mercoledì 26 novembre 2008

La lobby anti-Gelmini

Cristiana Lodi sull’edizione milanese di “Libero”, oggi, ci spiega molte cose sul “sordo rancore” che cova dietro le piccole modifiche introdotte sull’università dal ministro Gelmini. Occhiello: “Università da rifare. Il cambio. Oggi le commissioni di concorso per il reclutamento dei docenti vengono elette dai docenti stessi. L’idea del ministro è passare al sorteggio per evitare brogli”. Titolo: “Quelli che affossano. L’elenco dei parlamentari anti-Gelmini”. Sottotitolo: “Sono professori universitari di destra e di sinistra decisi a difendere i loro privatissimi privilegi”.
Questo il decreto Gelmini in sintesi:
Stanziamenti – Cinquecento milioni per le università virtuose, 135 milioni per le borse di studio. 65 milioni per alloggi e residenze universitarie.
I concorsi – Le commissioni giudicatrici saranno composte da un professore ordinario nominato dalla facoltà e da 4 professori ordinari sorteggiati.
Meritocrazia - Gli atenei con bilanci critici non potranno assumere personale e verranno esclusi dalla ripartizione dei fondi relativi al piano straordinario di assunzione dei ricercatori per gli anni 2008 e 2009.
Borse di studio – Lo stanziamento di altri 135 milioni di euro permetterà di poter dare una borsa di studio a tutti i circa 180 mila ragazzi che ne hanno diritto. Fino ad oggi riuscivano ad ottenerla solo 140.000 studenti.
I ricercatori – Previsti 4mila posti in più per i ricercatori grazie a un investimento di 150 milioni. L’obiettivo è quello di diminuire l’età media dei docenti. Almeno il 60% delle assunzioni dovranno essere riservate a nuovi ricercatori. Gli atenei che non tratterranno i docenti con più di 70 anni potranno raddoppiare il numero dei posti per ricercatori.
Vediamo il testo dell’articolo:

Perché le modifiche minime introdotte dal decreto Gelmini sull’Università continuano a suscitare il rancore sordo della parte gerarchicamente più alta del mondo accademico? Perché hanno aizzato la guerra emendatoria di senatori e deputati di centrosinistra e centrodestra, fino ad accumulare oltre 140 varianti al testo di legge soltanto in commissione al Senato? Come è possibile che le assunzioni accademiche (dall’ordinario fino all’ultimo ricercatore) aggreghino tanti interessi?
Levata di scudi.
La levata di scudi si spiega se si guardano le dinamiche di potere interne al sistema accademico, dove le assunzioni non sono occasioni per utilizzare risorse umane in funzione del raggiungimento di obiettivi di ricerca e di formazione. Sono piuttosto semplici rendite da gestire e posizioni decisionali da controllare. In una totale autoreferenzialità del settore, infatti, le decisioni vengono assunte in modo collegiale e per voto. Va da sé che, per un barone, assumere una “capra” affiliata alla propria baronia sia sempre meglio che assumere uno studioso capace, ma che si esprime e vota in modo autonomo. Oggi le commissioni per il reclutamento di professori e ricercatori, vengono elette dai docenti stessi. All’interno di una logica di scambi e favori. Quando un ateneo bandisce un concorso, il presidente della commissione è nominato dall’ateneo stesso e fa in modo di essere affiancato da docenti amici, eletti spesso con pochi voti. Nessuno, infatti, va a intaccare i giochi degli altri: c’è un accordo non scritto che divide il sistema accademico in feudi in cui ciascuno assume chi vuole. Il nuovo entrato viene stipendiato con soldi pubblici, senza che nessuno controlli i risultati ottenuti. Tant’è che se questi decidesse di starsene seduto in un sottoscala a far niente, nessuno gliene chiederebbe conto. Così come passerebbe inosservata l’inesistenza di pubblicazioni successive alla sua assunzione.
A questo si aggiunge che, per i soli ricercatori, la commissione è composta da un ordinario (nominato dall’Università che bandisce il posto), da un associato e da un ricercatore. Questi dipendono totalmente dagli ordinari, che sono arbitri dei loro successivi passaggi di carriera. È ovvio che i due membri subordinati non contano nulla.
Non solo, oggi la valutazione dei candidati avviene sulla base di prove scritte e orali che sono manipolabili. Titoli e pubblicazioni, attività di ricerca e anni di docenza, partecipazione a progetti internazionali e congressi, sono valutati a pura discrezione dei commissari. Il sistema accademico, così com’è impostato oggi non prevede criterio oggettivi, né punteggi.
Per alcuni bandi di concorso è addirittura previsto il limite "massimo" (magari tre) di pubblicazioni. Diciamo "massimo", non minino come logica vorrebbe.
Per effetto di questo meccanismo, pienamente garantito dalla normativa vigente che la Gelmini vuole soppiantare, autori di tre articoletti avallati soltanto dal giudizio insindacabile del barone amico (o parente) sono stati assunti al posto di persone che hanno alle spalle decine e decine di pubblicazioni internazionali. O magari anni di attività di ricerca e di docenza con contratti a termine.
Non c’è nemmeno una graduatoria finale fra i partecipanti. Gli scritti non vengono resi pubblici. L’accesso agli atti è consentito solo dopo un azione legale. Il decreto 180, nella sua versione originaria, prevede che le commissioni siano formate con un meccanismo di sorteggio. Questo elemento spariglia le carte e rende i giochi molto più difficili. Il cosiddetto “sorteggio puro” chiama in causa tutti i docenti di una determinata disciplina e introduce l’idea che la partecipazione alle commissioni faccia parte delle attività a cui un docente non può sottrarsi. Proprio per questo il meccanismo del sorteggio è oggetto di critiche, attacchi e emendamenti da più parti. Se il sorteggio avviene fra tutti gli ordinari di un settore per la formazione delle commissioni, chi è estratto viene assegnato al concorso bandito in una università che non è la sua, con un ampio rimescolamento di carte.
Antiriforma.
Leggiamo per esempio quanto dichiara, non a caso, al senato Maria Pia Garavaglia (Pd): «Il meccanismo di reclutamento previsto non è ottimale. Il sistema del sorteggio dei docenti nelle commissioni di concorso testimonia l’assoluta mancanza di coraggio nella scelta dei candidati migliori».
Dello stesso tono “antiriforma” le affermazioni del suo compagno di partito Antonio Rusconi che vuole il ritiro del decreto: «Il sorteggio era già applicato ai tempi del ministro Fontana, a metà degli anni Ottanta, ma fu superato alla luce dei discutibili risultati che conseguiva. I1 decreto 180 deve essere ritirato a favore di un disegno di legge ordinario».
Fra gli altri, è stato presentato un emendamento che prevede che il sorteggio avvenga all’interno di una “rosa” di professori necessari per formare una commissione. Inquietante il numero: soltanto il triplo o addirittura soltanto il doppio. Il bizantinismo del sistema misto elezione-sorteggio è una escamotage per fare largo agli accordi e lasciare intatto lo status quo. Se per formare una commissione per un concorso da ricercatore servono due ordinari, qualora passasse questo emendamento, occorrerà eleggerne quattro. Di questi, due saranno sorteggiati e andranno a svolgere il ruolo di commissari. È chiaro che risulterebbe molto semplice fare eleggere quattro amici (solo quattro) e riuscire così a pilotare il concorso. Per mantenere la situazione di comodo di oggi, perfino il relatore del disegno sembra avere qualche perplessità, Giuseppe Valditara (Pdl) ha detto: «Manifesto perplessità sulla previsione di eleggere un triplo dei commissari, atteso che un coinvolgimento così ampio non risulta concretamente possibile. Non a caso è stato previsto il ricorso a settori affini per consentire un’ordinata gestione delle procedure. Sarebbe preferibile l’elezione di un numero di commissari non più che doppio». E aggiunge il presidente della commissione Istruzione al senato Guido Possa: «È preferibile l’elezione del doppio dei commissari, in luogo del triplo, atteso che in alcuni settori disciplinari i docenti risultano di numero insufficiente». I sostenitori di questa modifica del decreto affermano che, per alcuni settori scientifico disciplinari piccoli, il numero totale degli ordinari non è sufficiente per formare tutte le commissioni.
In realtà il 180 prevede il ricorso a professori di settori scientifico disciplinari affini. Cosa già definita per legge, in uno specifico allegato al decreto ministeriale del 4 ottobre 2000. L’altro punto sul quale si sono scatenati gli oppositori della riforma è l’eliminazione delle prove scritte e orali nei concorsi per ricercatore: le prove oggi più manipolabili e arbitrarie. Gli argomenti, infatti, vengono ritagliati sulle caratteristiche e sulla preparazione del candidato favorito. Il decreto introduce la necessità di fissare criteri oggettivi per la valutazione dei candidati. E criteri di trasparenza delle valutazioni. Ovvio che disturbi.

L’elenco.
I numeri - I professori universitari ordinari eletti al Senato sono complessivamente 33, dei quali 17 sono del PdL, 15 del Pd e uno dell’Italia dei Valori. Tra i banchi della Lega Nord non siedono docenti universitari, né a Montecitorio, né a Palazzo Madama.
I nomi - Tra i senatori sono professori ordinari Maria Pia Garavaglia (Pd), Vittoria Franco (Pd), Mauro Ceruti (Pd), gli ex ministri Paolo de Castro e Tiziano Treu, Adriana Poli Bortone (PdL), Marcello Pera (PdL). Rosy Bindi è ricercatrice.
Il ministro ombra - Il ministro per l’Università del governo ombra del Partito democratico è Luciano Modica, professore ordinario di analisi matematica all’Università di Pisa. Nello stesso ateneo è stato prima Direttore di dipartimento e poi rettore (dal 1993 al 2002). Dal 1998 al 2002 è stato presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (Crui).
Montecitorio - I docenti universitari eletti alla Camera sono complessivamente 39, dei quali tre dell’Udc, due dell’Italia dei Valori, quattordici del PdL e venti del Pd.
A sinistra - Fra i deputati del centrosinistra sono professori ordinari Sergio D’Antoni, Arturo Parisi, Roberto Zaccaria, Pasquale Ciriello (rettore dell’Università Orientale di Napoli, 102 ordinari, 107 associati), Eugenio Mazzarella (preside della Facoltà di lettere dell’Università Federico II di Napoli. Complessivamente, i quattro atenei di Napoli contano 1.335 ordinari, 1.310 associati e 1.916 ricercatori).
In commissione - Secondo Mariapia Garavaglia (Pd) «il meccanismo di reclutamento previsto non è ottimale. II sistema del sorteggio dei docenti nelle commissioni di concorso testimonia l’assoluta mancanza di coraggio nella scelta dei candidati migliori». Dello stesso parere anche il collega di partito Antonio Rusconi: «Al sorteggio era già applicato ai tempi del ministro Fontana, a metà degli anni Ottanta, ma fu superato alla luce dei discutibili risultati che conseguiva. Il ricorso ai settori affini non risolve appieno le difficoltà di composizione delle commissioni secondo il sistema previsto dal decreto. Il decreto 180 deve essere ritirato a favore di un disegno di legge ordinario».

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