Quasi una sorta di retrospettiva sul caso che continua ad essere del giorno. Riprendo di seguito due articoli di ieri sull’affair Villari, il primo da “Il Riformista” che ci racconta un po’ di retroscena su come si sia arrivati a Zavoli. Vediamolo subito. Titolo “Sull’asse Letta-Veltroni la Vigilanza va a Zavoli. E ora chi lo dice a Villari?”. L’articolo è di Tommaso Labate.
Il telefono di Gianni Letta è squillato a mezzogiorno in punto. «La decisione è presa. Il nostro candidato alla Vigilanza è Sergio Zavoli. Di Pietro si è chiamato fuori e Casini è d’accordo», ha detto Walter Veltroni all’eminenza grigia del berlusconismo. La trattativa andava avanti già da quarantott’ore. In ballo, oltre al nome di Zavoli, c’era anche quello dell’ex prefetto Achille Serra. Ad istruire il dossier insieme a Letta ci aveva pensato Goffredo Bettini. Bettini e Letta, dunque, i registi del primo accordo sulla Rai (Orlando alla Vigilanza e il ticket Calabrese-Parisi alla guida di viale Mazzini) sottoscritto più di un mese fa e poi frettolosamente mandato in soffitta dal segretario del Pd.
A mezzogiorno dunque, Veltroni ha annunciato a Letta la svolta Zavoli. «Dammi qualche ora di tempo», è stata la risposta del sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il tempo di rintracciare e convincere Silvio Berlusconi ad accettare la sponda al Pd. Nel Pdl i contrari al ramoscello d’ulivo sono tanti. Tra questi Maurizio Gasparri e Italo Bocchino, registi della “trattativa Villari”. Poco prima delle 17 arriva il disco verde. Il Cavaliere, a Trieste, dice che la «sinistra deve cambiare cavallo». Alle 20 dà il via libera: «Zavoli è un candidato idoneo. Non si discute». Il risultato della partita è determinato.
Ma il triplice fischio non può arrivare senza le dimissioni di Riccardo Villani. All’ora in cui il Riformista va in stampa, il senatore del Pd è irraggiungibile. Nessuno, neanche le sue collaboratrici, sanno dov’è. L’attuale presidente della Vigilanza non deve lasciare solo la guida di palazzo San Macuto. Ma, come sostiene il pd Fabrizio Morri, dovrebbe lasciare anche il posto da semplice commissario per fare posto a Zavoli (che non fa parte della Vigilanza).
Villari rappresenta un capitolo a parte di una giornata in cui si sono materializzate le dimissioni (anticipate ieri dal Riformista) dei dipietristi Orlando e Pardi dalla commissione, la visita di una delegazione del Pd al Quirinale («La maggioranza ci delegittima», hanno detto Veltroni, Franceschini e i capigruppo a Napolitano, il quale ha ribadito che «serve rispetto e attenzione reciproca») e la riunione dei membri piddini della Vigilanza. È durante quest’ultimo passaggio che il vicesegretario Franceschini e l’ex ministro Gentiloni rivolgono un ultimo appello al senatore “dissidente”. «Riccardo - gli hanno spiegato entrambi fatti da parte. Ormai è tutto inutile: abbiamo in tasca l’accordo con Berlusconi. Se ti dimetti, puoi legittimamente rivendicare che la tua elezione è stata decisiva per superare lo stallo. Altrimenti...».
Dietro i puntini di sospensione ci sono i provvedimenti disciplinari del gruppo del Pd al Senato. La riunione di palazzo Madama viene rinviata prima alle 16, poi alle 18,30, quindi «a ora da destinarsi». Nel frattempo Villari prima si prende un’ora di tempo per riflettere; poi - quando il nome di Zavoli è già rimbalzato di agenzia in agenzia - fa sapere ai giornalisti: «Sono sottoposto a pressioni di inaudita violenza. Respingo sia le pressioni che le intimidazioni».
Villari oppone resistenza. Gli altri sono tutti d’accordo. Dal presidente del Consiglio all’extraparlamentare Diliberto, è tutto un fiorire di applausi a Zavoli. L’armistizio è siglato. Di Pietro prepara un ritorno in piazza e si prende il tempo di un ultimo assalto a Villari («É un Giuda che si è venduto per trenta denari»), Orlando chiama Veltroni e Casini per rigranziarli del sostegno leale alla sua corsa. I presidenti delle Camere respingono le dimissioni dei membri dipietristi. Renato Schifani prende carta e penna per scrivere al capogruppo Idv Belisario - che aveva lamentato l’esclusione del suo partito dall’ufficio di presidenza di palazzo Madama - che «la partecipazione di tutti i gruppi parlamentari ai diversi organi del Senato è un valore da ricercare».
Il cerchio Rai è pronto per essere chiuso. Di Pietro otterrà un posto nel board di viale Mazzini, il Pd confermerà il consigliere Nino Rizzo Nervo ma - visto che esprime Zavoli in Vigilanza - potrebbe perdere il presidente della tv pubblica. Per quest’ultima casella in pole position ritorna Pietro Calabrese, figlio dell’accordo originale tra Bettini-Letta (anche se l’eventuale nomina di Zavoli, ha chiarito il forzista Romani, «non renderebbe inammissibile una continuità per Petruccioli»). Si ritorna al via. La partita di Risiko torna ad essere una sfida a Monopoli. Villari permettendo.
Il secondo articolo è di Giovanni Valentini, su “La Repubblica”, titolo: “L’arroganza sullo schermo”. Pompieristicamente pro Pd e buffamente incensorio verso Orlando ovviamente.
Diciamo subito francamente che sarebbe stato meglio per tutti se la candidatura di Sergio Zavoli alla presidenza della Commissione di Vigilanza, l’uomo più giusto al posto giusto, fosse emersa fin dall’inizio di questa mediocre vicenda all’italiana.
Meglio innanzitutto per l’opposizione a cui spettava per prassi la designazione; meglio anche per il centrodestra che si sarebbe risparmiato un atto di prepotenza e di arroganza, anche se ieri sera proprio a Ballarò il premier Silvio Berlusconi ha ripetuto una delle sue incursioni aggressive ai danni di Di Pietro (assente) e Epifani (in studio). E meglio infine per l’Italia dei Valori e per lo stesso Leoluca Orlando, esposto ingiustamente al pubblico ludibrio.
A lui e al suo partito va riconosciuto comunque il merito di un gesto tanto responsabile quanto opportuno, con la decisione di ritirarsi da una Commissione di garanzia che tale dovrebbe essere - appunto - per la minoranza, mentre rischia ormai di diventarlo in primo luogo per la maggioranza di governo. Toccherà semmai ad Antonio Di Pietro, il teorico giudiziario della “corruzione ambientale”, sostenere le pesanti accuse di “corruzione politica” lanciate esplicitamente contro Silvio Berlusconi e contro l’ineffabile senatore Villari. Ma bisogna dare atto a Walter Veltroni, al di là delle critiche strumentali che gli sono state rivolte in questi giorni, di aver mantenuto un comportamento lineare e coerente sia nei confronti dei propri elettori sia nei rapporti con gli alleati, per quanto scomodi possano essere.
Per ragioni di competenza, esperienza e autorevolezza, non c’è dubbio che Zavoli - seppur ultraottantenne - rappresenta la soluzione migliore per guidare un organismo parlamentare a cui spetta il compito di vigilare sul servizio pubblico radiotelevisivo. Da cronista e autore prima e da presidente poi, ha speso una vita nella Rai e per la Rai. Né gli mancano doti di equilibrio e di moderazione per sorvegliare su una tv di Stato che attraversa oggettivamente uno dei momenti più difficili della sua storia, stretta fra il decadimento interno della propria missione originaria e l’aggressione esterna di un concorrente che s’identifica con il partito-azienda di un premier che addirittura istiga all’evasione del canone. Di fronte al nome e alla storia professionale di Sergio Zavoli, candidatura condivisa da una larga maggioranza politica e ampiamente condivisibile anche dall’opinione pubblica, perfino le resistenze opportunistiche del senatore Villari dovrebbero cedere il passo ora alla ragionevolezza.
Un epatologo alla Vigilanza della Rai può servire solo a curare tanti telespettatori, costretti a vedere una tv pubblica che ormai fa venire il mal di fegato. Nella patria dei trasformisti e dei voltagabbana, è forte la tentazione di dare credito a Di Pietro, ai suoi sospetti e alle sue accuse di “corruzione politica”. Resta, tuttavia, l’ignominia di una maggioranza che si arroga il diritto di scegliere anche per conto della minoranza. Anzi, d’imporre le proprie scelte con la forza dei numeri, in un settore nevralgico per gli interessi aziendali del capo del governo, contro la prassi parlamentare e anche contro la decenza. Il “caso Villari” rappresenta perciò un precedente destinato a pesare sui rapporti istituzionali tra maggioranza e opposizione. E a futura memoria, conviene stabilire fin d’ora che - se e quando il centrosinistra tornerà mai al governo - occorrerà seguire in questi casi procedure diverse, per evitare rappresaglie o ritorsioni a ruoli invertiti.
Dalla “beffa della Vigilanza”, ancora in attesa peraltro di un degno epilogo, si può trarre intanto una lezione, utile in generale e in particolare per il nuovo vertice della Rai. I partiti devono fare decisamente un passo indietro. Certe nomine, per quanto legittimamente espresse dal Parlamento, non possono essere sottratte alla logica della competenza e della professionalità. Sappiamo bene, invece, che anche l’ultimo Consiglio di amministrazione di viale Mazzini è stato insediato - da una parte e dall’altra - in base all’appartenenza e all’estrazione politica dei singoli componenti. Se la maggioranza non vorrà adottare criteri di selezione più trasparenti, nulla impedisce che sia l’opposizione a comportarsi diversamente, "motu proprio", proponendo figure di riconosciuto prestigio e di notoria indipendenza.
En passant, questa, signori miei, è “free” press “democratica” doc!
Il telefono di Gianni Letta è squillato a mezzogiorno in punto. «La decisione è presa. Il nostro candidato alla Vigilanza è Sergio Zavoli. Di Pietro si è chiamato fuori e Casini è d’accordo», ha detto Walter Veltroni all’eminenza grigia del berlusconismo. La trattativa andava avanti già da quarantott’ore. In ballo, oltre al nome di Zavoli, c’era anche quello dell’ex prefetto Achille Serra. Ad istruire il dossier insieme a Letta ci aveva pensato Goffredo Bettini. Bettini e Letta, dunque, i registi del primo accordo sulla Rai (Orlando alla Vigilanza e il ticket Calabrese-Parisi alla guida di viale Mazzini) sottoscritto più di un mese fa e poi frettolosamente mandato in soffitta dal segretario del Pd.
A mezzogiorno dunque, Veltroni ha annunciato a Letta la svolta Zavoli. «Dammi qualche ora di tempo», è stata la risposta del sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il tempo di rintracciare e convincere Silvio Berlusconi ad accettare la sponda al Pd. Nel Pdl i contrari al ramoscello d’ulivo sono tanti. Tra questi Maurizio Gasparri e Italo Bocchino, registi della “trattativa Villari”. Poco prima delle 17 arriva il disco verde. Il Cavaliere, a Trieste, dice che la «sinistra deve cambiare cavallo». Alle 20 dà il via libera: «Zavoli è un candidato idoneo. Non si discute». Il risultato della partita è determinato.
Ma il triplice fischio non può arrivare senza le dimissioni di Riccardo Villani. All’ora in cui il Riformista va in stampa, il senatore del Pd è irraggiungibile. Nessuno, neanche le sue collaboratrici, sanno dov’è. L’attuale presidente della Vigilanza non deve lasciare solo la guida di palazzo San Macuto. Ma, come sostiene il pd Fabrizio Morri, dovrebbe lasciare anche il posto da semplice commissario per fare posto a Zavoli (che non fa parte della Vigilanza).
Villari rappresenta un capitolo a parte di una giornata in cui si sono materializzate le dimissioni (anticipate ieri dal Riformista) dei dipietristi Orlando e Pardi dalla commissione, la visita di una delegazione del Pd al Quirinale («La maggioranza ci delegittima», hanno detto Veltroni, Franceschini e i capigruppo a Napolitano, il quale ha ribadito che «serve rispetto e attenzione reciproca») e la riunione dei membri piddini della Vigilanza. È durante quest’ultimo passaggio che il vicesegretario Franceschini e l’ex ministro Gentiloni rivolgono un ultimo appello al senatore “dissidente”. «Riccardo - gli hanno spiegato entrambi fatti da parte. Ormai è tutto inutile: abbiamo in tasca l’accordo con Berlusconi. Se ti dimetti, puoi legittimamente rivendicare che la tua elezione è stata decisiva per superare lo stallo. Altrimenti...».
Dietro i puntini di sospensione ci sono i provvedimenti disciplinari del gruppo del Pd al Senato. La riunione di palazzo Madama viene rinviata prima alle 16, poi alle 18,30, quindi «a ora da destinarsi». Nel frattempo Villari prima si prende un’ora di tempo per riflettere; poi - quando il nome di Zavoli è già rimbalzato di agenzia in agenzia - fa sapere ai giornalisti: «Sono sottoposto a pressioni di inaudita violenza. Respingo sia le pressioni che le intimidazioni».
Villari oppone resistenza. Gli altri sono tutti d’accordo. Dal presidente del Consiglio all’extraparlamentare Diliberto, è tutto un fiorire di applausi a Zavoli. L’armistizio è siglato. Di Pietro prepara un ritorno in piazza e si prende il tempo di un ultimo assalto a Villari («É un Giuda che si è venduto per trenta denari»), Orlando chiama Veltroni e Casini per rigranziarli del sostegno leale alla sua corsa. I presidenti delle Camere respingono le dimissioni dei membri dipietristi. Renato Schifani prende carta e penna per scrivere al capogruppo Idv Belisario - che aveva lamentato l’esclusione del suo partito dall’ufficio di presidenza di palazzo Madama - che «la partecipazione di tutti i gruppi parlamentari ai diversi organi del Senato è un valore da ricercare».
Il cerchio Rai è pronto per essere chiuso. Di Pietro otterrà un posto nel board di viale Mazzini, il Pd confermerà il consigliere Nino Rizzo Nervo ma - visto che esprime Zavoli in Vigilanza - potrebbe perdere il presidente della tv pubblica. Per quest’ultima casella in pole position ritorna Pietro Calabrese, figlio dell’accordo originale tra Bettini-Letta (anche se l’eventuale nomina di Zavoli, ha chiarito il forzista Romani, «non renderebbe inammissibile una continuità per Petruccioli»). Si ritorna al via. La partita di Risiko torna ad essere una sfida a Monopoli. Villari permettendo.
Il secondo articolo è di Giovanni Valentini, su “La Repubblica”, titolo: “L’arroganza sullo schermo”. Pompieristicamente pro Pd e buffamente incensorio verso Orlando ovviamente.
Diciamo subito francamente che sarebbe stato meglio per tutti se la candidatura di Sergio Zavoli alla presidenza della Commissione di Vigilanza, l’uomo più giusto al posto giusto, fosse emersa fin dall’inizio di questa mediocre vicenda all’italiana.
Meglio innanzitutto per l’opposizione a cui spettava per prassi la designazione; meglio anche per il centrodestra che si sarebbe risparmiato un atto di prepotenza e di arroganza, anche se ieri sera proprio a Ballarò il premier Silvio Berlusconi ha ripetuto una delle sue incursioni aggressive ai danni di Di Pietro (assente) e Epifani (in studio). E meglio infine per l’Italia dei Valori e per lo stesso Leoluca Orlando, esposto ingiustamente al pubblico ludibrio.
A lui e al suo partito va riconosciuto comunque il merito di un gesto tanto responsabile quanto opportuno, con la decisione di ritirarsi da una Commissione di garanzia che tale dovrebbe essere - appunto - per la minoranza, mentre rischia ormai di diventarlo in primo luogo per la maggioranza di governo. Toccherà semmai ad Antonio Di Pietro, il teorico giudiziario della “corruzione ambientale”, sostenere le pesanti accuse di “corruzione politica” lanciate esplicitamente contro Silvio Berlusconi e contro l’ineffabile senatore Villari. Ma bisogna dare atto a Walter Veltroni, al di là delle critiche strumentali che gli sono state rivolte in questi giorni, di aver mantenuto un comportamento lineare e coerente sia nei confronti dei propri elettori sia nei rapporti con gli alleati, per quanto scomodi possano essere.
Per ragioni di competenza, esperienza e autorevolezza, non c’è dubbio che Zavoli - seppur ultraottantenne - rappresenta la soluzione migliore per guidare un organismo parlamentare a cui spetta il compito di vigilare sul servizio pubblico radiotelevisivo. Da cronista e autore prima e da presidente poi, ha speso una vita nella Rai e per la Rai. Né gli mancano doti di equilibrio e di moderazione per sorvegliare su una tv di Stato che attraversa oggettivamente uno dei momenti più difficili della sua storia, stretta fra il decadimento interno della propria missione originaria e l’aggressione esterna di un concorrente che s’identifica con il partito-azienda di un premier che addirittura istiga all’evasione del canone. Di fronte al nome e alla storia professionale di Sergio Zavoli, candidatura condivisa da una larga maggioranza politica e ampiamente condivisibile anche dall’opinione pubblica, perfino le resistenze opportunistiche del senatore Villari dovrebbero cedere il passo ora alla ragionevolezza.
Un epatologo alla Vigilanza della Rai può servire solo a curare tanti telespettatori, costretti a vedere una tv pubblica che ormai fa venire il mal di fegato. Nella patria dei trasformisti e dei voltagabbana, è forte la tentazione di dare credito a Di Pietro, ai suoi sospetti e alle sue accuse di “corruzione politica”. Resta, tuttavia, l’ignominia di una maggioranza che si arroga il diritto di scegliere anche per conto della minoranza. Anzi, d’imporre le proprie scelte con la forza dei numeri, in un settore nevralgico per gli interessi aziendali del capo del governo, contro la prassi parlamentare e anche contro la decenza. Il “caso Villari” rappresenta perciò un precedente destinato a pesare sui rapporti istituzionali tra maggioranza e opposizione. E a futura memoria, conviene stabilire fin d’ora che - se e quando il centrosinistra tornerà mai al governo - occorrerà seguire in questi casi procedure diverse, per evitare rappresaglie o ritorsioni a ruoli invertiti.
Dalla “beffa della Vigilanza”, ancora in attesa peraltro di un degno epilogo, si può trarre intanto una lezione, utile in generale e in particolare per il nuovo vertice della Rai. I partiti devono fare decisamente un passo indietro. Certe nomine, per quanto legittimamente espresse dal Parlamento, non possono essere sottratte alla logica della competenza e della professionalità. Sappiamo bene, invece, che anche l’ultimo Consiglio di amministrazione di viale Mazzini è stato insediato - da una parte e dall’altra - in base all’appartenenza e all’estrazione politica dei singoli componenti. Se la maggioranza non vorrà adottare criteri di selezione più trasparenti, nulla impedisce che sia l’opposizione a comportarsi diversamente, "motu proprio", proponendo figure di riconosciuto prestigio e di notoria indipendenza.
En passant, questa, signori miei, è “free” press “democratica” doc!
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