“Partiti modello Lega” è un interessante commento sulla realtà partitica italiana di Luigi La Spina oggi su “La Stampa”. Scrive La Spina:
Bossi non ha ancora vinto, perché il cammino verso la trasformazione dell’Italia in uno Stato federale è lungo e accidentato. Ma già può inorgoglirsi di un risultato, forse da lui imprevisto e sicuramente da tanti imprevedibile, quello di aver imposto a un po’ tutti i partiti italiani il modello della sua Lega.
Fermiamoci un momento a raccogliere le immagini che in questi giorni offre la politica di casa nostra.
La domanda è immediata: che razza di partiti abbiamo in Italia? È certamente vero che le ideologie, feticci distintivi del Novecento, non ne marcano più né le identità, né i confini. Ma il via-vai sul tradizionale asse della destra e della sinistra delle nostre forze politiche negli ultimi tempi è tale da rendere una sfida impossibile quella di tentare un, sia pure approssimativo, allineamento logico. Perché Di Pietro sia finito all’estrema sinistra o Fini si batta con vigore contro la Lega per non chiudere la porta agli immigrati, ad esempio, è del tutto misterioso.
Per non parlare, poi, della velocità con cui svolte epocali, improntate a inaugurare stagioni storiche della nostra politica, si rivelino, dopo pochi mesi, fuochi fatui di scenari immaginari. Le recenti elezioni avevano illuso su un risultato che sembrava incontrovertibile: il sostanziale bipartitismo raggiunto dal nostro sistema. Ora, a sinistra, non solo quel gruppo unico parlamentare «Democratici-Italia dei valori», promesso prima del voto, è stato subito rinnegato, ma si è sfasciata clamorosamente l’alleanza, prima in una quotidiana polemica reciproca e, poi, in quella farsa ridicola e penosa a cui siamo costretti ad assistere sul caso della Vigilanza Rai. A destra, solo il cemento del potere impedisce che, per la sorte degli scali aerei, per la «messa in prova» dei detenuti, per i flussi immigratori, i contrasti nella maggioranza si allarghino pericolosamente. Con l’effetto che il percorso verso un vero partito unico tra Fi e An si allunga sempre di più.
Se neanche la personalità del leader, a partire dalla più forte, quella di Berlusconi, riesce a unificare la fisionomia delle nostre forze politiche, smentendo la tesi, che pure sembrava illuminante, di una nuova realtà, quella del moderno «partito personale», bisogna concludere che esse abbiano esaurito la loro funzione di rappresentanza dei cittadini, almeno in una democrazia come la nostra? Prima di proclamare troppo frettolosamente il loro decesso, forse è il caso di non trascurare, invece, la forza crescente dei partiti italiani quando riescono a difendere gli interessi concreti di un territorio. Perché solo sul territorio se ne riconoscono chiaramente i confini, si capiscono quali gruppi sociali li sostengano e quali li combattano e, spesso, solo dal territorio possono emergere anche le nuove leadership. A quest’ultimo proposito, è evidente, tra l’altro, l’impressione che l’esperienza di sindaco o di governatore regionale prometta un cursus honorum più rapido e più sicuro della navigazione parlamentare e, persino, di quella ministeriale.
Se si guarda la vera mappa politica dell’Italia d’oggi il fenomeno è evidentissimo. A parte il dilagante successo della Lega di Bossi nell’Italia del Nord, il centrosinistra è ormai ridotto a una Lega del Centro, con qualche residua presenza, all’estremo Ovest e all’estremo Est, dell’eredità operaista di città come Torino, Genova e Venezia-Marghera.
A destra, è significativo l’allarme con cui il presidente di una Regione importante come il Veneto, Giancarlo Galan, incita Forza Italia a trasformarsi in una «Forza Veneto», unica soluzione per non essere sconfitti dall’impetuosa avanzata delle armate bossiane.
Nel Centro-Sud, quella mappa è altrettanto rivelatrice. Sul sindaco di Roma, Gianni Alemanno, si sta definendo la nuova identità di An e degli interessi da lui rappresentati. Un partito dal quale Fini sembra sempre più distaccato, nella corsa alla sfida per l’eredità berlusconiana dell’intera area moderata. La battaglia per la difesa di Fiumicino nella vicenda Alitalia, anche attraverso imprevedibili alleanze trasversali, potrebbe trovare il primo cittadino della capitale in una posizione ideale per la sua crescita di leadership tra gli elettori e di forza tra gli iscritti. Nel Sud, l’alleanza del centrodestra con l’Mpa di Raffaele Lombardo non solo si è rivelata preziosa dal punto di vista elettorale, ma si è dimostrata condizionante per il governo di città importanti come Catania e per quello di Regioni fondamentali come la Sicilia.
Questa tendenza, poi, verso il cosiddetto «partito territoriale» è destinata a crescere se, com’è ormai scontato, nemmeno per le elezioni europee, in cui non vale l’alibi della governabilità, sarà possibile, per i cittadini, scegliere il proprio rappresentante. Con le liste bloccate, l’unico vero rapporto di fiducia che è concesso all’elettore è quello con il proprio sindaco o con il proprio presidente di Regione. È l’unica libertà di scelta che resta agli italiani. E loro la faranno valere sempre di più.
Bossi non ha ancora vinto, perché il cammino verso la trasformazione dell’Italia in uno Stato federale è lungo e accidentato. Ma già può inorgoglirsi di un risultato, forse da lui imprevisto e sicuramente da tanti imprevedibile, quello di aver imposto a un po’ tutti i partiti italiani il modello della sua Lega.
Fermiamoci un momento a raccogliere le immagini che in questi giorni offre la politica di casa nostra.
La domanda è immediata: che razza di partiti abbiamo in Italia? È certamente vero che le ideologie, feticci distintivi del Novecento, non ne marcano più né le identità, né i confini. Ma il via-vai sul tradizionale asse della destra e della sinistra delle nostre forze politiche negli ultimi tempi è tale da rendere una sfida impossibile quella di tentare un, sia pure approssimativo, allineamento logico. Perché Di Pietro sia finito all’estrema sinistra o Fini si batta con vigore contro la Lega per non chiudere la porta agli immigrati, ad esempio, è del tutto misterioso.
Per non parlare, poi, della velocità con cui svolte epocali, improntate a inaugurare stagioni storiche della nostra politica, si rivelino, dopo pochi mesi, fuochi fatui di scenari immaginari. Le recenti elezioni avevano illuso su un risultato che sembrava incontrovertibile: il sostanziale bipartitismo raggiunto dal nostro sistema. Ora, a sinistra, non solo quel gruppo unico parlamentare «Democratici-Italia dei valori», promesso prima del voto, è stato subito rinnegato, ma si è sfasciata clamorosamente l’alleanza, prima in una quotidiana polemica reciproca e, poi, in quella farsa ridicola e penosa a cui siamo costretti ad assistere sul caso della Vigilanza Rai. A destra, solo il cemento del potere impedisce che, per la sorte degli scali aerei, per la «messa in prova» dei detenuti, per i flussi immigratori, i contrasti nella maggioranza si allarghino pericolosamente. Con l’effetto che il percorso verso un vero partito unico tra Fi e An si allunga sempre di più.
Se neanche la personalità del leader, a partire dalla più forte, quella di Berlusconi, riesce a unificare la fisionomia delle nostre forze politiche, smentendo la tesi, che pure sembrava illuminante, di una nuova realtà, quella del moderno «partito personale», bisogna concludere che esse abbiano esaurito la loro funzione di rappresentanza dei cittadini, almeno in una democrazia come la nostra? Prima di proclamare troppo frettolosamente il loro decesso, forse è il caso di non trascurare, invece, la forza crescente dei partiti italiani quando riescono a difendere gli interessi concreti di un territorio. Perché solo sul territorio se ne riconoscono chiaramente i confini, si capiscono quali gruppi sociali li sostengano e quali li combattano e, spesso, solo dal territorio possono emergere anche le nuove leadership. A quest’ultimo proposito, è evidente, tra l’altro, l’impressione che l’esperienza di sindaco o di governatore regionale prometta un cursus honorum più rapido e più sicuro della navigazione parlamentare e, persino, di quella ministeriale.
Se si guarda la vera mappa politica dell’Italia d’oggi il fenomeno è evidentissimo. A parte il dilagante successo della Lega di Bossi nell’Italia del Nord, il centrosinistra è ormai ridotto a una Lega del Centro, con qualche residua presenza, all’estremo Ovest e all’estremo Est, dell’eredità operaista di città come Torino, Genova e Venezia-Marghera.
A destra, è significativo l’allarme con cui il presidente di una Regione importante come il Veneto, Giancarlo Galan, incita Forza Italia a trasformarsi in una «Forza Veneto», unica soluzione per non essere sconfitti dall’impetuosa avanzata delle armate bossiane.
Nel Centro-Sud, quella mappa è altrettanto rivelatrice. Sul sindaco di Roma, Gianni Alemanno, si sta definendo la nuova identità di An e degli interessi da lui rappresentati. Un partito dal quale Fini sembra sempre più distaccato, nella corsa alla sfida per l’eredità berlusconiana dell’intera area moderata. La battaglia per la difesa di Fiumicino nella vicenda Alitalia, anche attraverso imprevedibili alleanze trasversali, potrebbe trovare il primo cittadino della capitale in una posizione ideale per la sua crescita di leadership tra gli elettori e di forza tra gli iscritti. Nel Sud, l’alleanza del centrodestra con l’Mpa di Raffaele Lombardo non solo si è rivelata preziosa dal punto di vista elettorale, ma si è dimostrata condizionante per il governo di città importanti come Catania e per quello di Regioni fondamentali come la Sicilia.
Questa tendenza, poi, verso il cosiddetto «partito territoriale» è destinata a crescere se, com’è ormai scontato, nemmeno per le elezioni europee, in cui non vale l’alibi della governabilità, sarà possibile, per i cittadini, scegliere il proprio rappresentante. Con le liste bloccate, l’unico vero rapporto di fiducia che è concesso all’elettore è quello con il proprio sindaco o con il proprio presidente di Regione. È l’unica libertà di scelta che resta agli italiani. E loro la faranno valere sempre di più.
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