"Il Giorno - Resto del Carlino - La Nazione" ha pubblicato oggi un commento di Bruno Vespa, intitolato "La scuola italiana è diventata un salvagente sociale". Lo riprendo perché dà alcune informazioni e spunti interessanti di riflessione.
Ma era davvero necessario tutto questo can can contro Mariastella Gelmini? Dal punto di vista politico, si capisce. La scuola è il terreno più fertile per le mobilitazioni del Pd. Il 42% degli insegnanti ha votato in aprile per Veltroni e Bertinotti (36 più 6) contro il 36% della media degli elettori (33 più 3).
Interrompere con un grande sciopero e con un forte martellamento mediatico la luna di miele del Cavaliere era politicamente indispensabile. Ma anche utile a professori e studenti? Il decreto Gelmini si divide in due gruppi. Su uno i consensi sono largamente maggioritari: insegnamento della Costituzione, sostituzione del voto al giudizio, valorizzazione del voto in condotta, mantenimento dei libri di testo per cinque anni, piano straordinario per la sicurezza degli edifici scolastici. Perfino sul ritorno al grembiule, non previsto ovviamente dal decreto, ma solo consigliato, sono quasi tutti d'accordo. La polemica nasce dal ritorno al maestro unico. In Europa c'è dappertutto, salvo che in Germania, dove viene introdotto tuttavia a partire dalla terza classe. Maestro unico anche in Inghilterra, dove però cambia ogni anno. Per capire l'anomalia italiana dobbiamo ricordare un po' di numeri. Nella nostra scuola primaria c'è un insegnante ogni 10,7 alunni.
La media Ocse è di uno ogni 16. In Inghilterra e in Francia ce n'è uno ogni 20. In Spagna e in Austria, uno ogni 14. Negli Stati Uniti e in Svizzera, uno ogni 15. In Giappone, uno ogni 19. A parità di potere d'acquisto, in Italia spendiamo per ogni alunno delle elementari 6.835 dollari, contro i 5.365 della Francia, i 5.014 della Germania, i 5.502 della Spagna, i 6.361 dell'Inghilterra.
Spendiamo più di tutti eppure i nostri insegnanti di qualunque livello sono i meno pagati. Un professore di liceo guadagna dopo quindici anni di insegnamento 26.400 euro, contro una media Ocse di 34.800 euro, in linea con i principali paesi europei. Ma i tedeschi arrivano a 44.400 euro e gli olandesi a 49.000.
A questo punto dobbiamo intenderci: se abbiamo il maggior numero di insegnanti per alunno, il minor numero di studenti per classe (18,4, da quattro a sei in meno dei principali paesi europei), il maggior costo per alunno e il minor stipendio per insegnante, c'è qualcosa che non funziona. Che cosa? Piaccia o no, fin dalla Prima Repubblica la scuola è stata intesa come un gigantesco ammortizzatore sociale. Vi lavora molta più gente di quanta non ne serva. Si pensi all'esercito dei bidelli: 167mila contro 118mila carabinieri incaricati di presidiare un territorio enorme.
Si abbia allora il coraggio di dire che è meglio continuare così: bisogna sostituire per ragioni sociali - e non didattiche - i centomila insegnanti che andranno in pensione nei prossimi tre anni e confermare gli 87mila supplenti di cui la Gelmini vuole fare a meno perché non servono. Altro scontro paradossale è quello sul tempo pieno. La sinistra dice che col maestro unico sarà abolito, il governo ribatte che sarà aumentato. La prova l'avremo il 31 gennaio con le iscrizioni alle elementari: se il tempo pieno non ci sarà più, la Gelmini si dimetta. Se sarà incrementato, i suoi contestatori le chiedano pubblicamente scusa.
Si sta facendo una gran confusione anche sull'università. Sono stati annunciati dei tagli. Tutti i principali commentatori sono d'accordo che possano starci, ma hanno ragione quando dicono che non si può fare di tutt'erba un fascio. Giusto. Visto che abbiamo 150mila insegnamenti contro i 90mila della media europea, 37 corsi di laurea con un solo studente, 113 con meno di dieci studenti, 323 con meno di quindici, 92 atenei con 320 sedi distaccate, alcuni (pochi) d'eccellenza e altri in fallimento, perché i rettori non portano al ministro una bella tabella su ciò che c'è da valorizzare e ciò che c'è da chiudere?
Interrompere con un grande sciopero e con un forte martellamento mediatico la luna di miele del Cavaliere era politicamente indispensabile. Ma anche utile a professori e studenti? Il decreto Gelmini si divide in due gruppi. Su uno i consensi sono largamente maggioritari: insegnamento della Costituzione, sostituzione del voto al giudizio, valorizzazione del voto in condotta, mantenimento dei libri di testo per cinque anni, piano straordinario per la sicurezza degli edifici scolastici. Perfino sul ritorno al grembiule, non previsto ovviamente dal decreto, ma solo consigliato, sono quasi tutti d'accordo. La polemica nasce dal ritorno al maestro unico. In Europa c'è dappertutto, salvo che in Germania, dove viene introdotto tuttavia a partire dalla terza classe. Maestro unico anche in Inghilterra, dove però cambia ogni anno. Per capire l'anomalia italiana dobbiamo ricordare un po' di numeri. Nella nostra scuola primaria c'è un insegnante ogni 10,7 alunni.
La media Ocse è di uno ogni 16. In Inghilterra e in Francia ce n'è uno ogni 20. In Spagna e in Austria, uno ogni 14. Negli Stati Uniti e in Svizzera, uno ogni 15. In Giappone, uno ogni 19. A parità di potere d'acquisto, in Italia spendiamo per ogni alunno delle elementari 6.835 dollari, contro i 5.365 della Francia, i 5.014 della Germania, i 5.502 della Spagna, i 6.361 dell'Inghilterra.
Spendiamo più di tutti eppure i nostri insegnanti di qualunque livello sono i meno pagati. Un professore di liceo guadagna dopo quindici anni di insegnamento 26.400 euro, contro una media Ocse di 34.800 euro, in linea con i principali paesi europei. Ma i tedeschi arrivano a 44.400 euro e gli olandesi a 49.000.
A questo punto dobbiamo intenderci: se abbiamo il maggior numero di insegnanti per alunno, il minor numero di studenti per classe (18,4, da quattro a sei in meno dei principali paesi europei), il maggior costo per alunno e il minor stipendio per insegnante, c'è qualcosa che non funziona. Che cosa? Piaccia o no, fin dalla Prima Repubblica la scuola è stata intesa come un gigantesco ammortizzatore sociale. Vi lavora molta più gente di quanta non ne serva. Si pensi all'esercito dei bidelli: 167mila contro 118mila carabinieri incaricati di presidiare un territorio enorme.
Si abbia allora il coraggio di dire che è meglio continuare così: bisogna sostituire per ragioni sociali - e non didattiche - i centomila insegnanti che andranno in pensione nei prossimi tre anni e confermare gli 87mila supplenti di cui la Gelmini vuole fare a meno perché non servono. Altro scontro paradossale è quello sul tempo pieno. La sinistra dice che col maestro unico sarà abolito, il governo ribatte che sarà aumentato. La prova l'avremo il 31 gennaio con le iscrizioni alle elementari: se il tempo pieno non ci sarà più, la Gelmini si dimetta. Se sarà incrementato, i suoi contestatori le chiedano pubblicamente scusa.
Si sta facendo una gran confusione anche sull'università. Sono stati annunciati dei tagli. Tutti i principali commentatori sono d'accordo che possano starci, ma hanno ragione quando dicono che non si può fare di tutt'erba un fascio. Giusto. Visto che abbiamo 150mila insegnamenti contro i 90mila della media europea, 37 corsi di laurea con un solo studente, 113 con meno di dieci studenti, 323 con meno di quindici, 92 atenei con 320 sedi distaccate, alcuni (pochi) d'eccellenza e altri in fallimento, perché i rettori non portano al ministro una bella tabella su ciò che c'è da valorizzare e ciò che c'è da chiudere?
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