Inizio la mia personale rassegna stampa di oggi con un articolo di Luca D’Alessandro sul quotidiano “Libero”, argomento il “totoministri” obamiano. Gustoso.
C’è grande tensione in piazza Sant’Anastasia, un’attesa mista a febbre presso la sede del Pd, per vedere come Obama comporrà il suo staff. Visco spera nel ripescaggio, D’Alema scalpita, Bersani spera, Di Pietro no. Veltroni è arrivato in ritardo per essere passato prima all’anagrafe di Roma a modificare il suo nome di battesimo, da Walter a Uolter. Gli impiegati del comune gli hanno fatto storie: «È già la terza volta che viene. Prima aveva cambiato il cognome in Veltronì, in onore della Segolène Royal, poi è tornato all’originale non appena la candidata presidente ha preso una sonora bastonata nella corsa all’Eliseo. Adesso vuo’ fa’ l’ammerikano. Adesso basta».
Risolta la grana, Veltroni in fretta e furia si è chiuso nella sua stanza e dal quartier generale del Pd si è subito messo al telefono per trattare con Obama la squadra di governo, lo staff della Casa Bianca. I cronisti che si ammassano dietro la sua porta lo hanno sentito urlare con la grinta che gli è propria: « Eh no, caro Barack, io ti ho consegnato l’America in un piatto d’argento, hai usufruito delle mie migliori teste d’uovo per individuare la strategia vincente, ti ho mandato la Melandri, privandomi per una settimana di una risorsa fondamentale per il mio partito qui in Italia, che ha spianato la strada al tuo trionfo convincendo a votare milioni di donne. Come chi è la Melandri? Adesso non fare il finto tonto». Subito dopo si è sentito un gran trambusto, rumore inequivocabile di un telefono sbattuto. Chi era presente alla conversazione ha gonfiato orgogliosamente il petto dopo aver assistito alla prova di forza di Veltroni.
Qualcuno ha però giurato di aver chiaramente sentito dall’altro capo del filo una linea che s’interrompeva prima della sfuriata di Uolter. Menzogne messe in giro ad arte dal centrodestra, tagliano corto da piazza Sant’Anastasia. Gliel’ha cantata, va dicendo in giro Bettini. Il pool di cronisti, ubbidiente, prende atto, sorride, approva facendo convinto di sì con la testa come un sol uomo. Si prendono freneticamente appunti.
E nei corridoi impazza il toto-ministri. Si è rivisto Vincenzo Visco, e subito la fantasia ha preso a volare. Con la crisi economica Usa, vuoi vedere che Obama chiede aiuto a lui per tartassare gli americani e fare un po’ di cassa? Avvicinato dalla stampa, Franceschini fa il misterioso: «Vedremo, vedremo». Per chi è in cerca di notizie, una battuta del genere appare più di una conferma. L’indiscrezione arriva all’orecchio di D’Alema, che entra come un invasato nella stanza di Uolter e sbotta: «Guarda che per il posto di Segretario di Stato ci sono io, io e basta. In tutta l’America non c’è uno più bravo e umile di me... Figurati nel Pd». Veltroni prende tempo. Vorrebbe piuttosto suggerire ad Obama almeno un nome, quello del ministro del Tesoro. «Se riesco a piazzare Bersani e lui risolve la crisi americana, sai che ritorno d’immagine in Italia? Spianerebbe la strada alla nostra futura vittoria». Mentre fantastica sui futuri trionfi del Pd squilla il telefono. Lo staff di Uolter trattiene il fiato. Il segretario pure. Ecco che Obama richiama. Invece è Di Pietro. «Caro Uolter, tu adesso chiami Barack e gli dici papale papale di nominare me ministro degli Interni. Altrimenti io denuncio tutti e faccio interdire Obama per incapacità di intendere e di volere. Noi dell’Idv siamo i veri artefici della sua vittoria e ci deve premiare». È la scintilla che mancava. Mentre Veltroni spiega pazientemente all’ex pm che proprio non si può fare, perché gli americani sono gente seria e non accetterebbero mai di avere nel governo uno che vorrebbe in galera il principale avversario politico (tanto più se si tratta di un reduce e di un eroe di guerra), nella stanza cominciano le urla ed esplode la rissa.
Parisi vuole la Difesa, il giovane Colaninno l’Energia, la Madia, mettendo ancora una volta a disposizione - questa volta degli Usa - la sua inesperienza, chiede di diventare ministro degli affari dei veterani. Uolter, invece di arrabbiarsi, guarda la zuffa e sorride paterno di fronte a tante, legittime, aspirazioni.
C’è grande tensione in piazza Sant’Anastasia, un’attesa mista a febbre presso la sede del Pd, per vedere come Obama comporrà il suo staff. Visco spera nel ripescaggio, D’Alema scalpita, Bersani spera, Di Pietro no. Veltroni è arrivato in ritardo per essere passato prima all’anagrafe di Roma a modificare il suo nome di battesimo, da Walter a Uolter. Gli impiegati del comune gli hanno fatto storie: «È già la terza volta che viene. Prima aveva cambiato il cognome in Veltronì, in onore della Segolène Royal, poi è tornato all’originale non appena la candidata presidente ha preso una sonora bastonata nella corsa all’Eliseo. Adesso vuo’ fa’ l’ammerikano. Adesso basta».
Risolta la grana, Veltroni in fretta e furia si è chiuso nella sua stanza e dal quartier generale del Pd si è subito messo al telefono per trattare con Obama la squadra di governo, lo staff della Casa Bianca. I cronisti che si ammassano dietro la sua porta lo hanno sentito urlare con la grinta che gli è propria: « Eh no, caro Barack, io ti ho consegnato l’America in un piatto d’argento, hai usufruito delle mie migliori teste d’uovo per individuare la strategia vincente, ti ho mandato la Melandri, privandomi per una settimana di una risorsa fondamentale per il mio partito qui in Italia, che ha spianato la strada al tuo trionfo convincendo a votare milioni di donne. Come chi è la Melandri? Adesso non fare il finto tonto». Subito dopo si è sentito un gran trambusto, rumore inequivocabile di un telefono sbattuto. Chi era presente alla conversazione ha gonfiato orgogliosamente il petto dopo aver assistito alla prova di forza di Veltroni.
Qualcuno ha però giurato di aver chiaramente sentito dall’altro capo del filo una linea che s’interrompeva prima della sfuriata di Uolter. Menzogne messe in giro ad arte dal centrodestra, tagliano corto da piazza Sant’Anastasia. Gliel’ha cantata, va dicendo in giro Bettini. Il pool di cronisti, ubbidiente, prende atto, sorride, approva facendo convinto di sì con la testa come un sol uomo. Si prendono freneticamente appunti.
E nei corridoi impazza il toto-ministri. Si è rivisto Vincenzo Visco, e subito la fantasia ha preso a volare. Con la crisi economica Usa, vuoi vedere che Obama chiede aiuto a lui per tartassare gli americani e fare un po’ di cassa? Avvicinato dalla stampa, Franceschini fa il misterioso: «Vedremo, vedremo». Per chi è in cerca di notizie, una battuta del genere appare più di una conferma. L’indiscrezione arriva all’orecchio di D’Alema, che entra come un invasato nella stanza di Uolter e sbotta: «Guarda che per il posto di Segretario di Stato ci sono io, io e basta. In tutta l’America non c’è uno più bravo e umile di me... Figurati nel Pd». Veltroni prende tempo. Vorrebbe piuttosto suggerire ad Obama almeno un nome, quello del ministro del Tesoro. «Se riesco a piazzare Bersani e lui risolve la crisi americana, sai che ritorno d’immagine in Italia? Spianerebbe la strada alla nostra futura vittoria». Mentre fantastica sui futuri trionfi del Pd squilla il telefono. Lo staff di Uolter trattiene il fiato. Il segretario pure. Ecco che Obama richiama. Invece è Di Pietro. «Caro Uolter, tu adesso chiami Barack e gli dici papale papale di nominare me ministro degli Interni. Altrimenti io denuncio tutti e faccio interdire Obama per incapacità di intendere e di volere. Noi dell’Idv siamo i veri artefici della sua vittoria e ci deve premiare». È la scintilla che mancava. Mentre Veltroni spiega pazientemente all’ex pm che proprio non si può fare, perché gli americani sono gente seria e non accetterebbero mai di avere nel governo uno che vorrebbe in galera il principale avversario politico (tanto più se si tratta di un reduce e di un eroe di guerra), nella stanza cominciano le urla ed esplode la rissa.
Parisi vuole la Difesa, il giovane Colaninno l’Energia, la Madia, mettendo ancora una volta a disposizione - questa volta degli Usa - la sua inesperienza, chiede di diventare ministro degli affari dei veterani. Uolter, invece di arrabbiarsi, guarda la zuffa e sorride paterno di fronte a tante, legittime, aspirazioni.
Torna a squillare il telefono. È la segreteria di Barack Obama. Nel quartier generale cala il silenzio. Veltroni ascolta, poi risponde: «Yes, of course». Chiude la comunicazione. Il suo staff pende dalle sue labbra. L’attesa diventa insopportabile. Uolter fa un profondo sospiro. «La vice segretaria di Obama ci ha chiesto se possiamo fargli avere una fornitura di mozzarelle di bufala e di sfogliatelle napoletane, perché il presidente americano vuole accogliere nel migliore dei modi, facendolo sentire a casa sua, il premier Berlusconi nella sua prossima visita a Washington. Yes, we can».
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