«Il “dittatore” salva-democrazia» titola oggi un pezzo su “Libero” di Gianluigi Paragone. Sottotitolo: «L’idea del premier tiranno non ha senso: proprio lui che ha reinventato la Repubblica...».
Allora abbiamo sprecato solo tempo, inchiostro e videocassette. Per quindici anni non abbiamo parlato altro che di “berlusconismo” e ora qualcuno ci dice che corriamo il rischio del “cesarismo”? Ohilà, qualcosa non torna.
Detto sotto voce e col massimo rispetto per il presidente della Camera, a me sembra che in Italia più che un “Caesar” ci sia il “Silvius”. Il Silvius anestetizza il Caesar, ne demolisce la parte negativa e ne esalta le doti migliori.
Con la discesa in campo Berlusconi ha sparigliato i giochi, nel senso che ha riempito a suo modo ciò che fino a prima era solo una idea o un contenitore, ovvero la Seconda repubblica. L’Italia non corre il rischio di una deriva cesarista, né dentro i partiti né - a maggior ragione - dentro le Istituzioni. Se così non fosse avrebbe ragione la sinistra quando parla di dittature più o meno dolci o di regimi striscianti. Non è così e Fini lo sa bene. Pertanto sono certo che il presidente della Camera non volesse condurre la sua riflessione sotto la sede di Forza Italia o sotto il portone di Palazzo Grazioli.
Come potrebbe farlo proprio colui che beneficiò del famoso endorsement del Cavaliere? Era il 1993 e in quel di Casalecchio di Reno Silvio appoggiò l’allora segretario del Movimento sociale nella corsa contro Rutelli a sindaco di Roma. La storia cominciò così.
Arriva lo sconquasso
L’anno dopo, nel ’94, Silvio scese in campo e divenne Silvius. Sdoganò la destra e “doganò” la Lega Nord di Bossi. Resuscitò il comunismo non come dogma o ideologia, ma come una idea, brutta. Ma prima ancora, Silvius si inventò un partito, liberale e democristiano, repubblicano e socialista, cattolico e laico, e forse parecchio altro ancora. Tanto, in quel contenitore fantasticamente chiamato Forza Italia, non era l’ideologia a contare. Era lui. Era Silvio. Era Silvius.
Per fare quella roba lì sconquassò il mondo intero, già di per sé in subbuglio per quel cataclisma giudiziario che fu Mani Pulite e per quell’euforia di cambiamento cominciata con il Senatur e Mariotto Segni.
Insomma, era già tutto pronto per l’epifania berlusconiana. I127 e 28 marzo 1994, l’Italia sceglieva di entrare nel berlusconismo. Montanelli era convinto che se ne sarebbe liberata poco dopo - «Basta provarlo» -, non fu così. Tant’è che siamo ancora lì dentro.
L’Italia di destra e l’Italia di sinistra sono dentro, mani e piedi, nel fantastico mondo di Silvius. Quello dove il partito di plastica ieri denigrato oggi è il modello per tutti. Cos’è infatti il Partito democratico se non un partito di plastica? E cos’era quell’Arcobaleno sotto le cui insegne si unirono recentemente i partiti della sinistra radicale, da Rifondazione ai Verdi? Un partito di plastica, appunto. Tant’è che perde le elezioni ma vince in un reality show ed esulta: Luxuria come Obama. Auguri.
Sua Emittenza Silvius ha contagiato anche i compagni; loro che credevano di essere immuni, vaccinati. Macché. Veltroni e tutti gli altri lo avrebbero dovuto capire già nel ’95 quando la sinistra sognava di spezzare le reni alle tv del Berlusca con due referendum contro la pubblicità. “Non si interrompe un film, non si spezza un’emozione” gridavano scandalizzati registi di grido e dirigenti del Pds. Finì che pure i compagni votarono no, difendendo la tv commerciale. E finì pure che quei registi lavorano con Medusa, la società di produzione griffata Fininvest.
Accadeva tredici anni fa. Solo che la sinistra ha la memoria corta. E continua a farsi male. Non c’è bisogno di essere Caesar se l’opposizione fa tutto da sé. La sinistra si è accartocciata da sola, inciampando nel rincorrere l’antiberlusconismo. Mentre in Europa i riformisti sfornavano un leader come Tony Blair e in America un certo Bill Clinton, in Italia la sinistra s’ammucchiava nella gioiosa macchina da guerra e poi nell’Ulivo e poi ancora nell’Unione. L’importante non era dare un senso politico alle cose, ma era battere Silvio. L’ha fatto e poi è rimasta col cerino in mano.
Stessa musica
Se dunque Berlusconi ha portato a spasso la sinistra, figuratevi cosa ha fatto con la destra. Con la Lega, dopo che tra lui e Bossi volarono le peggiori parole possibili e immaginabili, il dialogo è zucchero, è miele. Con Alleanza Nazionale era talmente un tutt’uno che non si capiva più dove finisse Forza Italia e cominciasse An; così per semplificare le cose si sono fusi nel Popolo della Libertà. Berlusconi leader.
Silvio come Caesar? Come un dittatorello sudamericano? Per favore. Qualche volta sarà un bauscia, sarà un testone, sarà quel che volete, ma come dittatore vien bene solo sulle vignette. Ogni tanto però qualcuno mette su il disco e lascia suonar la musica, nella speranza che altri sì accodino. Poi si svuota l’urna elettorale e si scopre che quel ragazzaccio piglia un sacco di voti perché ci sa fare.
Chissà se prima o poi lo si vorrà ammettere senza far troppe storie.
Allora abbiamo sprecato solo tempo, inchiostro e videocassette. Per quindici anni non abbiamo parlato altro che di “berlusconismo” e ora qualcuno ci dice che corriamo il rischio del “cesarismo”? Ohilà, qualcosa non torna.
Detto sotto voce e col massimo rispetto per il presidente della Camera, a me sembra che in Italia più che un “Caesar” ci sia il “Silvius”. Il Silvius anestetizza il Caesar, ne demolisce la parte negativa e ne esalta le doti migliori.
Con la discesa in campo Berlusconi ha sparigliato i giochi, nel senso che ha riempito a suo modo ciò che fino a prima era solo una idea o un contenitore, ovvero la Seconda repubblica. L’Italia non corre il rischio di una deriva cesarista, né dentro i partiti né - a maggior ragione - dentro le Istituzioni. Se così non fosse avrebbe ragione la sinistra quando parla di dittature più o meno dolci o di regimi striscianti. Non è così e Fini lo sa bene. Pertanto sono certo che il presidente della Camera non volesse condurre la sua riflessione sotto la sede di Forza Italia o sotto il portone di Palazzo Grazioli.
Come potrebbe farlo proprio colui che beneficiò del famoso endorsement del Cavaliere? Era il 1993 e in quel di Casalecchio di Reno Silvio appoggiò l’allora segretario del Movimento sociale nella corsa contro Rutelli a sindaco di Roma. La storia cominciò così.
Arriva lo sconquasso
L’anno dopo, nel ’94, Silvio scese in campo e divenne Silvius. Sdoganò la destra e “doganò” la Lega Nord di Bossi. Resuscitò il comunismo non come dogma o ideologia, ma come una idea, brutta. Ma prima ancora, Silvius si inventò un partito, liberale e democristiano, repubblicano e socialista, cattolico e laico, e forse parecchio altro ancora. Tanto, in quel contenitore fantasticamente chiamato Forza Italia, non era l’ideologia a contare. Era lui. Era Silvio. Era Silvius.
Per fare quella roba lì sconquassò il mondo intero, già di per sé in subbuglio per quel cataclisma giudiziario che fu Mani Pulite e per quell’euforia di cambiamento cominciata con il Senatur e Mariotto Segni.
Insomma, era già tutto pronto per l’epifania berlusconiana. I127 e 28 marzo 1994, l’Italia sceglieva di entrare nel berlusconismo. Montanelli era convinto che se ne sarebbe liberata poco dopo - «Basta provarlo» -, non fu così. Tant’è che siamo ancora lì dentro.
L’Italia di destra e l’Italia di sinistra sono dentro, mani e piedi, nel fantastico mondo di Silvius. Quello dove il partito di plastica ieri denigrato oggi è il modello per tutti. Cos’è infatti il Partito democratico se non un partito di plastica? E cos’era quell’Arcobaleno sotto le cui insegne si unirono recentemente i partiti della sinistra radicale, da Rifondazione ai Verdi? Un partito di plastica, appunto. Tant’è che perde le elezioni ma vince in un reality show ed esulta: Luxuria come Obama. Auguri.
Sua Emittenza Silvius ha contagiato anche i compagni; loro che credevano di essere immuni, vaccinati. Macché. Veltroni e tutti gli altri lo avrebbero dovuto capire già nel ’95 quando la sinistra sognava di spezzare le reni alle tv del Berlusca con due referendum contro la pubblicità. “Non si interrompe un film, non si spezza un’emozione” gridavano scandalizzati registi di grido e dirigenti del Pds. Finì che pure i compagni votarono no, difendendo la tv commerciale. E finì pure che quei registi lavorano con Medusa, la società di produzione griffata Fininvest.
Accadeva tredici anni fa. Solo che la sinistra ha la memoria corta. E continua a farsi male. Non c’è bisogno di essere Caesar se l’opposizione fa tutto da sé. La sinistra si è accartocciata da sola, inciampando nel rincorrere l’antiberlusconismo. Mentre in Europa i riformisti sfornavano un leader come Tony Blair e in America un certo Bill Clinton, in Italia la sinistra s’ammucchiava nella gioiosa macchina da guerra e poi nell’Ulivo e poi ancora nell’Unione. L’importante non era dare un senso politico alle cose, ma era battere Silvio. L’ha fatto e poi è rimasta col cerino in mano.
Stessa musica
Se dunque Berlusconi ha portato a spasso la sinistra, figuratevi cosa ha fatto con la destra. Con la Lega, dopo che tra lui e Bossi volarono le peggiori parole possibili e immaginabili, il dialogo è zucchero, è miele. Con Alleanza Nazionale era talmente un tutt’uno che non si capiva più dove finisse Forza Italia e cominciasse An; così per semplificare le cose si sono fusi nel Popolo della Libertà. Berlusconi leader.
Silvio come Caesar? Come un dittatorello sudamericano? Per favore. Qualche volta sarà un bauscia, sarà un testone, sarà quel che volete, ma come dittatore vien bene solo sulle vignette. Ogni tanto però qualcuno mette su il disco e lascia suonar la musica, nella speranza che altri sì accodino. Poi si svuota l’urna elettorale e si scopre che quel ragazzaccio piglia un sacco di voti perché ci sa fare.
Chissà se prima o poi lo si vorrà ammettere senza far troppe storie.
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