mercoledì 19 novembre 2008

Veltroni quinta colonna di Berlusconi

“Veltroni esulta, poi gli spiegano: è merito di Silvio” è un pezzo di Elisa Calessi, pubblicato stamani su “Libero”, argomento ovviamente l’affair Vigilanza Rai, ovvero l’affair “Veltroni quinta colonna di Berlusconi”. E se qualcuno deve dimettersi, proprio il segretario “due di picche” potrebbe farci un pensierino - se gli restasse soltanto una briciola di pudore.

Pochi minuti dopo le 17.30, dopo un’altra giornata di passione per Walter Veltroni, sembrava che il pasticciaccio della Commissione di Vigilanza Rai fosse risolto. L’accordo tra maggioranza e opposizione è raggiunto, facevano sapere dal Pd. Il nome che mette d’accordo tutti è Sergio Zavoli, ex presidente della Rai, ora senatore del Pd. Resta da risolvere, però, un dettaglio non di poco conto. Per eleggere Zavoli bisogna che Riccardo Villani, presidente eletto con il blitz della maggioranza, ma pur sempre eletto, si dimetta. E fino a ieri sera non l’aveva fatto. E con il passare delle ore erano in molti, nel Pd, a temere una resistenza a oltranza che rimetterebbe tutto in gioco. In ogni caso la scelta di Zavoli ha incassato anche la benedizione di Silvio Berlusconi. Dunque la soluzione, a sera, sembrava vicina. Il trionfalismo dell’annuncio è ridotto, poi, da un altro dettaglio. Il primo a proporre il nome dell’ex presidente Rai è stato il giornalista Pierluigi Diaco il 3 ottobre scorso. L’idea riscuote il sostegno di Rita Levi Montalcini, di Alessandra Mussolini, di Luciano Nobili, dei giovani del Pd. Ma dal loft gelano gli entusiasmi: «Il Pd ha altri i progetti soprattutto la candidatura sarebbe tecnicamente insostenibile» visto che Zavoli non fa parte della Vigilanza. Un mese e mezzo dopo va bene. E il problema tecnico è risolto: basta che uno del Pd si dimetta, si spiega, perché il nuovo designato prenda il suo posto.
Walter va al Colle
Incognite e ripensamenti a parte, la giornata di ieri segna una svolta nell’odissea della Vigilanza. Il primo scossone lo dà l’Italia dei Valori che annuncia il ritiro dei suoi due uomini, Pancho Pardi e Leoluca Orlando, dalla commissione. Intanto il segretario del Pd va al Quirinale per cercare una sponda istituzionale. Al termine dell’incontro con Giorgio Napolitano, il segretario del Pd fa sapere di aver auspicato «un clima di rispetto e confronto istituzionale». Senza mai nominare il caso Rai, lamenta il fatto che il governo «si è caratterizzato per iniziative e comportamenti politico-istituzionali» che hanno svilito il Parlamento. Parla di «scontro sociale», definisce di «particolare gravità» il «comportamento» della maggioranza «nei confronti dell’opposizione e in particolare del Partito democratico con attacchi insultanti ed offensivi». Poi convoca il coordinamento del partito, dove riferisce la novità: ha sentito Gianni Letta il quale ha dato invia libera a Zavoli. Si tratta, ora, di convincere Villari a lasciare, ma anche, precisa il segretario, di avere il benestare di Berlusconi che si trova a Trieste per l’incontro con Angela Merkel. Alle due meno un quarto Dario Franceschini convoca a Montecitorio i commissari del Pd in Vigilanza e Villari. «Ora che Di Pietro ha ritirato i suoi, lo scenario è cambiato», attacca il vice di Veltroni. Tolto Orlando, si può pensare a una soluzione nuova e condivisa. E gli viene accennata l’ipotesi Zavoli. «Non abbiamo nulla di personale nei tuoi confronti», spiega al senatore-presidente, «ma sei stato eletto coi voti del centrodestra, non puoi essere espressione del Pd». Tutta questa vicenda ha già creato un «danno al partito». Paolo Gentiloni gli fa notare che dimettersi ora converrebbe anche a lui: «Passeresti come l’uomo che ha contribuito a sbloccare la situazione». Villari, però, non cede. Ricorda che non è un signor nessuno: lui i voti ce li ha, quando si è candidato al consiglio regionale della Campania ha avuto 14 mila preferenze, Antonio Bassolino gli aveva perfino offerto un assessorato che lui ha rifiutato. Franceschini insiste: «Il problema non sei tu, ma il modo in cui sei stato eletto, si è creato un vulnus nelle regole democratiche, capisci?» Gli si ricorda che se non si dimette, non si potranno evitare conseguenze disciplinari. «Si è preso un’ora di tempo per pensarci», riferisce Vincenzo Vita, presente alla riunione, all’uscita. «Un’ora?, questo lo dicono loro... io non parlo», risponde Villani dirigendosi al Senato per incontrare il presidente Renato Schifani.
Villari irreperibile
Intanto la diplomazia del Pd è al lavoro. Veltroni chiama Pier Ferdinando Casini che dà il suo assenso. Dalla maggioranza, però, arrivano segnali discordanti. «Il presidente della Vigilanza c’è già e si chiama Villani», dice a Libero Italo Bocchino. Intanto nel Pd sono tutti appesi al Cavaliere: parlerà, non parlerà. Si riconosce che se il premier volesse mettere nei guai il Pd, potrebbe rifiutare anche Zavoli. L’unico spiraglio, si dice, è che Berlusconi ha interesse a nominare in fretta il nuovo cda così da eleggere il nuovo presidente della Rai (a questo punto torna in auge Pietro Calabrese, secondo il vecchio accordo). Intanto si aspetta il passo indietro di Villari che, però, diventa irreperibile. Lo cercano il segretario, Anna Finoèchiaro. Niente. Finalmente arriva la dichiarazione di Berlusconi: «Zavoli è una persona assolutamente idonea». II direttivo del Pd, convocato per decidere eventuali sanzioni contro Villari, è aggiornato a oggi. Ma ora che la faccenda si avvia a soluzione, è possibile si chiuda un occhio. «I provvedimenti disciplinari sono cose delicate, se si può e meglio evitarle», si fa sapere. Quel che certo, ed era il commento generale nel Pd, e che il lieto fine (se ci sarà) non elimina il danno che l’intera vicenda ha provocato. «Comunque finisca», commentava un dirigente del partito, «abbiamo fatto una figuraccia e si è dimostrato che Walter, in questo partito, non comanda più».

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