“Libero” oggi era particolarmente ricco di articoli ed interventi interessanti. Di seguito riporto l’intervento, sempre sulla quaestio Obama, di Maurizio Lupi, vicepresidente Pdl alla Camera dei Deputati.
Lo dico prendendo in prestito una frase cara al comico Maurizio Crozza: francamente non capisco la relazione. Non capisco perché il segretario del principale partito d’opposizione italiano organizzi una manifestazione in piazza per festeggiare la vittoria, alle elezioni presidenziali Usa, di Barack Obama come se fosse stato merito suo. Non capisco perché Giorgio Tonini, uno dei suoi principali consiglieri, vada in giro a dire che questa vittoria «rafforzerà la leadership di Veltroni». No, proprio non capisco. Certo, il Pd ha tutto il diritto per tifare per chi vuole e di essere felice per questo risultato, ma il tifo è una cosa, la politica un’altra. Mi sembra di vedere, dietro tutto questo entusiasmo, un difetto tipico della politica italiana che guarda al mondo sempre attraverso la lente distorta delle sue piccole beghe interne.
Barack Obama è il 44° presidente degli Stati Uniti, il primo della storia nero. È un democratico e questo, sicuramente, avrà delle implicazioni politiche. Ma l’America è un Paese complesso, profondamente diverso dall’Italia. A New York, in Ohio, in Florida non ha vinto il Pd. Andare in piazza a gridare che il vento è cambiato, che la stagione di Berlusconi, come quella di Bush, è ormai giunta al capolinea, mi sembra un po’ eccessivo. Anche perché, lo ripeto, non c’è relazione. La sinistra americana, se così vogliamo chiamarla, non è la sinistra italiana. Anche dal punto di vista valoriale. Per anni, ad esempio, i comunisti made in Italy hanno guardato all’America come il “male assoluto” anche se a guidarla c’erano uomini espressione della tradizione democratica. E ancora oggi c’è chi si “diverte” a bruciare bandiere a stelle e strisce in piazza.
Certo, sicuramente l’elezione di Obama rappresenta, a suo modo, una svolta, ma vorrei richiamare tutti ad un sano realismo. Ci siamo già passati con Tony Blair dipinto inizialmente come l’uomo che, da sinistra, avrebbe cambiato l’Europa (aiutato da Romano Prodi, Bill Clinton e Gerhard Schroder, il famoso “Ulivo mondiale”) e poi presto scaricato fino a diventare un guerrafondaio per il suo sostegno agli americani in Iraq.
I meccanismi che regolano la vita politica del mondo sono un po’ più complessi, vanno decisamente oltre la sfida tutta italiana tra Veltroni e Berlusconi. Il presidente del Consiglio lo sa bene al punto che, da uomo di Stato, ha subito sottolineato di aver avuto buoni rapporti con tutti i presidenti americani.
Tra l’altro non va dimenticato che Obama dovrà fare i conti con un’Unione Europea in cui l’asse trainante è costituito da governi di "centrodestra" e questo non sarà indifferente. Non è un caso, ad esempio, che nel suo viaggio europeo, Obama non abbia toccato la Spagna di Zapatero che in molti, in Italia, considerano come un esempio da imitare. Insomma cosa sarà l’America dopo questo voto è tutto da scoprire. E non posso evitare di chiedermi come si comporterà il Pd quando, e la cosa avverrà sicuramente, il neopresidente Usa chiederà di intensificare la presenza militare in Afghanistan. Da che parte si schiererà? Veltroni ha tutto il diritto di essere felice, di ricordare che ha creduto in questa candidatura e l’ha “sponsorizzata”, ma non è certo merito suo se gli Usa hanno eletto il loro primo presidente nero.
Lo dico prendendo in prestito una frase cara al comico Maurizio Crozza: francamente non capisco la relazione. Non capisco perché il segretario del principale partito d’opposizione italiano organizzi una manifestazione in piazza per festeggiare la vittoria, alle elezioni presidenziali Usa, di Barack Obama come se fosse stato merito suo. Non capisco perché Giorgio Tonini, uno dei suoi principali consiglieri, vada in giro a dire che questa vittoria «rafforzerà la leadership di Veltroni». No, proprio non capisco. Certo, il Pd ha tutto il diritto per tifare per chi vuole e di essere felice per questo risultato, ma il tifo è una cosa, la politica un’altra. Mi sembra di vedere, dietro tutto questo entusiasmo, un difetto tipico della politica italiana che guarda al mondo sempre attraverso la lente distorta delle sue piccole beghe interne.
Barack Obama è il 44° presidente degli Stati Uniti, il primo della storia nero. È un democratico e questo, sicuramente, avrà delle implicazioni politiche. Ma l’America è un Paese complesso, profondamente diverso dall’Italia. A New York, in Ohio, in Florida non ha vinto il Pd. Andare in piazza a gridare che il vento è cambiato, che la stagione di Berlusconi, come quella di Bush, è ormai giunta al capolinea, mi sembra un po’ eccessivo. Anche perché, lo ripeto, non c’è relazione. La sinistra americana, se così vogliamo chiamarla, non è la sinistra italiana. Anche dal punto di vista valoriale. Per anni, ad esempio, i comunisti made in Italy hanno guardato all’America come il “male assoluto” anche se a guidarla c’erano uomini espressione della tradizione democratica. E ancora oggi c’è chi si “diverte” a bruciare bandiere a stelle e strisce in piazza.
Certo, sicuramente l’elezione di Obama rappresenta, a suo modo, una svolta, ma vorrei richiamare tutti ad un sano realismo. Ci siamo già passati con Tony Blair dipinto inizialmente come l’uomo che, da sinistra, avrebbe cambiato l’Europa (aiutato da Romano Prodi, Bill Clinton e Gerhard Schroder, il famoso “Ulivo mondiale”) e poi presto scaricato fino a diventare un guerrafondaio per il suo sostegno agli americani in Iraq.
I meccanismi che regolano la vita politica del mondo sono un po’ più complessi, vanno decisamente oltre la sfida tutta italiana tra Veltroni e Berlusconi. Il presidente del Consiglio lo sa bene al punto che, da uomo di Stato, ha subito sottolineato di aver avuto buoni rapporti con tutti i presidenti americani.
Tra l’altro non va dimenticato che Obama dovrà fare i conti con un’Unione Europea in cui l’asse trainante è costituito da governi di "centrodestra" e questo non sarà indifferente. Non è un caso, ad esempio, che nel suo viaggio europeo, Obama non abbia toccato la Spagna di Zapatero che in molti, in Italia, considerano come un esempio da imitare. Insomma cosa sarà l’America dopo questo voto è tutto da scoprire. E non posso evitare di chiedermi come si comporterà il Pd quando, e la cosa avverrà sicuramente, il neopresidente Usa chiederà di intensificare la presenza militare in Afghanistan. Da che parte si schiererà? Veltroni ha tutto il diritto di essere felice, di ricordare che ha creduto in questa candidatura e l’ha “sponsorizzata”, ma non è certo merito suo se gli Usa hanno eletto il loro primo presidente nero.
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