Caso Latorre, un altro articolo di stamani da “Il Messaggero”, autore Nino Bertoloni Meli, titolo: “Vigilanza, oggi il D-Day. Ma nel Pd scoppia il caso Latorre. Il senatore democrat in tv passa a Bocchino un bigliettino di consigli anti Idv”.
Galeotto fu il pizzino ma non chi lo scrisse. Quei due-tre consigli vergati da Nicola Latorre e passati all’avversario Italo Bocchino hanno fatto il giro di giornali, web e siti, La7 per giunta li ha lanciati e rilanciati e tutta la vicenda è diventata sale sparso sulle ferite dell’affaire Villari-Vigilanza Rai. Nel Pd, come al solito epicentro del sisma, è andata in onda una prima avvisaglia di quel che potrebbe diventare un congresso all’insegna della resa dei conti tra veltroniani e dalemiani con le altre componenti che sbuffano e mal sopportano questo duello infinito che si tramanda da oltre un ventennio. «Veramente per litigare bisogna essere in due, e io non ne ho alcuna voglia», ripete Walter Veltroni.
Come che sia quel bigliettino ribattezzato pizzino («Io non posso, ma tu ricorda Pecorella e la Consulta») è costato a Latorre la perdita del posto. L’aveva annunciato lui stesso spontaneamente, «intendo farmi da parte per far posto a Zavoli in Vigilanza», poi Veltroni ha chiamato in mattinata Latorre e si è detto favorevole al gesto, quindi il vice capogruppo dei senatori è andato da Anna Finocchiaro per comunicargli la decisione e la capogruppo ha ringraziato per il bel gesto.
La vicenda era considerata conclusa, ma di lì a poco dalle retrovie sono partite bordate incrociate di qualche fante e il “caso Latorre” è ridiventato il “caso Pd”. «Quel che ha fatto Latorre è grave, c’è un problema di compatibilità con la sua carica di vice capogruppo», notava bellicosamente Stefano Ceccanti neo senatore veltroniano ultrà. «Qui c’è puzza di stalinismo, si vuole colpire il dissenso politico per di più in una vicenda Rai condotta politicamente malissimo», ribattevano dalemiani altrettanto ultrà come Gualtieri e De Castro, con il lettiano Boccia di rincalzo. «Ma quale stalinismo, questo partito sembra piuttosto una casa d’appuntamenti dove si entra e si esce e si fa come si vuole», ironizzava pesantemente Giorgio Tonini, veltroniano super ultrà. Nel frattempo si muovevano due pezzi grossi come Beppe Fioroni e Goffredo Bettini che suonavano lo stesso spartito: «Se qualcuno ha pensato di fare le scarpe a Veltroni ne è uscito scornato, da pifferaio è stato suonato». Fioroni in versione Torquemada l’altro giorno si era presentato con un fascicolo che recava la minacciosa intestazione “Villari+2”, «che significa più due?», gli hanno chiesto, e lui «fascicolo Villari più Morri e Latorre». Scendevano in campo i mediatori. Pierluigi Bersani si tirava fuori e forse investendo sul futuro dichiarava «basta parlare di complotti, basta farci descrivere come una arena con fortini assediati e tradimenti, occupiamoci dei problemi seri». Gianni Cuperlo, battitore libero dalemiano, cerchiobottava: «Latorre ha sbagliato, ma tutta la vicenda è stata gestita male». In serata tirava le somme Veltroni: che senza citare nessuno per nome e cognome però sferzava: «Tutta la vicenda Rai è stata condotta con linearità e alla luce del sole, senza giochini, abbiamo ribadito il principio che non può essere la maggioranza a scegliere l’opposizione». Lo scontro al momento si ferma qui. Nessuno dei contendenti ha la forza per prevalere, né Veltroni mostra di voler usare la truculenta massima maoista di “bastonare il can che annega”. Le ostilità si apriranno sicuramente, invece. nel caso oggi Riccardo Villari non si dimettesse da capo della Vigilanza.
Ieri ha incontrato Gianfranco Fini al quale avrebbe annunciato che lascia, poi sono seguite dichiarazioni giudicate ambigue, talché al Senato la Finocchiaro ha deciso: se non lascia verrà automaticamente espulso dal gruppo.
Galeotto fu il pizzino ma non chi lo scrisse. Quei due-tre consigli vergati da Nicola Latorre e passati all’avversario Italo Bocchino hanno fatto il giro di giornali, web e siti, La7 per giunta li ha lanciati e rilanciati e tutta la vicenda è diventata sale sparso sulle ferite dell’affaire Villari-Vigilanza Rai. Nel Pd, come al solito epicentro del sisma, è andata in onda una prima avvisaglia di quel che potrebbe diventare un congresso all’insegna della resa dei conti tra veltroniani e dalemiani con le altre componenti che sbuffano e mal sopportano questo duello infinito che si tramanda da oltre un ventennio. «Veramente per litigare bisogna essere in due, e io non ne ho alcuna voglia», ripete Walter Veltroni.
Come che sia quel bigliettino ribattezzato pizzino («Io non posso, ma tu ricorda Pecorella e la Consulta») è costato a Latorre la perdita del posto. L’aveva annunciato lui stesso spontaneamente, «intendo farmi da parte per far posto a Zavoli in Vigilanza», poi Veltroni ha chiamato in mattinata Latorre e si è detto favorevole al gesto, quindi il vice capogruppo dei senatori è andato da Anna Finocchiaro per comunicargli la decisione e la capogruppo ha ringraziato per il bel gesto.
La vicenda era considerata conclusa, ma di lì a poco dalle retrovie sono partite bordate incrociate di qualche fante e il “caso Latorre” è ridiventato il “caso Pd”. «Quel che ha fatto Latorre è grave, c’è un problema di compatibilità con la sua carica di vice capogruppo», notava bellicosamente Stefano Ceccanti neo senatore veltroniano ultrà. «Qui c’è puzza di stalinismo, si vuole colpire il dissenso politico per di più in una vicenda Rai condotta politicamente malissimo», ribattevano dalemiani altrettanto ultrà come Gualtieri e De Castro, con il lettiano Boccia di rincalzo. «Ma quale stalinismo, questo partito sembra piuttosto una casa d’appuntamenti dove si entra e si esce e si fa come si vuole», ironizzava pesantemente Giorgio Tonini, veltroniano super ultrà. Nel frattempo si muovevano due pezzi grossi come Beppe Fioroni e Goffredo Bettini che suonavano lo stesso spartito: «Se qualcuno ha pensato di fare le scarpe a Veltroni ne è uscito scornato, da pifferaio è stato suonato». Fioroni in versione Torquemada l’altro giorno si era presentato con un fascicolo che recava la minacciosa intestazione “Villari+2”, «che significa più due?», gli hanno chiesto, e lui «fascicolo Villari più Morri e Latorre». Scendevano in campo i mediatori. Pierluigi Bersani si tirava fuori e forse investendo sul futuro dichiarava «basta parlare di complotti, basta farci descrivere come una arena con fortini assediati e tradimenti, occupiamoci dei problemi seri». Gianni Cuperlo, battitore libero dalemiano, cerchiobottava: «Latorre ha sbagliato, ma tutta la vicenda è stata gestita male». In serata tirava le somme Veltroni: che senza citare nessuno per nome e cognome però sferzava: «Tutta la vicenda Rai è stata condotta con linearità e alla luce del sole, senza giochini, abbiamo ribadito il principio che non può essere la maggioranza a scegliere l’opposizione». Lo scontro al momento si ferma qui. Nessuno dei contendenti ha la forza per prevalere, né Veltroni mostra di voler usare la truculenta massima maoista di “bastonare il can che annega”. Le ostilità si apriranno sicuramente, invece. nel caso oggi Riccardo Villari non si dimettesse da capo della Vigilanza.
Ieri ha incontrato Gianfranco Fini al quale avrebbe annunciato che lascia, poi sono seguite dichiarazioni giudicate ambigue, talché al Senato la Finocchiaro ha deciso: se non lascia verrà automaticamente espulso dal gruppo.
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