Messa così, Berlusconi non avrebbe mai potuto accettare insieme un «veto» e un’«imposizione» di Di Pietro via Veltroni. Per cui siamo arrivati allo scontro e allo «showdown» sulla Rai che il Cavaliere avrebbe sicuramente evitato, non fosse altro perché qualcuno gli avrebbe ritirato o gli ritirerà fuori (Nanni Moretti docet) la solita questione del conflitto d’interessi.
Insomma, un lungo elenco di errori. Troppi. L’accordo su Sergio Zavoli è stato siglato tardi. Magari tra qualche giorno la situazione sarà raddrizzata. Magari i commissari del centro-destra, come quelli del centro-sinistra, decideranno - scommette il veltroniano Goffredo Bettini di non partecipare ai lavori di una Commissione di vigilanza presieduta da Villari. Magari quest’ultimo, abbandonato da tutti, si dimetterà pure. Resta, però, un problema politico irrisolto che produrrà altri guai visto che la politica non sarà precisa come la matematica ma ci si avvicina. Tutto questo «caos» nasce dai limiti di leadership di Veltroni e dalle contraddizioni della sua linea politica. Per dialogare con profitto i capi dei due schieramenti debbono rappresentare una leadership riconosciuta: in queste settimane Berlusconi promuoverà ministro della Salute Ferruccio Fazio, e al Turismo Michela Brambilla, e nessuno tra i suoi alzerà un dito: per Veltroni, invece, ogni intesa, ogni nomina si trasforma in un calvario, tutti ne contestano le decisioni.
Una fissazione. Una tentazione irresistibile. Per i politici la Rai è inevitabilmente l’oggetto del desiderio. Un comportamento paradossale visto che non mancano argomenti più importanti in questi tempi di crisi economica. E, invece, mamma Rai si ingoia tutto, catalizza l’attenzione, diventa il pomo della discordia o un terreno di dialogo. In questa legislatura è accaduto subito.
Walter Veltroni pose il problema Rai nel primo incontro che ebbe a quattr’occhi con il Cavaliere dopo le elezioni: avrebbe potuto parlare di tante altre cose, ma in quei venti minuti il leader del Pd si occupò soprattutto dell’azienda del suo cuore. Dopo sei mesi siamo al punto di partenza. Basta pensare che due giorni fa per spingere il centro-destra a boicottare il presidente eletto alla Commissione di vigilanza, quel Riccardo Villari che sta facendo impazzire Veltroni, il centro-sinistra ha cominciato un’azione di ostruzionismo sul «decreto salvabanche» su cui aveva dato già il suo ok. Un atteggiamento, per usare un eufemismo, a dir poco discutibile.
In questi giorni è successo anche di peggio: i presidenti delle due Camere, nel lodevole tentativo di sbloccare la situazione, hanno chiesto a Villari di dimettersi invitandolo ad anteporre le ragioni politiche a quelle giuridiche che, invece, gli consentirebbero di restare al suo posto. Ora il prima «buttiglioniano», poi «mastelliano», quindi «mariniano» Riccardo Villari può essere considerato una vittima o un furbone, ma in ogni caso l’iniziativa presa dai vertici istituzionali crea un precedente pericoloso. Le alte cariche, infatti, sono tali proprio perché sono garantite da regole giuridiche che consentono loro di essere al di sopra delle parti. Ebbene, subordinare queste regole alle opportunità politiche un domani potrebbe diventare imbarazzante: ad esempio, mutando il rapporto tra Pdl e Pd, qualcuno potrebbe chiedere a Fini o Schifani di lasciare il posto a un esponente dell’opposizione, facendo appello al loro senso di responsabilità, per aprire una nuova fase politica.
Insomma, anche questa volta la Rai ha provocato una lunga serie di guai. I problemi, però, nascono sempre da un nodo politico irrisolto. La vicenda, infatti, poteva essere liquidata già un mese fa, c’era l’ipotesi di un accordo equanime che maggioranza e opposizione avrebbero potuto accettare magari turandosi il naso: l’opposizione avrebbe dato il via libera all’elezione di Gaetano Pecorella alla Consulta; Berlusconi avrebbe accettato obtorto collo l’elezione di Leoluca Orlando, che non gli ha mai risparmiato nulla in termini di accuse verbali, alla presidenza della Commissione vigilanza Rai. Invece, alla fine l’intesa è saltata: Veltroni - spinto da Antonio Di Pietro - ha posto un veto su Pecorella per la Consulta e Berlusconi è stato costretto a cambiare candidato; poi, il leader del Pd - convinto da Di Pietro - ha trasformato il nome di Orlando in un’icona senza alternative.
Messa così, Berlusconi non avrebbe mai potuto accettare insieme un «veto» e un’«imposizione» di Di Pietro via Veltroni. Per cui siamo arrivati allo scontro e allo «showdown» sulla Rai che il Cavaliere avrebbe sicuramente evitato, non fosse altro perché qualcuno gli avrebbe ritirato o gli ritirerà fuori (Nanni Moretti docet) la solita questione del conflitto d’interessi.
Insomma, un lungo elenco di errori. Troppi. L’accordo su Sergio Zavoli è stato siglato tardi. Magari tra qualche giorno la situazione sarà raddrizzata. Magari i commissari del centro-destra, come quelli del centro-sinistra, decideranno - scommette il veltroniano Goffredo Bettini di non partecipare ai lavori di una Commissione di vigilanza presieduta da Villari. Magari quest’ultimo, abbandonato da tutti, si dimetterà pure. Resta, però, un problema politico irrisolto che produrrà altri guai visto che la politica non sarà precisa come la matematica ma ci si avvicina. Tutto questo «caos» nasce dai limiti di leadership di Veltroni e dalle contraddizioni della sua linea politica. Per dialogare con profitto i capi dei due schieramenti debbono rappresentare una leadership riconosciuta: in queste settimane Berlusconi promuoverà ministro della Salute Ferruccio Fazio, e al Turismo Michela Brambilla, e nessuno tra i suoi alzerà un dito: per Veltroni, invece, ogni intesa, ogni nomina si trasforma in un calvario, tutti ne contestano le decisioni.
Ma è soprattutto la linea politica che è piena di ombre. Il «ma anche» veltroniano può essere applicato a tanti argomenti, ma non si può dire: dialogo con Berlusconi, ma sono anche alleato con il campione dell’«anti-berlusconismo» Di Pietro. È una posizione spericolata, foriera di incidenti di cui però ora Veltroni è rimasto prigioniero: il congresso del Pd è virtualmente aperto, si concluderà alle elezioni europee e Veltroni per sopravvivere, per raggiungere l’agognata soglia di salvezza del 30%, non potrà lasciare troppo spazio a Di Pietro sulla sua sinistra, dovrà coccolarselo. Contemporaneamente se Veltroni non romperà definitivamente con l’ex magistrato neppure le magiche doti diplomatiche di Gianni Letta potranno dare un senso al dialogo.
Forse Zavoli farà il presidente della commissione di Vigilanza, ma inevitabilmente subito dopo si aprirà una polemica sul presidente Rai in attesa di uno scontro su qualcos’altro. È successo di nuovo ieri sulla giustizia. A un possibile accordo seguirà comunque una rottura. Così il leader del Pd continuerà a mordersi la coda fino alle Europee. Sulla Rai e non solo.
Forse Zavoli farà il presidente della commissione di Vigilanza, ma inevitabilmente subito dopo si aprirà una polemica sul presidente Rai in attesa di uno scontro su qualcos’altro. È successo di nuovo ieri sulla giustizia. A un possibile accordo seguirà comunque una rottura. Così il leader del Pd continuerà a mordersi la coda fino alle Europee. Sulla Rai e non solo.
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