Da “La Stampa” di oggi riprendo l’articolo di Giacomo Galeazzi, titolo: “Sparirà anche in Italia. La Chiesa sta perdendo. «Le statistiche parlano chiaro: siamo sempre più laici»”. È una intervista a Enzo Marzo, presidente di «Critica Liberale».
«Finora nei tribunali italiani quella del crocefisso è stata una battaglia persa, ma noi condividiamo l’iniziativa spagnola ed è inevitabile che anche qui si arriverà alla rimozione dei simboli cattolici dalle aule e dalle altre sedi pubbliche». Le certezze di Enzo Marzo, presidente di «Critica Liberale», poggiano sulle tabelle e le statistiche realizzate dall’università di Roma per l’«Indice di secolarizzazione 2008» che oggi la sua fondazione e il settore «Nuovi diritti» della Cgil presentano a Roma.
Darete battaglia come in Spagna? «I nostri avvocati lo hanno già fatto per l’otto per mille e il caso Eluana. Da quindici anni in Italia il tasso di laicità è in crescita inarrestabile e, con sempre più studenti musulmani in classe, sarà fisiologico togliere il crocefisso anche dalle nostre scuole. È una lotta che va avanti da quarant’anni, senza esito. Luigi Tosti, pur avendo ragione, è stato estromesso dalla magistratura per essersi rifiutato di giudicare in aule giudiziarie col crocefisso appeso. In Italia hanno avuto vita dura le denunce simili a quella vinta in Spagna. Malgrado siano richieste fondate, i tribunali danno torto, in palese violazione peraltro del principio costituzionale di uguaglianza delle confessioni religiose».
Cosa cambia ora? «La battaglia sul crocefisso sarà vinta in Italia fra pochi anni, quando la Chiesa si dovrà rendere conto dell’impossibilità di mantenere il crocefisso in scuole pubbliche a maggioranza musulmana. Tra poco anche da noi emergeranno, finalmente, la laicità dello Stato e la libertà di religione affermata dalla Carta costituzionale. L’ultima trincea è la sconcertante sentenza di un tribunale veneto. Secondo il giudice, va ancora tenuto perché non rappresenta un simbolo religioso, ma una caratteristica culturale del nostro Paese».
E quindi? «È una desacralizzazione blasfema, surreale. Una scappatoia rifiutata anche dai cattolici coerenti, per i quali il crocefisso è un segno di fede universale, non un simbolo culturale dell’Italia. La Chiesa è sull’orlo di una crisi di nervi e il tentativo di tornare all’indietro pur di salvare un simbolo sta mostrando la corda».
In che modo? «Disponiamo di rilevazioni impressionanti, fondate su 150 indicatori oggettivi. Sono dati che provengono dall’Istat e dagli archivi pontifici. Numeri inoppugnabili: battesimi, iscrizioni alle scuole cattoliche, vocazioni, conversioni, matrimoni religiosi. Tutti gli indicatori sono in costante calo. Il calcolo viene fatto dal Caspur, il cervellone elettronico della «Sapienza». Adesso estenderemo il monitoraggio al resto d’Europa e non è detto che l’Italia sia meno secolare della Spagna».
«Finora nei tribunali italiani quella del crocefisso è stata una battaglia persa, ma noi condividiamo l’iniziativa spagnola ed è inevitabile che anche qui si arriverà alla rimozione dei simboli cattolici dalle aule e dalle altre sedi pubbliche». Le certezze di Enzo Marzo, presidente di «Critica Liberale», poggiano sulle tabelle e le statistiche realizzate dall’università di Roma per l’«Indice di secolarizzazione 2008» che oggi la sua fondazione e il settore «Nuovi diritti» della Cgil presentano a Roma.
Darete battaglia come in Spagna? «I nostri avvocati lo hanno già fatto per l’otto per mille e il caso Eluana. Da quindici anni in Italia il tasso di laicità è in crescita inarrestabile e, con sempre più studenti musulmani in classe, sarà fisiologico togliere il crocefisso anche dalle nostre scuole. È una lotta che va avanti da quarant’anni, senza esito. Luigi Tosti, pur avendo ragione, è stato estromesso dalla magistratura per essersi rifiutato di giudicare in aule giudiziarie col crocefisso appeso. In Italia hanno avuto vita dura le denunce simili a quella vinta in Spagna. Malgrado siano richieste fondate, i tribunali danno torto, in palese violazione peraltro del principio costituzionale di uguaglianza delle confessioni religiose».
Cosa cambia ora? «La battaglia sul crocefisso sarà vinta in Italia fra pochi anni, quando la Chiesa si dovrà rendere conto dell’impossibilità di mantenere il crocefisso in scuole pubbliche a maggioranza musulmana. Tra poco anche da noi emergeranno, finalmente, la laicità dello Stato e la libertà di religione affermata dalla Carta costituzionale. L’ultima trincea è la sconcertante sentenza di un tribunale veneto. Secondo il giudice, va ancora tenuto perché non rappresenta un simbolo religioso, ma una caratteristica culturale del nostro Paese».
E quindi? «È una desacralizzazione blasfema, surreale. Una scappatoia rifiutata anche dai cattolici coerenti, per i quali il crocefisso è un segno di fede universale, non un simbolo culturale dell’Italia. La Chiesa è sull’orlo di una crisi di nervi e il tentativo di tornare all’indietro pur di salvare un simbolo sta mostrando la corda».
In che modo? «Disponiamo di rilevazioni impressionanti, fondate su 150 indicatori oggettivi. Sono dati che provengono dall’Istat e dagli archivi pontifici. Numeri inoppugnabili: battesimi, iscrizioni alle scuole cattoliche, vocazioni, conversioni, matrimoni religiosi. Tutti gli indicatori sono in costante calo. Il calcolo viene fatto dal Caspur, il cervellone elettronico della «Sapienza». Adesso estenderemo il monitoraggio al resto d’Europa e non è detto che l’Italia sia meno secolare della Spagna».
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