Ultimi due articoli di oggi sulla vicenda della Vigilanza Rai che tiene banco nelle cronache. “Panem et circenses”. Quando manca il pane l’avanspettacolo può far dimenticare la fame. Il primo è tratto da “La Stampa” ed è di Paolo Festuccia: “Villari tira dritto «Ora cambiamo i vertici della Rai». Zavoli: sulla graticola non ci starò più di tanto”.
Riccardo Villari fa sul serio. E nonostante gli anatemi del Partito democratico ha convocato per oggi alle 14 la prima riunione dell’ufficio di presidenza della Vigilanza Rai. «Un atto dovuto» - spiega il senatore napoletano. Certamente. «Visto che da mesi - sostiene - si deve disciplinare il regolamento elettorale per le elezioni abruzzesi». Ma anche l’opportunità per ribadire - a chi ancora non lo avesse ben chiaro - che sarà difficile schiodarlo da quella poltrona. Una poltrona strategica, perché strategica è la contesa finale, ovvero la conquista dei posti e delle nomine per il cda di viale Mazzini. Ed è qui, che si gioca la grande partita. Una partita, che Riccardo Villari non sembra voler mollare ma che anzi vorrebbe arbitrare, cominciando con l’audizione dei direttori dei Tg Rai. Non è un caso, infatti, che ieri, dopo aver convocato l’ufficio di presidenza (al quale non parteciperanno oggi gli esponenti del Pd, Enzo Carra e il vice presidente, Giorgio Merlo: «basta con le furbizie, bisogna recuperare la credibilità») ha anche spiegato che tra «i compiti prioritari di questa commissione c’è il rinnovo dei vertici della Raí». Vertici scaduti da mesi e che per una serie di veti, ancora non sono stati rinnovati.
E ora, con la scomparsa del consigliere Sandro Curzi la maggioranza parlamentare, minoritaria nel cda Rai per l’incompatibilità e le dimissioni di Gennaro Malgieri, torna in posizione predominante rispetto al centro-sinistra (quattro consiglieri di area centrodestra: Urbani, Petroni, Bianchi Clerici e Staderini; tre consiglieri di area centro-sinistra, il presidente Claudio Petruccioli, Rizzo Nervo e Rognoni).
Da oggi, dunque, con la riunione dell’ufficio di presidenza, anche Riccardo Villari proverà a dare le carte. In primo luogo mettendo a dura prova la resistenza di Sergio Zavoli (da tutti apprezzato ma al palo per le mancate dimissioni di Villari) che fa sapere di «non voler restare a lungo sulla graticola, arrivato ad un centimetro dal ridicolo lascio», in secondo luogo cercando di far leva sul concetto - argomentato dai capigruppo del Pdl di Camera e Senato - che sarebbe da irresponsabili la «sfiducia contro un presidente eletto perché potrebbe essere, un domani, utilizzata per analoghe operazioni contro i vertici di Camera e Senato o delle commissioni ordinarie». Unica via percorribile, sostengono dalla maggioranza è la moral suasion, ma che allo stato attuale non pare fare breccia nell’animo di Villari che non teme nemmeno le dimissioni in blocco degli esponenti del Pd. Anche perché, se da un lato arrivano i veti, da qualche altro arrivano anche gli inviti a proseguire. Tra tutti, quello del ministro Rotondi, per il quale «la commissione deve funzionare, tutto il resto sono chiacchiere». Cosa potrà accadere, dunque? Enzo Carra del Pd nota che sarebbe opportuno «spedire i capigruppo dai presidenti di Camera e Senato e cambiare così in blocco tutti i membri della vigilanza compreso Villari».
Mentre Walter Veltroni, che a margine dei funerali di Curzi si è intrattenuto con Gianni Letta, ha replicato con un battuta alla domanda del sosia di Bruno Vespa per «Striscia la notizia» su Villari: «l’unico modo di distoglierlo dalla commissione di Vigilanza è quello di farlo giocare nel Napoli». Ma a parte le batture, ieri, Villari ha incassato un altro no. Presentatosi in Campidoglio per rendere omaggio alla salma di Sandro Curzi, nella sua veste ufficiale, la famiglia del consigliere Rai ha gentilmente rifiutato di ricevere il neo presidente, lasciando al cerimoniale il compito di spiegare la situazione ad un sorpreso presidente della Vigilanza che ha lasciato il Campidoglio senza partecipare ai funerali.
Anche i funerali politici, ora. Che tristezza. Il secondo articolo è di Marco Mele su “Il Sole 24 Ore”: “Villari va avanti, il Pd diserta i lavori”.
Riccardo Villari va avanti, mentre sui Tg nazionali si viola la par condicio tra i candidati alla regione Abruzzo. Il neo presidente della Vigilanza ha convocato per oggi l’ufficio di presidenza: «Ci sono atti dovuti - sottolinea Villari - che la commissione che presiedo deve portare a compimento. Intendo stabilire i tempi con l’ufficio di presidenza». Al quale non parteciperà il Pd: «Non andremo in Vigilanza se non alla riunione con all’ordine del giorno le sue dimissioni» commenta Fabrizio Morrí, capogruppo in commissione. L’Udc parteciperà all’ufficio di presidenza «ma soltanto per ribadire a Villari la nostra richiesta di dimissioni». Diversa la posizione del Pdl, che preferisce ricorrere alla moral suasion per convincere Villari a lasciare il posto a Sergio Zavoli, sul cui nome è stata trovata l’intesa tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi.
La maggioranza intende partecipare ai lavori della commissione: «Se il presidente ci convoca - spiega Giorgio Lainati, vicepresidente della Vigilanza, Fi - e ci chiama a esprimerci sul merito delle questioni noi partecipiamo attivamente». Il Pdl ha confermato di aver interpellato Villari prima di votarlo e di aver preso atto della sua disponibilità a non dimettersi. Quanto alla mozione di sfiducia verso il presidente della Vigilanza, non è prevista la possibilità dì presentarla.
Per quanto riguarda Sergio Zavoli, l’ex presidente della Rai conferma di non voler «restare più di tanto sulla graticola. La questione non può non maturare in tempi brevì». Se, insomma, Villari non si dimetterà nel giro di qualche giorno o di una settimana, sarà Zavoli a rinunciare alla candidatura a presidente della Vigilanza.
Sulla nomina del Cda Rai, se il neo presidente andrà avanti, si conferma la probabilità che la Cdl possa nominare tutti e sette i consiglieri che spettano alla Vigilanza, a meno che il Pd non accetti di partecipare con Villari alla presidenza (oggi non sembra così). L’alternativa può essere un rinvio del voto sul Cda ma è difficile che quello attuale a sette membri su nove, possa andare avanti ancora per molto in una congiuntura così delicata.
Sulle regionali in Abruzzo, il regolamento dell’Autorità richiama esplicitamente la legge 28 del 2000. Quest’ultima vieta la possibilità di fare propaganda a favore di un candidato in tutte le trasmissioni, escluse quelle di comunicazione politica. Un articolo della legge 515 del ’93, modificata dalla 28, tuttora in vigore, limita nelle trasmissioni informative riconducibili a una testata giornalistica, “alla completezza e all’imparzialità dell’informazione” la presenza di candidati, esponenti di partiti e movimenti politici e membri del Governo. Il Regolamento dell’Agcom per le votazioni in Sicilia (34/08 della Commissione servizi e prodotti), impone ai direttori responsabili dei programmi informativi la parità di trattamento delle forze politiche, evitando che «si determini un uso ingiustificato dì riprese con presenza diretta di membri del Governo, o esponenti politici». Bastava vedere i Tg Rai e Mediaset di domenica in prima serata per cogliere una prolungata violazione di tale norma, con il nome di un candidato scritto più volte alle spalle del presidente del Consiglio e un altro alle spalle di Antonio Di Pietro. Per la Rai, però, il Regolamento non è mai stato approvato: può essere comunque sanzionata dall’Agcòm?
Per ultima cosa, anche se col caso Villari non c’entra, raccolgo da “La Stampa” questo articolino che riguarda La7:
La Federazione Europea dei Giornalisti (Ef) ha espresso piena solidarietà ai redattori a rischio licenziamento de «La7» e chiede un intervento del Parlamento. «Esortiamo il Parlamento Italiano - dichiara nella nota il presidente dell’Ef Arne Koenig, in riferimento al dibattito in Aula sul lavoro precario - a incentrare l’attenzione sul La7, presso la quale i massicci licenziamenti pongono una seria minaccia al pluralismo e alla qualità dei media in Italia». Koenig afferma che «questa rete, che è la terza più grande in Italia, è l’unica alternativa privata a livello nazionale alla Mediaset, di proprietà del premier Silvio Berlusconi e all’emittente pubblica Rai, che è altamente politicizzata».
Lo scorso settembre Telecom Italia Media, proprietaria de La7, ha annunciato l’intenzione di licenziare circa un terzo del personale giornalistico. Negli scorsi giorni anche il gruppo del Pd alla Camera aveva presentato un’interpellanza urgente per chiedere al Governo di «far luce» sulla vicenda del licenziamento annunciato di 25 giornalisti a La7.
Curiosa situazione per una tv filo democrat. No?
Riccardo Villari fa sul serio. E nonostante gli anatemi del Partito democratico ha convocato per oggi alle 14 la prima riunione dell’ufficio di presidenza della Vigilanza Rai. «Un atto dovuto» - spiega il senatore napoletano. Certamente. «Visto che da mesi - sostiene - si deve disciplinare il regolamento elettorale per le elezioni abruzzesi». Ma anche l’opportunità per ribadire - a chi ancora non lo avesse ben chiaro - che sarà difficile schiodarlo da quella poltrona. Una poltrona strategica, perché strategica è la contesa finale, ovvero la conquista dei posti e delle nomine per il cda di viale Mazzini. Ed è qui, che si gioca la grande partita. Una partita, che Riccardo Villari non sembra voler mollare ma che anzi vorrebbe arbitrare, cominciando con l’audizione dei direttori dei Tg Rai. Non è un caso, infatti, che ieri, dopo aver convocato l’ufficio di presidenza (al quale non parteciperanno oggi gli esponenti del Pd, Enzo Carra e il vice presidente, Giorgio Merlo: «basta con le furbizie, bisogna recuperare la credibilità») ha anche spiegato che tra «i compiti prioritari di questa commissione c’è il rinnovo dei vertici della Raí». Vertici scaduti da mesi e che per una serie di veti, ancora non sono stati rinnovati.
E ora, con la scomparsa del consigliere Sandro Curzi la maggioranza parlamentare, minoritaria nel cda Rai per l’incompatibilità e le dimissioni di Gennaro Malgieri, torna in posizione predominante rispetto al centro-sinistra (quattro consiglieri di area centrodestra: Urbani, Petroni, Bianchi Clerici e Staderini; tre consiglieri di area centro-sinistra, il presidente Claudio Petruccioli, Rizzo Nervo e Rognoni).
Da oggi, dunque, con la riunione dell’ufficio di presidenza, anche Riccardo Villari proverà a dare le carte. In primo luogo mettendo a dura prova la resistenza di Sergio Zavoli (da tutti apprezzato ma al palo per le mancate dimissioni di Villari) che fa sapere di «non voler restare a lungo sulla graticola, arrivato ad un centimetro dal ridicolo lascio», in secondo luogo cercando di far leva sul concetto - argomentato dai capigruppo del Pdl di Camera e Senato - che sarebbe da irresponsabili la «sfiducia contro un presidente eletto perché potrebbe essere, un domani, utilizzata per analoghe operazioni contro i vertici di Camera e Senato o delle commissioni ordinarie». Unica via percorribile, sostengono dalla maggioranza è la moral suasion, ma che allo stato attuale non pare fare breccia nell’animo di Villari che non teme nemmeno le dimissioni in blocco degli esponenti del Pd. Anche perché, se da un lato arrivano i veti, da qualche altro arrivano anche gli inviti a proseguire. Tra tutti, quello del ministro Rotondi, per il quale «la commissione deve funzionare, tutto il resto sono chiacchiere». Cosa potrà accadere, dunque? Enzo Carra del Pd nota che sarebbe opportuno «spedire i capigruppo dai presidenti di Camera e Senato e cambiare così in blocco tutti i membri della vigilanza compreso Villari».
Mentre Walter Veltroni, che a margine dei funerali di Curzi si è intrattenuto con Gianni Letta, ha replicato con un battuta alla domanda del sosia di Bruno Vespa per «Striscia la notizia» su Villari: «l’unico modo di distoglierlo dalla commissione di Vigilanza è quello di farlo giocare nel Napoli». Ma a parte le batture, ieri, Villari ha incassato un altro no. Presentatosi in Campidoglio per rendere omaggio alla salma di Sandro Curzi, nella sua veste ufficiale, la famiglia del consigliere Rai ha gentilmente rifiutato di ricevere il neo presidente, lasciando al cerimoniale il compito di spiegare la situazione ad un sorpreso presidente della Vigilanza che ha lasciato il Campidoglio senza partecipare ai funerali.
Anche i funerali politici, ora. Che tristezza. Il secondo articolo è di Marco Mele su “Il Sole 24 Ore”: “Villari va avanti, il Pd diserta i lavori”.
Riccardo Villari va avanti, mentre sui Tg nazionali si viola la par condicio tra i candidati alla regione Abruzzo. Il neo presidente della Vigilanza ha convocato per oggi l’ufficio di presidenza: «Ci sono atti dovuti - sottolinea Villari - che la commissione che presiedo deve portare a compimento. Intendo stabilire i tempi con l’ufficio di presidenza». Al quale non parteciperà il Pd: «Non andremo in Vigilanza se non alla riunione con all’ordine del giorno le sue dimissioni» commenta Fabrizio Morrí, capogruppo in commissione. L’Udc parteciperà all’ufficio di presidenza «ma soltanto per ribadire a Villari la nostra richiesta di dimissioni». Diversa la posizione del Pdl, che preferisce ricorrere alla moral suasion per convincere Villari a lasciare il posto a Sergio Zavoli, sul cui nome è stata trovata l’intesa tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi.
La maggioranza intende partecipare ai lavori della commissione: «Se il presidente ci convoca - spiega Giorgio Lainati, vicepresidente della Vigilanza, Fi - e ci chiama a esprimerci sul merito delle questioni noi partecipiamo attivamente». Il Pdl ha confermato di aver interpellato Villari prima di votarlo e di aver preso atto della sua disponibilità a non dimettersi. Quanto alla mozione di sfiducia verso il presidente della Vigilanza, non è prevista la possibilità dì presentarla.
Per quanto riguarda Sergio Zavoli, l’ex presidente della Rai conferma di non voler «restare più di tanto sulla graticola. La questione non può non maturare in tempi brevì». Se, insomma, Villari non si dimetterà nel giro di qualche giorno o di una settimana, sarà Zavoli a rinunciare alla candidatura a presidente della Vigilanza.
Sulla nomina del Cda Rai, se il neo presidente andrà avanti, si conferma la probabilità che la Cdl possa nominare tutti e sette i consiglieri che spettano alla Vigilanza, a meno che il Pd non accetti di partecipare con Villari alla presidenza (oggi non sembra così). L’alternativa può essere un rinvio del voto sul Cda ma è difficile che quello attuale a sette membri su nove, possa andare avanti ancora per molto in una congiuntura così delicata.
Sulle regionali in Abruzzo, il regolamento dell’Autorità richiama esplicitamente la legge 28 del 2000. Quest’ultima vieta la possibilità di fare propaganda a favore di un candidato in tutte le trasmissioni, escluse quelle di comunicazione politica. Un articolo della legge 515 del ’93, modificata dalla 28, tuttora in vigore, limita nelle trasmissioni informative riconducibili a una testata giornalistica, “alla completezza e all’imparzialità dell’informazione” la presenza di candidati, esponenti di partiti e movimenti politici e membri del Governo. Il Regolamento dell’Agcom per le votazioni in Sicilia (34/08 della Commissione servizi e prodotti), impone ai direttori responsabili dei programmi informativi la parità di trattamento delle forze politiche, evitando che «si determini un uso ingiustificato dì riprese con presenza diretta di membri del Governo, o esponenti politici». Bastava vedere i Tg Rai e Mediaset di domenica in prima serata per cogliere una prolungata violazione di tale norma, con il nome di un candidato scritto più volte alle spalle del presidente del Consiglio e un altro alle spalle di Antonio Di Pietro. Per la Rai, però, il Regolamento non è mai stato approvato: può essere comunque sanzionata dall’Agcòm?
Per ultima cosa, anche se col caso Villari non c’entra, raccolgo da “La Stampa” questo articolino che riguarda La7:
La Federazione Europea dei Giornalisti (Ef) ha espresso piena solidarietà ai redattori a rischio licenziamento de «La7» e chiede un intervento del Parlamento. «Esortiamo il Parlamento Italiano - dichiara nella nota il presidente dell’Ef Arne Koenig, in riferimento al dibattito in Aula sul lavoro precario - a incentrare l’attenzione sul La7, presso la quale i massicci licenziamenti pongono una seria minaccia al pluralismo e alla qualità dei media in Italia». Koenig afferma che «questa rete, che è la terza più grande in Italia, è l’unica alternativa privata a livello nazionale alla Mediaset, di proprietà del premier Silvio Berlusconi e all’emittente pubblica Rai, che è altamente politicizzata».
Lo scorso settembre Telecom Italia Media, proprietaria de La7, ha annunciato l’intenzione di licenziare circa un terzo del personale giornalistico. Negli scorsi giorni anche il gruppo del Pd alla Camera aveva presentato un’interpellanza urgente per chiedere al Governo di «far luce» sulla vicenda del licenziamento annunciato di 25 giornalisti a La7.
Curiosa situazione per una tv filo democrat. No?
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