Su “Il Riformista” questa mattina un’intervista di Stefano Cappellini a Piero Fassino. Titolo: “Fassino ammonisce Rutelli e gli ex Ppi: «Sul Pse vedo all`opera troppi nostalgici»”. Sottotitolo: “L’ex segretario della Quercia contesta la riduzione del dibattito allo scontro tra "Massimo" e "Walter" e si sofferma sulla collocazione europea: «Qualcuno pensa che il Pd in Europa sia più forte da solo? Se confermiamo il risultato delle politiche saremo la seconda forza del gruppo».
Appena uscito da tre ore di riunione di coordinamento del Pd Piero Fassino si mette in macchina diretto a Pescara per la campagna elettorale abruzzese. Al telefono l’umore dell’ex segretario ds non sembra dei migliori, ma lui assicura invece che l’incontro al vertice è stato utile e proficuo. «C’è la diffusa consapevolezza - spiega - che serve un salto di qualità anche nel modo di gestire il nostro dibattito interno, occorre un partito che fa squadra con un grado maggiore di solidarietà e coesione».
E i fautori del congresso subito? «Le loro sono opinioni utili e interessanti, ma il congresso si farà nella seconda parte del 2009. C’è stato un appello di Veltroni condiviso da tutti e la discussione si è concentrata su come affrontare gli appuntamenti politici che abbiamo di fronte: le strategie anti-recessione, la preparazione della conferenza programmatica come sede e luogo per rilanciare il profilo riformista del Pd e la preparazione delle elezioni amministrative ed europee. Il 65 per cento degli enti locali dove si voterà l’anno prossimo sono governati da noi, quindi è un test particolarmente impegnativo.»
La guerra Veltroni-D’Alema si chiude con l’ennesima tregua? «Io in questa dialettica non mi riconosco. Mi chiamo Piero Fassino, ho le mie idee e non capisco perché bisogna far credere che il dibattito interno al Pd si esaurisca nelle posizioni riferibili a quelle due personalità. Peraltro si parla di una guerra che dura dal 1994 o addirittura da prima. Falso. Nei sette anni in cui sono stato segretario dei Ds non ce n`è stata traccia. Facciamola finita con questa caricatura degli Orazi e dei Curiazi.»
Ma non se le saranno mica inventate i giornali le accuse reciproche di sabotaggio e di mancanza di democrazia interna? «Sui media si sono ingigantiti dei particolari per imbastire un processo alla dirigenza.»
Possibile non ci sia stato alcun errore della leadership? «Ma certo, chi non fa errori? I direttori dei giornali non sbagliano?»
Ovvio, poi però si può riconoscere l’errore. «Non succede mai. I giornali sono gli ultimi a poter scagliare la prima pietra.»
Resta il fatto che molti esponenti continuano a parlare di due Pd, l’un contro l’altro armato sul tema delle alleanze. «1l vecchio Parlamento aveva 39 partiti e 17 gruppi. Il nuovo ne ha sei. La discussione sulle alleanze non è tra chi le vuole e chi non le vuole, ma verte sul come farle in questo nuovo scenario. La vocazione maggioritaria non significa solitudine. In una geografia a sei partiti si costruiranno alleanze di centrosinistra con l’Udc, o con Di Pietro, o con tutti e due. Si vedrà, mettere le brache al mondo mi pare inutile.»
Collocazione europea. Rutelli e gli ex popolari dicono no al Pse. «Non ho apprezzato il modo nostalgico con cui Fioroni e altri hanno affrontato l’argomento. Questa è una discussione delicata e complessa, non servono rigidità pregiudiziali, perché diktat chiama diktat. Qui sono possibili due approcci molto diversi. Uno di natura ideologica, di chi si chiede a quale sistema valoriale il Pd deve aderire in Europa. Ed è sbagliato: non si può chiedere a un popolare di essere socialdemocratico, così come non si può chiedere a me socialdemocratico di diventare popolare. Poi c’è un approccio politico. Il Pd nasce per unire i riformisti e per concorrere a un analogo processo di unificazione su scala europea. Qual è il luogo in cui si riconosce gran parte del riformismo europeo? La famiglia socialista. Io non propongo l`adesione al Pse, ma un accordo strategico, finalizzato a costruire un campo riformista più ampio. A cominciare dalla formazione a Strasburgo di un nuovo gruppo parlamentare, che possa chiamarsi "dei socialisti e dei democratici".»
Impensabile stare da soli e indicare così la via agli altri? «Che grado di influenza avrebbe il Pd da solo a Strasburgo? Invece, se confermeremo alle europee il risultato delle politiche, la delegazione italiana sarà la seconda o terza forza di tutto il campo progressista, in grado dunque di pesare in modo significativo nella vita di una grande gruppo.»
La sconfitta al congresso socialista di Ségolène Royal, che vuole allearsi con il moderato centrista Bayrou, non aiuta il Pd a esportare il suo modello in Europa. «Ma metà del partito è con Ségolène e questo non è un dibattito che può chiudersi insieme al voto congressuale.»
Ci sono polemiche in vista anche sulla firma che a dicembre lei metterà in calce al manifesto del Pse. «Firmerò quel manifesto perché sono tra coloro che a suo tempo furono incaricati di redigerlo. Ma questo non sarà un tema di conflitto, perché faccio parte anche del gruppo che sta scrivendo il manifesto europeo del Pd, dal quale si evincerà quanto i due testi siano convergenti per spirito e proposte.»
Qualcuno dice che il Pd dovrebbe guardare solo ai democratici americani. «Un riferimento puramente politico. I democratici americani possono permettersi di non far parte di nessuna famiglia internazionale perché sono rappresentativi di un paese che si chiama Stati Uniti d’America. Detto questo, negli ultimi anni il rapporto tra il Pse e i democrats si è molto intensificato.»
Ultima domanda: è possibile che le europee, in caso di risultato negativo, diventino il capolinea del Pd? «Spero di no, perché penso che il Pd sia una scelta irreversibile. Dopo la sconfitta elettorale ho girato in lungo e largo l’Italia e ho sentito tanti argomenti, ma non uno solo che abbia detto “torniamo indietro”.»
Appena uscito da tre ore di riunione di coordinamento del Pd Piero Fassino si mette in macchina diretto a Pescara per la campagna elettorale abruzzese. Al telefono l’umore dell’ex segretario ds non sembra dei migliori, ma lui assicura invece che l’incontro al vertice è stato utile e proficuo. «C’è la diffusa consapevolezza - spiega - che serve un salto di qualità anche nel modo di gestire il nostro dibattito interno, occorre un partito che fa squadra con un grado maggiore di solidarietà e coesione».
E i fautori del congresso subito? «Le loro sono opinioni utili e interessanti, ma il congresso si farà nella seconda parte del 2009. C’è stato un appello di Veltroni condiviso da tutti e la discussione si è concentrata su come affrontare gli appuntamenti politici che abbiamo di fronte: le strategie anti-recessione, la preparazione della conferenza programmatica come sede e luogo per rilanciare il profilo riformista del Pd e la preparazione delle elezioni amministrative ed europee. Il 65 per cento degli enti locali dove si voterà l’anno prossimo sono governati da noi, quindi è un test particolarmente impegnativo.»
La guerra Veltroni-D’Alema si chiude con l’ennesima tregua? «Io in questa dialettica non mi riconosco. Mi chiamo Piero Fassino, ho le mie idee e non capisco perché bisogna far credere che il dibattito interno al Pd si esaurisca nelle posizioni riferibili a quelle due personalità. Peraltro si parla di una guerra che dura dal 1994 o addirittura da prima. Falso. Nei sette anni in cui sono stato segretario dei Ds non ce n`è stata traccia. Facciamola finita con questa caricatura degli Orazi e dei Curiazi.»
Ma non se le saranno mica inventate i giornali le accuse reciproche di sabotaggio e di mancanza di democrazia interna? «Sui media si sono ingigantiti dei particolari per imbastire un processo alla dirigenza.»
Possibile non ci sia stato alcun errore della leadership? «Ma certo, chi non fa errori? I direttori dei giornali non sbagliano?»
Ovvio, poi però si può riconoscere l’errore. «Non succede mai. I giornali sono gli ultimi a poter scagliare la prima pietra.»
Resta il fatto che molti esponenti continuano a parlare di due Pd, l’un contro l’altro armato sul tema delle alleanze. «1l vecchio Parlamento aveva 39 partiti e 17 gruppi. Il nuovo ne ha sei. La discussione sulle alleanze non è tra chi le vuole e chi non le vuole, ma verte sul come farle in questo nuovo scenario. La vocazione maggioritaria non significa solitudine. In una geografia a sei partiti si costruiranno alleanze di centrosinistra con l’Udc, o con Di Pietro, o con tutti e due. Si vedrà, mettere le brache al mondo mi pare inutile.»
Collocazione europea. Rutelli e gli ex popolari dicono no al Pse. «Non ho apprezzato il modo nostalgico con cui Fioroni e altri hanno affrontato l’argomento. Questa è una discussione delicata e complessa, non servono rigidità pregiudiziali, perché diktat chiama diktat. Qui sono possibili due approcci molto diversi. Uno di natura ideologica, di chi si chiede a quale sistema valoriale il Pd deve aderire in Europa. Ed è sbagliato: non si può chiedere a un popolare di essere socialdemocratico, così come non si può chiedere a me socialdemocratico di diventare popolare. Poi c’è un approccio politico. Il Pd nasce per unire i riformisti e per concorrere a un analogo processo di unificazione su scala europea. Qual è il luogo in cui si riconosce gran parte del riformismo europeo? La famiglia socialista. Io non propongo l`adesione al Pse, ma un accordo strategico, finalizzato a costruire un campo riformista più ampio. A cominciare dalla formazione a Strasburgo di un nuovo gruppo parlamentare, che possa chiamarsi "dei socialisti e dei democratici".»
Impensabile stare da soli e indicare così la via agli altri? «Che grado di influenza avrebbe il Pd da solo a Strasburgo? Invece, se confermeremo alle europee il risultato delle politiche, la delegazione italiana sarà la seconda o terza forza di tutto il campo progressista, in grado dunque di pesare in modo significativo nella vita di una grande gruppo.»
La sconfitta al congresso socialista di Ségolène Royal, che vuole allearsi con il moderato centrista Bayrou, non aiuta il Pd a esportare il suo modello in Europa. «Ma metà del partito è con Ségolène e questo non è un dibattito che può chiudersi insieme al voto congressuale.»
Ci sono polemiche in vista anche sulla firma che a dicembre lei metterà in calce al manifesto del Pse. «Firmerò quel manifesto perché sono tra coloro che a suo tempo furono incaricati di redigerlo. Ma questo non sarà un tema di conflitto, perché faccio parte anche del gruppo che sta scrivendo il manifesto europeo del Pd, dal quale si evincerà quanto i due testi siano convergenti per spirito e proposte.»
Qualcuno dice che il Pd dovrebbe guardare solo ai democratici americani. «Un riferimento puramente politico. I democratici americani possono permettersi di non far parte di nessuna famiglia internazionale perché sono rappresentativi di un paese che si chiama Stati Uniti d’America. Detto questo, negli ultimi anni il rapporto tra il Pse e i democrats si è molto intensificato.»
Ultima domanda: è possibile che le europee, in caso di risultato negativo, diventino il capolinea del Pd? «Spero di no, perché penso che il Pd sia una scelta irreversibile. Dopo la sconfitta elettorale ho girato in lungo e largo l’Italia e ho sentito tanti argomenti, ma non uno solo che abbia detto “torniamo indietro”.»
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