sabato 22 novembre 2008

Villari, l'Adriano del Pd

Un commento di Marco Conti su “Il Messaggero” ci racconta una versione consolatoria [per i depressi veltroniani] della fiaba della Vigilanza Rai, quella del gigante, lui un nano!, buono. Titolo: “La maggioranza. Berlusconi frena i falchi: bene l’assedio al Pd, ma quel dc non lo voglio nel mio partito”. Come dire rigirando la frittata: se non lo vuole lui, perché dovremmo continuare a tenercelo noi? Ma sbolognarlo è difficilissimo anche perché il ruolo di Villari ora è istituzione. Andare contro la sua presidenza è andare contro il Parlamento e le altre istituzioni della nostra Repubblica, minare al cuore lo Stato. Come Adriano dell’Inter insomma o il due di spade, la “monighela”, infelice colui cui rimane in mano.

Fretta Silvio Berlusconi non sembra averne. Preso com’è a cercare risorse utili a rimpolpare il pacchetto di misure contro la crisi finanziaria, ha scarsa voglia di occuparsi delle beghe che da giorni assediano la commissione di Vigilanza Rai e il suo presidente. Sinora ha lasciato fare ai suoi gruppi parlamentari che, con il blitz su Riccardo Villari, gli hanno permesso di guardare con una certa soddisfazione i contorsionismi del Pd impegnato da giorni in una battaglia interna che per il Cavaliere sa molto della vecchia politica di cui gli italiani hanno la nausea. «L’elezione del presidente della Vigilanza? Non interessa nessuno», disse sondaggi alla mano, un mesetto fa il Cavaliere. Un concetto analogo lo ha espresso qualche giorno dopo anche Walter Veltroni, ma poi il Pd è stato tirato nel gorgo di una battaglia fatta di sospetti e "pizzini"che il Cavaliere non smette di monitorare nei suoi sondaggi. La proposta di «abolire la Commissione», rilanciata da Marco Follini è quindi un tentativo del Pd di uscire dall’angolo.
A Cicchitto, Bocchino, Butti, Gasparri e Quagliariello il premier assegna il merito di aver posto con il caso Villari una bomba ad orologeria sotto la poltrona del leader dell’opposizione alle prese ora con la possibile convocazione di un congresso straordinario, proprio nel momento in cui la crisi economica apre una fase molto delicata per la compattezza del governo e della maggioranza. Una manna per il Cavaliere, visto che la vicenda a suo giudizio gli consente di sostenere la linea dell’inaffidabilità di un partito quale il Pd, che non riesce nemmeno a farsi rispettare dai suoi iscritti ed eletti. Oltre però Berlusconi non intende andare e non solo per il super attivismo di Gianni Letta che ieri avrebbe anche chiamato al telefono Clemente Mastella nel tentativo di trovare, attraverso l’amico ed ex compagno di partito del senatore ora presidente, nuove sponde capaci di far ragionare il ribelle. Il motivo principale che frena gli entusiasmi della pattuglia dei falchi del Pdl sta invece proprio in quella che un deputato azzurro chiama «la scarsa voglia del premier di avere a che fare con un ex mastelliano». «Il presidente con quel tipo di democristiani ha già dato», chiosa un collaboratore del premier. Fatto sta che ieri mattina l’ordine di scuderia è partito molto presto da palazzo Grazioli: contenere al minimo le dichiarazioni sulla vicenda Rai e gli entusiasmi per le mosse di Villari. Dal canto suo il premier ha evitato per tutta la giornata di ieri di impattare giornalisti e telecamere, proprio per non essere costretto ad intervenire su un tema che, a suo giudizio, all’opinione pubblica, alle prese con la crisi economica, «fa venire l’orticaria». Ovvio quindi che Berlusconi non pensi di poter lasciare a Villari, difeso ieri solo da Marco Pannella, un ruolo così rilevante in vista del rinnovo del cda Rai e della definizione dei nuovi assetti interni alla tv di Stato. Tantomeno però il Cavaliere pensa di lasciare spazio a quegli esponenti di An, come Butti e Bocchino, che faticano a scendere dalle barricate.

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