Nella sua rubrica "Il dubbio", Piero Ostellino su "Il Corriere della Sera" di oggi scrive un suo commento intitolato "La violenza delle minoranze". Vale la pena di leggerlo.
Lo Stato si è squagliato come neve al sole. È diventato una sorta di «8 settembre permanente». La Cassazione ribadisce che l'interruzione di pubblico servizio è reato, perché «è sufficiente che l'entità del turbamento della regolarità dell'ufficio o l'interruzione del medesimo... siano stati idonei ad alterare il tempestivo, ordinato ed efficiente sviluppo del servizio, anche in termini di limitata durata temporale»; ma, poi, afferma che non è causa sufficiente a giustificare l'impossibilità dell'avvocato difensore a presenziare all'udienza. Ai diritti del cittadino non è riconosciuta dignità pari a quelli di chi occupa, blocca il traffico, eccetera.
Poiché sottostante alla giurisprudenza c'è «una certa idea» del Contratto sociale, qualcuno, e da sinistra Antonio Polito, amico mio, fallo almeno tu sul Riformista - dovrebbe spiegare al Partito democratico che non diventerà una sinistra riformista fino a quando non accetterà il principio che la democrazia rappresentativa non è un'assemblea aperta, in seduta permanente fra rappresentanti e rappresentati. La democrazia rappresentativa si fonda sul principio della delega. Il popolo detiene il potere di governare, ma non governa direttamente; governano i suoi rappresentanti, cui il popolo - con le elezioni - ne ha delegato l`esercizio.
Non passa, invece, occasione che il Pd - di fronte a un provvedimento sgradito - non invochi «l'apertura di un dialogo» fra governo (i rappresentanti del popolo) e società civile (il popolo). Ora, non ci piove che sia buona prassi, e persino nell'interesse di ogni governo democratico, consultare, oltre all'opposizione parlamentare, i soggetti sociali interessati quando deve prendere decisioni che li riguardino. Ma un conto è che accada «prima»; un'altra è invocare che accada «dopo» che la decisione sia diventata legge dello Stato. In questo secondo caso siamo alla negazione della democrazia rappresentativa. Ciò non esclude che opposizione parlamentare e soggetti sociali interessati abbiano diritto di manifestare, anche dopo che la decisione sia stata presa.
Ma, qui, si gioca su un altro terreno: quello dei diritti (di libertà) costituzionali; non su quello delle procedure di formazione delle decisioni, cioè del funzionamento della democrazia.
La sinistra post-comunista queste cose le sa. Ma o non riesce ancora a metabolizzarle - per un riflesso antidemocratico - o le fa comodo fingere di ignorarle e usare la piazza per supplire alla propria condizione di minoranza parlamentare, perpetuando una vocazione assemblearistica ancora presente nel Paese. Che si tratti di cattivo funzionamento del metabolismo democratico o di finzione strumentale, il Pd finisce, così, con legittimare le minoranze che tentano di imporre con la violenza la propria volontà. Violenza che si concreta in un reato: nell'interruzione di un pubblico servizio; dal blocco di un treno, a danno di cittadini estranei alla questione, all'occupazione di un'università, contro studenti che vorrebbero continuare a seguire le lezioni.
Poiché sottostante alla giurisprudenza c'è «una certa idea» del Contratto sociale, qualcuno, e da sinistra Antonio Polito, amico mio, fallo almeno tu sul Riformista - dovrebbe spiegare al Partito democratico che non diventerà una sinistra riformista fino a quando non accetterà il principio che la democrazia rappresentativa non è un'assemblea aperta, in seduta permanente fra rappresentanti e rappresentati. La democrazia rappresentativa si fonda sul principio della delega. Il popolo detiene il potere di governare, ma non governa direttamente; governano i suoi rappresentanti, cui il popolo - con le elezioni - ne ha delegato l`esercizio.
Non passa, invece, occasione che il Pd - di fronte a un provvedimento sgradito - non invochi «l'apertura di un dialogo» fra governo (i rappresentanti del popolo) e società civile (il popolo). Ora, non ci piove che sia buona prassi, e persino nell'interesse di ogni governo democratico, consultare, oltre all'opposizione parlamentare, i soggetti sociali interessati quando deve prendere decisioni che li riguardino. Ma un conto è che accada «prima»; un'altra è invocare che accada «dopo» che la decisione sia diventata legge dello Stato. In questo secondo caso siamo alla negazione della democrazia rappresentativa. Ciò non esclude che opposizione parlamentare e soggetti sociali interessati abbiano diritto di manifestare, anche dopo che la decisione sia stata presa.
Ma, qui, si gioca su un altro terreno: quello dei diritti (di libertà) costituzionali; non su quello delle procedure di formazione delle decisioni, cioè del funzionamento della democrazia.
La sinistra post-comunista queste cose le sa. Ma o non riesce ancora a metabolizzarle - per un riflesso antidemocratico - o le fa comodo fingere di ignorarle e usare la piazza per supplire alla propria condizione di minoranza parlamentare, perpetuando una vocazione assemblearistica ancora presente nel Paese. Che si tratti di cattivo funzionamento del metabolismo democratico o di finzione strumentale, il Pd finisce, così, con legittimare le minoranze che tentano di imporre con la violenza la propria volontà. Violenza che si concreta in un reato: nell'interruzione di un pubblico servizio; dal blocco di un treno, a danno di cittadini estranei alla questione, all'occupazione di un'università, contro studenti che vorrebbero continuare a seguire le lezioni.
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