Penso che nessuno sia mai riuscito in tanto. Se non ad affossare il concetto di democrazia, quantomeno ad instillare più di un dubbio sul significato dell’aggettivo “democratico”. Quasi in un delirio semantico fino a ribaltarlo nella sua antitesi. E lo si è visto e rivisto, letto e riletto in questi giorni. Incredibile ma drammaticamente reale. Un uso delegittimante del “chi non la pensa come noi” abusato nei media, in ogni dichiarazione, seppure sia un intento velleitario che nella gente lascia l’umore che trova. Funzionava ai tempi di Almirante con un altro aggettivo, “costituzionale”, ma allora la Fiamma era una minoranza nel Paese e l’Arco che si spartiva il potere, in questo compatto, poteva emarginare chi ricordando uno scomodo passato – dove oltretutto “tutti” erano stati fascisti – ne voleva perpetuare il messaggio.
Ma oggi, è quantomeno risibile che una minoranza – destinata oltretutto ad assottigliarsi ancora, incapace com’è di togliersi dal pantano soffocante dove sta affogando – possa ribaltare una libera scelta dell’elettorato giocherellando con le parole. Certo la scuola del vecchio partito comunista ha insegnato bene. E già Occhetto ci aveva provato a suo tempo con l’aggettivo “progressista”, lo ricordate? E anche allora niente era più reazionariamente conservatrice della sua gioiosa macchina da guerra. Ma è apparso subito chiaro che l’etichetta difficilmente era sostenibile, anche perché il progresso, la novità, almeno in politica, l’aveva portata proprio il nemico, Berlusconi. Poi nel giochetto si è misurato Prodi, inventandosi l’«Unione». E si è visto quali dissapori, divisioni incompatibilità nascondesse quel velleitario uso della parola.
Orwell, che conosceva bene i suoi polli, ha spiegato e, se volete, teorizzato l’uso della lingua per modificare e sottomettere la realtà trasformandola in rappresentazione della propria volontà di potenza. Spesso si accosta il mito del “grande fratello” alle proprietà mediatiche del premier. Ma in verità quel mito è nato per descrivere il lato oscuro del comunismo bolscevico che Stalin portò ad un livello di perfezione. E non è a caso che qui da noi siano proprio i pronipoti di Togliatti a cimentarsi in esercizi neolinguistici.
Ma il giocattolo s’è rotto, oggi. Pur contando sui media, giornali e televisioni, democratici, appunto, non c’è speranza perché questo tempo moderno mette a disposizione di ciascuno di noi modi e mezzi di produrre informazione, di grande potenzialità quanto a diffusione, e soprattutto fondati sulla condivisione e, dunque, liberi e liberati per sempre dal controllo e dalle veline del partito culturalmente egemone. La sinistra “che viene da lontano”, marxista, marxista-leninista, o “democratica” è destinata necessariamente a perdere perché è incapace di comprendere che democrazia e libertà non sono separabili e non sono contrapponibili. La loro antidemocrazia, quella sì ha poco a che spartire con la libertà.
Ma oggi, è quantomeno risibile che una minoranza – destinata oltretutto ad assottigliarsi ancora, incapace com’è di togliersi dal pantano soffocante dove sta affogando – possa ribaltare una libera scelta dell’elettorato giocherellando con le parole. Certo la scuola del vecchio partito comunista ha insegnato bene. E già Occhetto ci aveva provato a suo tempo con l’aggettivo “progressista”, lo ricordate? E anche allora niente era più reazionariamente conservatrice della sua gioiosa macchina da guerra. Ma è apparso subito chiaro che l’etichetta difficilmente era sostenibile, anche perché il progresso, la novità, almeno in politica, l’aveva portata proprio il nemico, Berlusconi. Poi nel giochetto si è misurato Prodi, inventandosi l’«Unione». E si è visto quali dissapori, divisioni incompatibilità nascondesse quel velleitario uso della parola.
Orwell, che conosceva bene i suoi polli, ha spiegato e, se volete, teorizzato l’uso della lingua per modificare e sottomettere la realtà trasformandola in rappresentazione della propria volontà di potenza. Spesso si accosta il mito del “grande fratello” alle proprietà mediatiche del premier. Ma in verità quel mito è nato per descrivere il lato oscuro del comunismo bolscevico che Stalin portò ad un livello di perfezione. E non è a caso che qui da noi siano proprio i pronipoti di Togliatti a cimentarsi in esercizi neolinguistici.
Ma il giocattolo s’è rotto, oggi. Pur contando sui media, giornali e televisioni, democratici, appunto, non c’è speranza perché questo tempo moderno mette a disposizione di ciascuno di noi modi e mezzi di produrre informazione, di grande potenzialità quanto a diffusione, e soprattutto fondati sulla condivisione e, dunque, liberi e liberati per sempre dal controllo e dalle veline del partito culturalmente egemone. La sinistra “che viene da lontano”, marxista, marxista-leninista, o “democratica” è destinata necessariamente a perdere perché è incapace di comprendere che democrazia e libertà non sono separabili e non sono contrapponibili. La loro antidemocrazia, quella sì ha poco a che spartire con la libertà.
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