“Il caso. Tra i leader dei Democratici gelo sugli elogi di Veltroni al neopresidente americano Obama, nel Pd spuntano i «frenatori». Rutelli e D'Alema: non abbiamo vinto noi”, così Fabrizio Roncone titola il suo pezzo oggi sul “Corriere della Sera”. Vale la lettura.
Il tema politico più caldo, nel Partito democratico, è ormai questo: Walter Veltroni fa bene o no a cavalcare l’onda lunga che arriva dagli Stati Uniti? È giusto, è strategico, è condivisibile che stia lì, a tirarsi addosso la vittoria di Barack Obama, e quindi a cavalcarla, a farla sembrare una roba se non addirittura sua, già molto italiana?
Lavorando per un tigì, certe questioni si affrontano più facilmente. Scrivi un testo e poi, in questo caso, ci monti su le immagini dell’altra sera. Si tratta di immagini assai eloquenti. Roma, piazza del Pantheon: un palco con lui, Walter Veltroni che parla commosso al microfono - «io, noi, voi tutti... beh, tutti insieme abbiamo creduto alla vittoria di quest’uomo nero...» - e dietro, schierato, lo stato maggiore del Pd al gran completo. Compreso, e questo s’era già scritto ieri, Massimo D’Alema.
Però forse su D’Alema val la pena tornare. E lasciamo stare, appunto, l’atteggiamento: a tratti stanco, e poi però come annoiato, e anzi, no, forse pure di più: quasi infastidito.
Ecco: l’altra sera D’Alema appariva come infastidito. Già, ma da cosa? Uno dei pregi del fondatore di «Red» (associazione con spiccate, ma sempre negate caratteristiche di corrente), è che alle faccette, di solito, fa comunque seguire discorsi espliciti. Sentite: «La vittoria di Obama non significa che, automaticamente, vinceremo pure in Italia...». Non solo. Prosegue D’Alema: «Io credo che la vittoria di Obama sia per noi, soprattutto, una sfida riformista sul piano generazionale...».
Poteva essere più chiaro - e polemico, e velenoso – D’Alema? No, non poteva esserlo. Voi direte: questo è il solito D’Alema. Può darsi, certo. Ma allora sentite anche Francesco Rutelli (intervista alla Stampa): «La vittoria di Obama è la vittoria del Partito democratico americano, non di quello italiano...». Che poi, diciamolo: a volte riesce ad essere.perfido persino Rutelli (di solito diplomatico, e misurato al punto da pesare le mezze frasi). Infatti, aggiunge: «Insomma, per capirci: io suggerisco a tutti di evitare ogni enfasi...».
Suggerisce a tutti? A chi? A Veltroni, innanzitutto, sembra di capire. Il quale, l’altra sera, sul palchetto di piazza del Pantheon, se davanti aveva una folla di militanti sinceramente eccitata dalla vittoria di Obama, dietro aveva forse molti colonnelli (aspiranti generali, s’intende...) scettici. Prendete uno come Nicola Latorre. Va bene, certo: è di autorevole e consacrato rito dalemiano e, soprattutto, è già stato protagonista di alcuni frontali piuttosto significativi con la segreteria del Pd. Però, adesso, ascoltatelo: «Sperare che il successo di Obama possa avere riflessi netti e immediati da queste parti, mi spiace, è una pura, patetica illusione...» .
Così Latorre. E così, pure, se non più dura, la Linda Lanzillotta, nel Pd proveniente dalla parrocchia rutelliana. «Io non credo che Veltroni pensi d’essere l’Obama italiano... sarebbe del tutto ridicola, questa ambizione... Purtroppo...». Purtroppo? «Diventi leader sul campo... non diventi Obama per grazia ricevuta...». Si riferisce sempre a Veltroni? Una risposta arriva dal quotidiano Europa, ancora sotto lo stretto controllo della Margherita, e quindi, si suppone, di Rutelli. Ieri, l’editoriale di destra (il direttore Stefano Menichini ha questa sua personale sciccheria di pubblicare, sulla prima pagina, un editoriale a destra e uno a sinistra) era così titolato: «Non cercate l’Obama italiano». Affettuosi, veltroniani (eufemismi) anche nell’attacco del pezzo: «Chi è l’Obama italiano? Dov’è l’Obama italiano? Perché non c’è l`Obama italiano?».
Altri sono invece riconoscenti (ennesimo eufemismo). Come Mario Adinolfi, un simpatico, corpulento e romanesco personaggio che, grazie al suo blog e al fascino che Veltroni subisce dai blog, è arrivato alla direzione nazionale del Pd. «No, l’Obama italiano non è tra gli attuali dirigenti del partito...» .
E la lealtà? E la complicità politica? Prendere lezione da Dario Franceschini. «A me, veramente, non sembra che Walter si sia proposto come sosia di Obama...» .
Il tema politico più caldo, nel Partito democratico, è ormai questo: Walter Veltroni fa bene o no a cavalcare l’onda lunga che arriva dagli Stati Uniti? È giusto, è strategico, è condivisibile che stia lì, a tirarsi addosso la vittoria di Barack Obama, e quindi a cavalcarla, a farla sembrare una roba se non addirittura sua, già molto italiana?
Lavorando per un tigì, certe questioni si affrontano più facilmente. Scrivi un testo e poi, in questo caso, ci monti su le immagini dell’altra sera. Si tratta di immagini assai eloquenti. Roma, piazza del Pantheon: un palco con lui, Walter Veltroni che parla commosso al microfono - «io, noi, voi tutti... beh, tutti insieme abbiamo creduto alla vittoria di quest’uomo nero...» - e dietro, schierato, lo stato maggiore del Pd al gran completo. Compreso, e questo s’era già scritto ieri, Massimo D’Alema.
Però forse su D’Alema val la pena tornare. E lasciamo stare, appunto, l’atteggiamento: a tratti stanco, e poi però come annoiato, e anzi, no, forse pure di più: quasi infastidito.
Ecco: l’altra sera D’Alema appariva come infastidito. Già, ma da cosa? Uno dei pregi del fondatore di «Red» (associazione con spiccate, ma sempre negate caratteristiche di corrente), è che alle faccette, di solito, fa comunque seguire discorsi espliciti. Sentite: «La vittoria di Obama non significa che, automaticamente, vinceremo pure in Italia...». Non solo. Prosegue D’Alema: «Io credo che la vittoria di Obama sia per noi, soprattutto, una sfida riformista sul piano generazionale...».
Poteva essere più chiaro - e polemico, e velenoso – D’Alema? No, non poteva esserlo. Voi direte: questo è il solito D’Alema. Può darsi, certo. Ma allora sentite anche Francesco Rutelli (intervista alla Stampa): «La vittoria di Obama è la vittoria del Partito democratico americano, non di quello italiano...». Che poi, diciamolo: a volte riesce ad essere.perfido persino Rutelli (di solito diplomatico, e misurato al punto da pesare le mezze frasi). Infatti, aggiunge: «Insomma, per capirci: io suggerisco a tutti di evitare ogni enfasi...».
Suggerisce a tutti? A chi? A Veltroni, innanzitutto, sembra di capire. Il quale, l’altra sera, sul palchetto di piazza del Pantheon, se davanti aveva una folla di militanti sinceramente eccitata dalla vittoria di Obama, dietro aveva forse molti colonnelli (aspiranti generali, s’intende...) scettici. Prendete uno come Nicola Latorre. Va bene, certo: è di autorevole e consacrato rito dalemiano e, soprattutto, è già stato protagonista di alcuni frontali piuttosto significativi con la segreteria del Pd. Però, adesso, ascoltatelo: «Sperare che il successo di Obama possa avere riflessi netti e immediati da queste parti, mi spiace, è una pura, patetica illusione...» .
Così Latorre. E così, pure, se non più dura, la Linda Lanzillotta, nel Pd proveniente dalla parrocchia rutelliana. «Io non credo che Veltroni pensi d’essere l’Obama italiano... sarebbe del tutto ridicola, questa ambizione... Purtroppo...». Purtroppo? «Diventi leader sul campo... non diventi Obama per grazia ricevuta...». Si riferisce sempre a Veltroni? Una risposta arriva dal quotidiano Europa, ancora sotto lo stretto controllo della Margherita, e quindi, si suppone, di Rutelli. Ieri, l’editoriale di destra (il direttore Stefano Menichini ha questa sua personale sciccheria di pubblicare, sulla prima pagina, un editoriale a destra e uno a sinistra) era così titolato: «Non cercate l’Obama italiano». Affettuosi, veltroniani (eufemismi) anche nell’attacco del pezzo: «Chi è l’Obama italiano? Dov’è l’Obama italiano? Perché non c’è l`Obama italiano?».
Altri sono invece riconoscenti (ennesimo eufemismo). Come Mario Adinolfi, un simpatico, corpulento e romanesco personaggio che, grazie al suo blog e al fascino che Veltroni subisce dai blog, è arrivato alla direzione nazionale del Pd. «No, l’Obama italiano non è tra gli attuali dirigenti del partito...» .
E la lealtà? E la complicità politica? Prendere lezione da Dario Franceschini. «A me, veramente, non sembra che Walter si sia proposto come sosia di Obama...» .
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