Riccardo Villari è diventato un tormentone, anche se l’interesse attorno alla vicenda della presidenza della Vigilanza Rai sta piano piano affievolendosi. Tra i molti ritagli di una copiosa cartelletta traggo qui l’articolo di Antonello Caporale su “La Repubblica” di martedì 18 novembre 2008, titolo: “Dietro a Villari ci sono Velardi, Pd, il presidente del Lazio Marrazzo e Bocchino di An. Ora spuntano gli amici bipartisan, coccole e consigli all’epatologo superstar. È sempre bello leggere un po’ di storia.
Dagli amici mi guardi Iddio? Manco per idea. Gli amici lo tengono per mano e se lo coccolano e se lo girano e rigirano come una frittella imburrata: «Resta». Tutti dietro Riccardo Villari, o un passo avanti o di fianco. Intervistato nella tenuta da lavoro (jogging sul lungomare di Napoli) Claudio Velardi, assessore della giunta Bassolino che, per contingenza politica, è essa stessa un po’ di qua e un po’ di là, gli intima di resistere. «Restaaa». L’incoraggiamento di Velardi ha rinfrancato un altro campano, Italo Bocchino: «Velardi porta virtuosamente indietro l’orologio della politica». Con Bocchino siamo a due, almeno due amici. Il primo di qua; il secondo di là. Bocchino (Italo di nome) è nel meglio della carriera ed è divenuto una stella del pastone politico Rai. Molto diligente, raccoglie i suggerimenti dei colleghi più autorevoli e di ogni schieramento.
È toccato a Nicola Latorre, un altro pezzo grosso del Pd, indicargli, mentre insieme testimoniavano a Omnibus su La7 la loro visione, una mossa polemica per mettere in difficoltà il rappresentante dell’Italia dei Valori. Latorre ha scritto e Bocchino parlato: erano due ma apparivano una sola persona. E allora Villari, che sa far di conto, ha capito che non su due ma su tre amici poteva contare. Pure Latorre è dei nostri. Si era già notato che quando Latorre era stato interrogato sul caso, se l’era cavata assai brillantemente: «Villari agirà con senso di responsabilità».
Piano piano, zitto zitto, l’orizzonte mobile dell’epatologo napoletano ha come trovato un approdo e le sue dichiarazioni, da subito molto chiuse e difensive, si sono aperte alla sfida del dialogo e all’avventura del nuovo, come gli hanno insegnato Don Sturzo e De Gasperi suoi avi. La prosa si è fatta fluente e le dichiarazioni molto più problematiche. Si era partiti da un perentorio «non mi sento nemmeno presidente», dichiarazione pronunciata durante la calca del dopo elezione e quindi perturbate dallo stress, a un impegnativo «farò quello che deciderà il Pd». Col passare delle ore e l’aumento vertiginoso delle amicizie, molte più di quelle che si raccolgono su facebook, l’uomo ha mutato tono e profondità alle parole. Ha accorciato i periodi fino ad amputarli: «Io resisto».
Forte e deciso. «Sono limpido», ha aggiunto. Ed è andato a giocare a tennis. La sua attività di epatologo, molto promettente fino a che la carriera politica l’ha inghiottito, è stata conosciuta e illustrata. Anche la sua fede negli amuleti, di corna di ogni ordine, ha prodotto un moto di simpatia. Bipartisan. Marco Follini, che sta di qua ma ha un passato di là, ha inghiottito Veltroni in un sol boccone: «Chi è causa del suo mal, pianga se stesso». Villari ha preso nota e ha aggiunto un amico alla lista. E sono quattro.
Poi forse cinque, perché persino Massimo D’Alema (sta di qua, certo, nessuna paura) si è fatto intervistare dalla sua televisione, Red tv. Anche Berlusconi lo fa spesso. Sul punto D’Alema ha spiegato: «Non ho dubbi che si dimetterà». Poi ha rispiegato: «Penso che al più utilizzerà il suo mandato per fare qualcosa». Sono cinque, sono cinque gli amici!, ha esultato Villari. E che amici. L’aria si è fatta più tersa e la meta vicina. Da quella parte, cioè il centrodestra, hanno capito che Riccardo era l’uomo giusto, la testa di ponte, l’ariete, il cavallo di Troia, qualcosa di bello insomma: «Dopo Obama, Villari Clinton!» ha gridato Mario Landolfi, di Alleanza nazionale ma soprattutto campano. Strada in discesa, traguardo vicino.
Anche Piero Marrazzo il presidente della Regione Lazio, di origini campane, gli si è fatto incontro: «Il Pd rispetti le scelte compiute». Nessuno, davvero nessuno avrebbe mai potuto immaginare di più. Persino i radicali tifano per lui. Stamane Emma Bonino perorerà la causa, in difesa dell’onore istituzionale, e battaglierà fino allo stremo nella riunione dei senatori chiamata a comminare la pena capitale per il senatore democristiano.
Ma come sarà possibile espellere Villari? Ieri faceva tenerezza Marco Pannella, l’unico a non volerci credere, a non voler scommettere nelle capacità e nelle amicizie di cui godrà Villari. Pannela s’è incaponito a fare uno sciopero della sete, una cosa volante, d’emergenza davvero, per lasciare attaccato Villari alla poltrona. I suoi, nella sede del partito di Torre Argentina, ad ammonirlo: «Guarda che lo sciopero è sprecato. Lui non ha proprio voglia di levare le tende». Non ne ha.
Dagli amici mi guardi Iddio? Manco per idea. Gli amici lo tengono per mano e se lo coccolano e se lo girano e rigirano come una frittella imburrata: «Resta». Tutti dietro Riccardo Villari, o un passo avanti o di fianco. Intervistato nella tenuta da lavoro (jogging sul lungomare di Napoli) Claudio Velardi, assessore della giunta Bassolino che, per contingenza politica, è essa stessa un po’ di qua e un po’ di là, gli intima di resistere. «Restaaa». L’incoraggiamento di Velardi ha rinfrancato un altro campano, Italo Bocchino: «Velardi porta virtuosamente indietro l’orologio della politica». Con Bocchino siamo a due, almeno due amici. Il primo di qua; il secondo di là. Bocchino (Italo di nome) è nel meglio della carriera ed è divenuto una stella del pastone politico Rai. Molto diligente, raccoglie i suggerimenti dei colleghi più autorevoli e di ogni schieramento.
È toccato a Nicola Latorre, un altro pezzo grosso del Pd, indicargli, mentre insieme testimoniavano a Omnibus su La7 la loro visione, una mossa polemica per mettere in difficoltà il rappresentante dell’Italia dei Valori. Latorre ha scritto e Bocchino parlato: erano due ma apparivano una sola persona. E allora Villari, che sa far di conto, ha capito che non su due ma su tre amici poteva contare. Pure Latorre è dei nostri. Si era già notato che quando Latorre era stato interrogato sul caso, se l’era cavata assai brillantemente: «Villari agirà con senso di responsabilità».
Piano piano, zitto zitto, l’orizzonte mobile dell’epatologo napoletano ha come trovato un approdo e le sue dichiarazioni, da subito molto chiuse e difensive, si sono aperte alla sfida del dialogo e all’avventura del nuovo, come gli hanno insegnato Don Sturzo e De Gasperi suoi avi. La prosa si è fatta fluente e le dichiarazioni molto più problematiche. Si era partiti da un perentorio «non mi sento nemmeno presidente», dichiarazione pronunciata durante la calca del dopo elezione e quindi perturbate dallo stress, a un impegnativo «farò quello che deciderà il Pd». Col passare delle ore e l’aumento vertiginoso delle amicizie, molte più di quelle che si raccolgono su facebook, l’uomo ha mutato tono e profondità alle parole. Ha accorciato i periodi fino ad amputarli: «Io resisto».
Forte e deciso. «Sono limpido», ha aggiunto. Ed è andato a giocare a tennis. La sua attività di epatologo, molto promettente fino a che la carriera politica l’ha inghiottito, è stata conosciuta e illustrata. Anche la sua fede negli amuleti, di corna di ogni ordine, ha prodotto un moto di simpatia. Bipartisan. Marco Follini, che sta di qua ma ha un passato di là, ha inghiottito Veltroni in un sol boccone: «Chi è causa del suo mal, pianga se stesso». Villari ha preso nota e ha aggiunto un amico alla lista. E sono quattro.
Poi forse cinque, perché persino Massimo D’Alema (sta di qua, certo, nessuna paura) si è fatto intervistare dalla sua televisione, Red tv. Anche Berlusconi lo fa spesso. Sul punto D’Alema ha spiegato: «Non ho dubbi che si dimetterà». Poi ha rispiegato: «Penso che al più utilizzerà il suo mandato per fare qualcosa». Sono cinque, sono cinque gli amici!, ha esultato Villari. E che amici. L’aria si è fatta più tersa e la meta vicina. Da quella parte, cioè il centrodestra, hanno capito che Riccardo era l’uomo giusto, la testa di ponte, l’ariete, il cavallo di Troia, qualcosa di bello insomma: «Dopo Obama, Villari Clinton!» ha gridato Mario Landolfi, di Alleanza nazionale ma soprattutto campano. Strada in discesa, traguardo vicino.
Anche Piero Marrazzo il presidente della Regione Lazio, di origini campane, gli si è fatto incontro: «Il Pd rispetti le scelte compiute». Nessuno, davvero nessuno avrebbe mai potuto immaginare di più. Persino i radicali tifano per lui. Stamane Emma Bonino perorerà la causa, in difesa dell’onore istituzionale, e battaglierà fino allo stremo nella riunione dei senatori chiamata a comminare la pena capitale per il senatore democristiano.
Ma come sarà possibile espellere Villari? Ieri faceva tenerezza Marco Pannella, l’unico a non volerci credere, a non voler scommettere nelle capacità e nelle amicizie di cui godrà Villari. Pannela s’è incaponito a fare uno sciopero della sete, una cosa volante, d’emergenza davvero, per lasciare attaccato Villari alla poltrona. I suoi, nella sede del partito di Torre Argentina, ad ammonirlo: «Guarda che lo sciopero è sprecato. Lui non ha proprio voglia di levare le tende». Non ne ha.
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