Sempre dai giornali di questa mattina un altro articolo. “La Stampa”: “Rai, Villari resiste ancora. Zavoli in bilico. Il Pdl: «Il presidente è regolarmente in carica». Walter: il premier non è uomo delle istituzioni”. L’autore è Ugo Magri.
«Mai dire gatto se non l’hai nel sacco...». La massima calcistica di Trapattoni vale oro in politica. Zavoli alla Vigilanza Rai sembrava cosa fatta con la saggia benedizione del Quirinale. Invece ritorna il dubbio. Presidente della Commissione è tuttora Villari, il reprobo del Pd, che non si dimette e nessuno può obbligarcelo (presidenti emeriti della Corte costituzionale, da lui consultati, così sostengono). Ha spiegato riservatamente al presidente della Camera Fini che debbono chiederglielo maggioranza e opposizione insieme, con garbo e per favore, non appena la Vigilanza oggi si riunirà, subito dopo pranzo. Dal suo partito sono magicamente cessati gli attacchi. Il tentativo è di convincerlo con le buone. Bisogna però vedere come si regola il centrodestra: anche il Pdl, che la settimana scorsa aveva votato Vinari, gli domanderà di togliere il disturbo? Al momento pare proprio di no. Salvo miracoli di Gianni Letta (l’uomo del dialogo), Villari potrà restare al suo posto.
Ecco il gatto che non va nel sacco. Eppure Berlusconi l’altra sera aveva dichiarato: Zavoli sarebbe «fuori discussione», una garanzia per l’Italia. E Veltroni aveva sorriso: «Perfetto!», caso archiviato. Ieri mattina Bettini, suo braccio destro, celebrava sul Corsera la vittoria politica di Walter. Un trionfo tale da permettergli di aprire subito il fronte interno. Nel mirino Latorre, il dalemiano di stretta osservanza che le telecamere di Omnibus avevano colto mentre passava un bigliettino al vicecapogruppo di An Bocchino, «suggerendogli» la risposta più efficace in un dibattito col dipietrista Donadi. Incalzato dall’Idv, Veltroni ha chiesto e ottenuto (tramite la Finocchiaro) le dimissioni di Latorre dalla Vigilanza, ufficialmente motivate come un atto di generosità per far posto a Zavoli.
Ne è nata una polemica greve, veltroniani contro dalemiani, gestualità politiche tribali che hanno visto tuffarsi nella mischia Tonini, Fioroni e Ceccanti per conto del segretario, Boccia e De Castro a sostegno di Latorre. Con Bersani desolato: «Non capisco perché dobbiamo farci del male...». Nel giro berlusconiano hanno cominciato perciò a chiedersi se era il caso di agevolare un Veltroni che rialza la cresta e profitta della tregua per far strage di nemici interni. I quali, proprio per questo, al Cavaliere stanno simpatici. Tra l’altro Silvio (dicono a Palazzo Grazioli) è parecchio irritato: si sarebbe atteso da Walter una nota di biasimo nei confronti di Di Pietro, che insiste a dargli del «corruttore politico». Invece la presa di distanze di Veltroni non è arrivata, sebbene l’ex pm continui a imperversare non solo contro Berlusconi ma pure contro Schifani. Quale prova delle arti corruttive del premier, Di Pietro adduce certi inviti rivolti dal presidente del Senato a Orlando: «Se vuoi presiedere la Vigilanza, ti fisso un appuntamento con Berlusconi». Discorsi tra conterranei, entrambi palermitani, sventolati in piazza.
La seconda carica dello Stato equiparata a un «picciotto» del premier... Casini inorridisce, «i toni di Di Pietro sono irresponsabili e forniscono a Berlusconi l’alibi per la sua sindrome di autosufficienza». Vecchia volpe, il leader Udc intuisce che qualcosa gira storto. I dubbi lievitano quando il capogruppo Pdl Cicchitto (mai parla a casaccio) getta un secchio d’acqua gelata sulla soluzione Zavoli: «Dipende dalle decisioni di Villari, eletto regolarmente». Con una postilla eloquente: «Veltroni scelga se cambiare linea o restare incollato a Di Pietro». Questi sono gli umori serali nel quartier generale berlusconiano. Il più duro di tutti è Lui, «a questo punto si godano Villari...». Ci vorrà tutta l’arte diplomatica di un Letta, stamane, per fargli mutare avviso. Con Veltroni che già sente puzza di bruciato, e imbraccia il cannone: «Berlusconi uomo di rottura, non di istituzioni. Alimenta un clima politico infernale». Si ricomincia daccapo.
«Mai dire gatto se non l’hai nel sacco...». La massima calcistica di Trapattoni vale oro in politica. Zavoli alla Vigilanza Rai sembrava cosa fatta con la saggia benedizione del Quirinale. Invece ritorna il dubbio. Presidente della Commissione è tuttora Villari, il reprobo del Pd, che non si dimette e nessuno può obbligarcelo (presidenti emeriti della Corte costituzionale, da lui consultati, così sostengono). Ha spiegato riservatamente al presidente della Camera Fini che debbono chiederglielo maggioranza e opposizione insieme, con garbo e per favore, non appena la Vigilanza oggi si riunirà, subito dopo pranzo. Dal suo partito sono magicamente cessati gli attacchi. Il tentativo è di convincerlo con le buone. Bisogna però vedere come si regola il centrodestra: anche il Pdl, che la settimana scorsa aveva votato Vinari, gli domanderà di togliere il disturbo? Al momento pare proprio di no. Salvo miracoli di Gianni Letta (l’uomo del dialogo), Villari potrà restare al suo posto.
Ecco il gatto che non va nel sacco. Eppure Berlusconi l’altra sera aveva dichiarato: Zavoli sarebbe «fuori discussione», una garanzia per l’Italia. E Veltroni aveva sorriso: «Perfetto!», caso archiviato. Ieri mattina Bettini, suo braccio destro, celebrava sul Corsera la vittoria politica di Walter. Un trionfo tale da permettergli di aprire subito il fronte interno. Nel mirino Latorre, il dalemiano di stretta osservanza che le telecamere di Omnibus avevano colto mentre passava un bigliettino al vicecapogruppo di An Bocchino, «suggerendogli» la risposta più efficace in un dibattito col dipietrista Donadi. Incalzato dall’Idv, Veltroni ha chiesto e ottenuto (tramite la Finocchiaro) le dimissioni di Latorre dalla Vigilanza, ufficialmente motivate come un atto di generosità per far posto a Zavoli.
Ne è nata una polemica greve, veltroniani contro dalemiani, gestualità politiche tribali che hanno visto tuffarsi nella mischia Tonini, Fioroni e Ceccanti per conto del segretario, Boccia e De Castro a sostegno di Latorre. Con Bersani desolato: «Non capisco perché dobbiamo farci del male...». Nel giro berlusconiano hanno cominciato perciò a chiedersi se era il caso di agevolare un Veltroni che rialza la cresta e profitta della tregua per far strage di nemici interni. I quali, proprio per questo, al Cavaliere stanno simpatici. Tra l’altro Silvio (dicono a Palazzo Grazioli) è parecchio irritato: si sarebbe atteso da Walter una nota di biasimo nei confronti di Di Pietro, che insiste a dargli del «corruttore politico». Invece la presa di distanze di Veltroni non è arrivata, sebbene l’ex pm continui a imperversare non solo contro Berlusconi ma pure contro Schifani. Quale prova delle arti corruttive del premier, Di Pietro adduce certi inviti rivolti dal presidente del Senato a Orlando: «Se vuoi presiedere la Vigilanza, ti fisso un appuntamento con Berlusconi». Discorsi tra conterranei, entrambi palermitani, sventolati in piazza.
La seconda carica dello Stato equiparata a un «picciotto» del premier... Casini inorridisce, «i toni di Di Pietro sono irresponsabili e forniscono a Berlusconi l’alibi per la sua sindrome di autosufficienza». Vecchia volpe, il leader Udc intuisce che qualcosa gira storto. I dubbi lievitano quando il capogruppo Pdl Cicchitto (mai parla a casaccio) getta un secchio d’acqua gelata sulla soluzione Zavoli: «Dipende dalle decisioni di Villari, eletto regolarmente». Con una postilla eloquente: «Veltroni scelga se cambiare linea o restare incollato a Di Pietro». Questi sono gli umori serali nel quartier generale berlusconiano. Il più duro di tutti è Lui, «a questo punto si godano Villari...». Ci vorrà tutta l’arte diplomatica di un Letta, stamane, per fargli mutare avviso. Con Veltroni che già sente puzza di bruciato, e imbraccia il cannone: «Berlusconi uomo di rottura, non di istituzioni. Alimenta un clima politico infernale». Si ricomincia daccapo.
Nessun commento:
Posta un commento